Il grande mercato che si svolge insieme al festival di Cannes

Partecipa chi ha film da vendere e chi ne cerca da distribuire nei vari paesi: è il più importante evento di questo tipo al mondo

di Gabriele Niola

(Gabriele Niola per il Post)
(Gabriele Niola per il Post)

Il festival di Cannes appena concluso ha coinciso come ogni anno con il mercato del film di Cannes, chiamato Marché du film, un evento parallelo che si svolge negli stessi luoghi del festival in cui vengono venduti e comprati i film presentati in competizione o nelle altre sezioni (nel complesso più di 60 titoli), oltre a una buona parte di film che non hanno niente a che vedere con Cannes. In questo mercato a vendere sono le società che agiscono da venditori internazionali e a comprare sono i distributori dei singoli paesi che, proprio tramite i venditori, acquistano i diritti di distribuzione dai produttori. Senza questa catena i produttori (tranne le maggiori società statunitensi) non sarebbero in grado, da soli, di portare i loro film nelle sale di paesi stranieri.

Negli ultimi anni, a seguito della pandemia, della chiusura delle sale cinematografiche e della conseguente difficoltà degli incassi a tornare ai livelli precedenti in molti paesi, il mercato ha sofferto un rallentamento delle transazioni e un calo generale dei prezzi di vendita. Inoltre la parziale chiusura della Cina alle importazioni e il boicottaggio nei confronti della Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina hanno ridotto le vendite verso due mercati prima molto importanti. Molte società tuttavia cercano di continuare a fare affari con loro.

Il marché è il mercato del film più importante, grande e frequentato del mondo, e la sua importanza è parte della ragione per cui poi il festival di Cannes è così rilevante: quasi tutti i paesi (almeno tutti quelli in cui vengono distribuiti film) sono presenti come compratori e come venditori con più società o enti nazionali che promuovono le loro produzioni. Sono presenti i produttori, cioè le persone che stanziano o raccolgono i soldi per fare i film (e poi si occupano di tutta la logistica organizzativa, ovvero di come quei soldi verranno spesi), che al mercato o hanno dei film in vendita, e desiderano collaborare agli incontri e alle presentazioni, o vanno a curare i rapporti con le altre parti della catena industriale. Ci sono i distributori, che sono le società che acquistano i diritti per portare i film in sala o in televisione nei territori in cui operano (a seconda se siano distributori cinematografici o televisivi). E ci sono i venditori, intermediari a cui i produttori danno il mandato di vendere i loro film.

A seconda del tipo di contratto i venditori tengono per sé i proventi o una percentuale dei proventi della distribuzione in sala o in home video, o ancora in streaming e televisione, in base a se abbiano comprato o meno anche i diritti per quel tipo di distribuzione. Società come Netflix o Prime Video distribuiscono da sé, cioè sono presenti in tantissime nazioni con una propria divisione e lo stesso fanno i grandi studi statunitensi come Disney, Universal, Warner, Paramount e Sony/Columbia. Sono gli unici soggetti che non partecipano al mercato perché in grado di portare da sé i propri film nei vari paesi del mondo.

La possibilità di vendere un film in un gran numero di paesi dipende non solo dalla presenza di attori che sono considerati riconoscibili internazionalmente, ma anche da altri fattori. Aiuta un soggetto forte (come ad esempio la biografia di un personaggio molto noto), appartenere a un genere riconoscibile (è il caso degli horror, forse il genere di film più internazionale che si possa girare), provenire da paesi cinematograficamente forti (si pensi a quanto la Francia costituisca una garanzia per certi generi) o ancora essere passati in uno dei grandi festival internazionali. Una parte importante di tutti i film che vengono prodotti ogni anno basa le proprie aspettative di riuscita economica anche sulle vendite internazionali. Questi film spesso vengono pensati e progettati (tra cast, possibili partecipazioni ai festival e temi raccontati) per essere vendibili all’estero. Non necessariamente i film più venduti all’estero sono dei successi nel proprio mercato interno. In Italia esistono film che non fanno promozione interna e quindi non sono noti agli italiani ma vengono girati a volte anche direttamente in inglese per il mercato estero.

