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  • Martedì 23 maggio 2023

Perché si usano ancora i pettorali da gara?

Quelli con sopra nomi o numeri, fissati con le spille da balia: per molti sono obsoleti, ma continuano a essere utili per gli sponsor

(Francois Nel/Getty Images)
(Francois Nel/Getty Images)
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A chiunque faccia gare podistiche o atletiche di vario genere è capitato di ricevere e indossare un pettorale da gara, con sopra un numero e talvolta anche il proprio nome o cognome. I pettorali sono una costante di molti sport, da una corsa non competitiva di pochi chilometri fino alla maratona o alla finale olimpica dei 100 metri. E in generale, a parte qualche accortezza ed evoluzione, i pettorali usati sono molto simili tra loro, da ormai diversi anni. Così come è uguale, anche alle Olimpiadi, il sistema usato da atleti e atlete per fissarli sulle divise: le spille da balia, semplici ma efficaci. Indossare un numero è per molti parte delle ritualità di una gara, e talvolta le spille e i pettorali con i numeri diventano anche metafora stessa del gareggiare o dello smettere di farlo.

Dei pettorali (che a volte sono messi sopra al petto e altre invece più in basso) e dei dorsali (che invece sono messi sulla schiena) si è occupato di recente il New York Times, chiedendosi perché si continui a usarli con le spille e sul perché c’è chi sostiene che sia il tempo di abbandonare sia gli uni che le altre, almeno a certi livelli.

(EPA/NOUSHAD THEKKAYIL)

I pettorali, di carta o tessuto non tessuto, hanno scopi pratici: servono a identificare per nome, numero o codice i partecipanti a un evento, oltre che a fornire a ognuno di loro un piccolo strumento (messo all’interno del pettorale da gara) per misurare i tempi grazie alle radiofrequenze. Ai massimi livelli questi strumenti possono anche fornire dati sulla distanza tra atleti, sulla loro velocità durante la prova o sulla loro frequenza cardiaca. Per chi fa sport i pettorali possono essere anche preziosi ricordi di una gara e, in certi casi, utili ai tifosi per riconoscere e incitare per nome chi li indossa.

Oltre alle questioni pratiche di tracciamento e individuazione dei partecipanti, i pettorali hanno poi una funzione promozionale, sia alle piccole corse cittadine che agli eventi più importanti: per uno sponsor sono un mezzo per finire sul corpo di migliaia di atleti (nel caso per esempio di una maratona) o perfino esposti sul corpo del campione olimpico dei 100 metri (magari sponsorizzato da un’azienda concorrente).

A inizio maggio a Doha, in Qatar, al primo evento della Diamond League — la principale serie di eventi internazionali di atletica leggera — agli atleti è stato chiesto, per ragioni commerciali, di indossare i pettorali di gara anche in conferenza stampa.

È in reazione a questa richiesta che il 5 maggio l’ex velocista statunitense Michael Johnson – vincitore di quattro ori olimpici e detentore per 17 anni del record mondiale sui 400 metri – si era lamentato del fatto che gli atleti fossero ormai «manifesti pubblicitari umani». Sempre Johnson ha detto al New York Times: «I migliori e più veloci atleti al mondo stanno gareggiando con un pezzo di carta e delle spillette, sa tutto di dilettantismo».

(Ker Robertson/Getty Images)

In effetti, almeno ai massimi livelli, in cui ogni minimo dettaglio è finalizzato a migliorare la prestazione, pettorali, dorsali e spillette sembrano inadeguati e antiquati. A maggior ragione se si pensa che in certi casi, sempre per ragioni di sponsor, sono anche aumentati di dimensione negli ultimi anni.

Le possibili alternative sono l’uso di indumenti da gara con piccoli spazi appositi per le altrettanto piccole e leggere strumentazioni usate per rilevare i tempi; oppure, ha scritto il New York Times, l’utilizzo di appositi braccialetti da far indossare a ogni atleta. Di certo, in qualsiasi caso, le possibili soluzioni sembrano esserci, ma dovrebbero prevedere una generale uniformità di approccio, che non è negli interessi né di molti sponsor e nemmeno di chi pettorali e dorsali li produce, distribuisce e vende.

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