L’incontro nazionale per i diritti delle sex worker a Bologna

Il primo dopo molti anni, è stato ospitato dal comune: si è parlato di decriminalizzazione della prostituzione, stigma e nuove generazioni

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Venerdì 2 giugno, in occasione della Giornata internazionale del sex work, a Bologna si è svolto il primo congresso di sex worker in Italia dopo quasi vent’anni: hanno partecipato collettivi, associazioni e singole sex worker provenienti da tutta Italia. Il giorno dopo, all’Auditorium Enzo Biagi della biblioteca comunale Salaborsa di piazza Maggiore, le partecipanti all’assemblea e altre esperte hanno tenuto un incontro sul lavoro sessuale aperto al pubblico. L’evento si è concentrato sul tema della criminalizzazione del lavoro sessuale e su come «agisca negativamente sulle nostre esistenze», oltre che sulla «libertà di esercitare sex work o di non farlo, e per manifestare il nostro orgoglio».

In Italia, dopo l’approvazione della legge Merlin che nel 1958 abolì le case di tolleranza (dette anche case di piacere o case chiuse), il lavoro sessuale dovette spostarsi per lo più in strada. Il modello normativo italiano nei confronti del lavoro sessuale è quello cosiddetto abolizionista: la prostituzione non è esplicitamente vietata dal codice penale, ma sono illegali alcune condotte collaterali come sfruttamento, agevolazione o adescamento, che limitano di fatto anche chi esercita il sex work in modo lecito. Tra le principali richieste delle associazioni che si occupano di diritti delle sex worker ci sono, in questo senso, la decriminalizzazione e il riconoscimento del lavoro sessuale come un qualsiasi lavoro, che garantisca un reddito, il diritto alla salute e alla sicurezza.

Inoltre in Italia le persone che fanno sex work subiscono ancora gli effetti di uno stigma dovuto al rifiuto e alla discriminazione che una diffusa e radicata morale collettiva impone su tutto quello che ha a che vedere con la sessualità, cosa che rende la vita delle persone che lo fanno molto faticosa, come è emerso a più riprese dall’incontro di sabato.

– Leggi anche: Il sex work dovrebbe essere considerato un lavoro?

I dati sull’Italia dicono che la maggior parte delle persone che vendono prestazioni sessuali sono donne, tra le quali molte sono donne trans. In numeri più piccoli sono presenti anche uomini.

L’evento di sabato è stato aperto da Porpora Marcasciano, presidente del MIT (Movimento identità trans) e storica attivista per i diritti delle persone trans, che dal 2021 è consigliera comunale a Bologna, che ha fatto notare come, quando il lavoro di attivismo per il sex work è cominciato, i rapporti tra movimenti e istituzioni «non c’erano e non erano neanche pensabili». Marcasciano ha definito il sex work «un’esperienza preziosissima che mi ha dato tanto nella comprensione e nella lettura del mondo», e uno strumento che permette a molte persone di «emanciparsi, autodeterminarsi e sfuggire da situazioni violente». Ha aggiunto che comprendere questo dato è fondamentale per rispondere alla lettura che si è diffusa molto ultimamente, che «vede il lavoro sessuale solo come sfruttamento: non è così, quella retorica, quella narrazione non è la nostra, non ci piace».

Un altro intervento di apertura è stato quello di Pia Covre, che nel 1982 contribuì a fondare in Italia il Comitato per la tutela dei diritti civili delle prostitute, ed è una figura storica dell’attivismo. Ha spiegato che negli anni Ottanta “sex worker” era una parola non ancora usata e che fu l’attivista femminista statunitense Carol Leigh a introdurla al posto di prostituta, che veniva e viene ancora spesso usato in modo dispregiativo.

Il termine sex work è stato accolto ed è usato da un po’ di anni anche in Italia, perché permette di riconoscere la capacità di agire e di organizzarsi per esigere diritti e protezioni, e mette al centro del discorso la collocazione sociale di chi lo pratica, non la sua sessualità o il suo genere.

Covre era la persona più anziana presente tra relatrici e relatori e ha sottolineato come le nuove generazioni di sex worker oggi abbiano problemi anche diversi da quelli di un tempo, ma che comunque non subiscono meno discriminazioni. La novità più rilevante nel sex work, negli ultimi dieci anni, è stata l’introduzione della dimensione virtuale, dalla diffusione di film pornografici online ai lavori a distanza in webcam e all’uso di applicazioni come OnlyFans.

Covre ha parlato della legge Merlin come di «una legge obsoleta», che quando è stata fatta «aveva un senso», ma che ha avuto come effetto forti discriminazioni. L’ha anche definita «criminogena», perché porta molte sex worker a essere trattate dalla giustizia e dalle forze dell’ordine come criminali anche se non lo sono. Una delle cose che i movimenti denunciano, infatti, è che il sistema giudiziario italiano subisca i pregiudizi diffusi nei confronti delle sex worker, arrivando anche a condanne penali per azioni che non costituirebbero reato.

L’evento è durato tutto il giorno ed è terminato con un corteo partito attorno alle 5 di pomeriggio da via dei Mille.