(Gabriele Niola per il Post)

Il mercato dei film di Cannes fu fondato nel 1959, quando il festival era alla sua tredicesima edizione e quest’anno ha avuto 12.500 accreditati e 4.000 film mostrati, molti di questi non necessariamente finiti: magari ne è stata proiettata una parte per dare un’idea ai possibili compratori della qualità produttiva o delle capacità di far ridere, spaventare o commuovere. Il vero numero dei partecipanti al mercato però è incalcolabile perché oltre agli accreditati ci sono le persone che vanno a Cannes e trattano e discutono la compravendita di film da fuori, nei locali o negli appartamenti affittati. L’accredito dà diritto all’accesso alla zona del palazzo del cinema dedicata al mercato, che misura circa 13.000 mq, nella quale se si è compratori si va di stand in stand (in modi non diversi dai mercati alimentari) e se si è venditori è possibile acquistare un posto, cioè una cabina più o meno grande in cui accogliere potenziali acquirenti, mostrare locandine, attaccare dei monitor per mostrare trailer. I venditori più ricchi hanno anche piccole aree chiuse e riservate, mentre i più piccoli utilizzano aree comuni attrezzate con tavolini e sedie.

Le postazioni possono essere acquistate indipendentemente o attraverso le commissioni nazionali. Ad esempio i venditori italiani sono quasi tutti riuniti nella stessa zona, in postazioni adiacenti, cosa che aiuta i compratori interessati a prodotti italiani a scegliere, trovare quel che cercano, ottenere informazioni e prenotare appuntamenti. Un venditore non tratta per forza film che appartengono al proprio paese, nonostante sia molto frequente perché è facile che abbia buoni rapporti con le produzioni della propria nazione. Molti trattano film di tutto il mondo e nonostante siano società che hanno sede in una specifica nazione sono percepiti come agenti internazionali.

I film comprati e venduti tendono ad essere quelli della stagione in corso (anche se chi compra poi decide autonomamente quando distribuirli nei propri territori entro dei limiti fissati dai contratti di vendita) ma in tanti pre-vendono, cioè cercano di iniziare a contrattare per film che non sono ancora terminati o magari sono stati solo scritti. Lo fanno sulla base delle prime immagini, di un titolo, dei primi poster, della forza dei nomi coinvolti o dalla promessa di incasso che possono portare delle star.

Molti attori la cui carriera è in fase discendente infatti partecipano a produzioni a basso costo prestando la propria notorietà mondiale, così che questa favorisca le vendite internazionali. Quando fu diffusa la notizia della malattia di Bruce Willis si parlò molto dei pessimi film in cui era stato coinvolto nell’ultimo periodo. Si trattava di quel tipo di produzioni che utilizzano un nome noto per essere venduti meglio. Questo nome è inserito nel poster e indicato con grande evidenza anche se poi l’attore è poco presente nel film effettivo o compare per pochi minuti (cosa che ne abbassa di molto il costo d’ingaggio, rendendo l’operazione conveniente). Chi compra conosce bene questa dinamica e spesso applica lo stesso di tipo di strategia con i suoi potenziali clienti, cioè gli spettatori.

In altri casi nei mercati i film sono venduti a pacchetti, come avviene per molti tipi di merci, mettendo insieme titoli di scarso richiamo con altri di maggiore forza. In altri casi ancora i film sono venduti alle società che li distribuiscono per la visione sugli aerei, oppure a quelle che lavorano in un ambito molto molto specifico (capita spesso con le case di distribuzione che trattano solo cinema dell’orrore). In ogni caso al mercato non si discute mai del valore di un film in base a criteri soggettivi di gradimento come fanno spettatori o critica, se ne parla sempre come prodotti e quindi in base a criteri oggettivi. Questi sono ad esempio la partecipazione ad un festival, un grande incasso in patria, un tema che solitamente garantisce attrattiva (i film che parlano di Olocausto, per esempio, di solito hanno successo commerciale), un taglio particolarmente in linea con le ultime tendenze e preferenze degli spettatori o un autore che ha al suo attivo altri successi.

L’affluenza percepita dai venditori è stata in crescita rispetto a quella dell’anno scorso. Nel 2020, a causa dell’emergenza pandemica, il festival di Cannes non si era tenuto, e così il suo mercato. Nel 2021 era stato in parte gestito online, tramite incontri su Zoom, e in parte in loco, con risultati però deludenti. I film erano stati comprati e venduti più che altro per la distribuzione televisiva, on demand o su piattaforme. Nel 2022, il primo anno in cui festival e mercato sono tornati a funzionare a piena capienza, l’affluenza era stata comunque inferiore al 2019. Anche quest’anno non è stata a livello delle edizioni precedenti alla pandemia ma molti venditori ne hanno parlato con soddisfazione notando che la tendenza è di continua crescita. Altri hanno sottolineato un altro cambiamento del mercato: prima le vendite per il noleggio o le piattaforme avevano un po’ compensato l’assenza della distribuzione in sala, con uno spostamento verso l’online; adesso che la distribuzione in sala è tornata, ma senza la forza economica di prima, i venditori si trovano con due tipi di vendite (per la sala e on demand) che non funzionano al loro meglio.

Il dato più discusso è la propensione all’acquisto, quanto cioè i compratori che vanno a Cannes sono inclini ad acquistare film: anche questo aspetto, secondo gli addetti ai lavori, non è tornato ai livelli precedenti alla pandemia, per quanto sia in crescita. A frenare gli acquisti è la scarsità di ritorni economici dalle distribuzioni in sala. In molti paesi i film non incassano tanto quanto prima e quindi chi li distribuisce esita a spendere molti soldi per comprarli, temendo di non rientrare della spesa. «Sbagliare un film per un compratore non è più come prima, non c’è più il tempo di recuperare l’errore» spiega Gaetano Maiorino, Managing Director & Head of Acquisitions della società di vendite italiana True Colours. «Prima se un film rendeva meno magari un altro di quelli acquistati compensava, ora non è più detto. Quindi invece che comprarne due magari preferiscono comprarne uno solo, il più sicuro».

Dopo qualche anno di assenza o di presenza limitata sono tornati gli addetti ai lavori cinesi. Per tutti gli anni Dieci del Duemila la Cina è stata un grande compratore. Ha importato film stranieri a tutti i livelli, sia i grandi film americani che i piccoli europei. A seguito della pandemia e di alcune decisioni più generali riguardo la propria politica economica, sembrava che non fossero più disposti a comprare. Quest’anno qualcosa ha iniziato ad aprirsi di nuovo: «Durante la pandemia a livello cinematografico erano andati verso una quasi autarchia, nessun film straniero» spiega Geremia Biagiotti, International Sales Manager della società di vendite Intramovies. «Prima vendevamo tutto alla Cina e da quel momento non abbiamo venduto più niente. I nostri film come quelli degli altri paesi non passavano più il visto della censura, che è indispensabile per essere distribuiti lì. Noi addirittura avevamo in catalogo un film che aveva vinto al festival di Pechino i premi per miglior film, miglior attore e miglior sceneggiatura e lo stesso non poteva essere distribuito perché non aveva passato la censura».

(Gabriele Niola per il Post)

I film che vengono trattati nel mercato di Cannes sono in linea di massima appartenenti al circuito denominato arthouse, cioè quello che in Italia consideriamo destinato a festival o a cinema d’essai e che da noi, come in tutto il mondo, nella maggior parte dei casi non gode di grandi incassi. Ma i numeri del mercato cinese sono talmente grandi che anche una piccola uscita in quel paese comporta tantissime copie e molti potenziali biglietti venduti: «Il problema è che la censura ci mette almeno sei mesi per dare una risposta» continua Biagiotti, «quindi per ora anche i compratori cinesi non hanno un’idea chiara sul fatto se quello che comprano potrà o no passare il visto. Al momento acquistano ma senza garanzie che effettivamente l’operazione sia approvata e quindi vada in porto».

I compratori russi invece sono stati banditi all’interno del più generale boicottaggio dei paesi occidentali nei confronti della Russia. Il marché non concede l’accredito e quindi l’accesso alle aree del mercato a rappresentanti di società di distribuzione russe. Questo accade perché sono quasi tutte legate al governo anche se, nel tentativo di aggirare il divieto, molte hanno spostato la propria sede al di fuori della Russia e conducono le transazioni evitando di passare per le banche russe. L’esito è tuttavia lo stesso: acquistano film che poi saranno distribuiti sul territorio russo.

Nonostante non abbiano accesso alle zone del palazzo del cinema nessuno impedisce ovviamente ai compratori russi di essere a Cannes ed è noto che molte società di vendite trattino lo stesso con loro, nei locali o negli appartamenti, vendendo film che in molti casi in Russia ci arriverebbero comunque tramite la pirateria. I venditori cercano in questo modo di evitare di far morire il mercato del cinema russo, così che qualora un giorno fosse possibile tornare a fare affari esisterebbe ancora una domanda per il cinema straniero. Sembra che queste trattative abbiano anche prezzi più elevati della media, ma quasi nessuno dei venditori che trattano con i russi è incline ad ammetterlo pubblicamente.

Sta uscendo ora in tutta Europa Nostalgia, il film di Mario Martone con Pierfrancesco Favino che era stato presentato a Cannes e distribuito in Italia un anno fa e che, a detta della società che l’ha venduto (True Colours), è stato uno dei loro grandi successi mondiali. Molto più ad esempio di una commedia popolare come Grosso guaio all’Esquilino (sempre venduta da True Colours), le cui vendite sono fisiologicamente su un’altra scala: «Gli attori italiani che spostano il mercato estero sono tre, massimo quattro: Toni Servillo, Pierfrancesco Favino e Valeria Golino. Alessandro Borghi e Luca Marinelli sono su quel percorso e lo stanno diventando» spiega sempre Maiorino. Invece un successo di vendite di quest’anno per True Colours è un film che deve ancora uscire ed è un lungometraggio d’animazione (un tipo di film che si produce poco in Italia) intitolato Forest di Luca Della Grotta e Francesco Dafano.

Negli ultimi 10 anni i film italiani che si sono venduti meglio non hanno coinciso con quelli che hanno incassato di più. Non sono stati Sole a catinelle e Quo Vado? di Checco Zalone ma ad esempio La grande bellezza (presentato a Cannes ma soprattutto vincitore dell’Oscar per il miglior film straniero), Dogman di Matteo Garrone e Lazzaro felice di Alice Rohrwacher (entrambi presentati a Cannes e tornati dal festival con un premio). Di questi tre solo uno è stato venduto da una società italiana (Dogman, venduto da Rai Com, parte del gruppo RAI).

Nel settore viene considerato un problema il fatto che i venditori italiani spesso non riescano a potersi permettere i film italiani più importanti. A parte Dogman i film di Matteo Garrone sono stati spesso venduti dagli inglesi di Hanway, i film di Sorrentino spesso dalla francese Pathé. E mentre i film dell’anno scorso presentati a Cannes avevano un venditore italiano (Vision per Le otto montagne e True Colours per Nostalgia), i tre in concorso di quest’anno no. Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti è venduto dalla francese Kinology, Rapito di Marco Bellocchio è venduto dalla tedesca The Match Factory e così anche La chimera di Alice Rohrwacher. La ragione è che queste società più grandi non solo in alcuni casi possono garantire vendite migliori, proprio per le loro dimensioni, ma possono anche pagare di più i film al momento dell’acquisto. I venditori attendono che alcuni incentivi statali possano aiutare le società italiane ad essere più competitive.

Invece per una società come Intramovies, italiana che vende soprattutto film stranieri, un titolo che è andato molto forte quest’anno è stato The Future, film israeliano di Noam Kaplan (presentato al festival di Tribeca) e Nightsiren di Tereza Nvotova, co-prodotto tra Slovacchia e Repubblica Ceca (presentato al festival di Locarno nella sezione Cineasti del presente e vincitore del premio per il miglior film).

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