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  • Venerdì 19 maggio 2023

Il coprifuoco in Lesotho dopo l’omicidio di un importante giornalista

Ucciso probabilmente a causa del suo lavoro, in un clima di diffusa violenza: ora il governo ha vietato gli spostamenti notturni

Pitseng, Lesotho, 21 giugno 2018 (Chris Jackson/Getty Images for Sentebale)
Pitseng, Lesotho, 21 giugno 2018 (Chris Jackson/Getty Images for Sentebale)
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Da martedì 16 maggio in Lesotho, piccolo paese dell’Africa meridionale completamente circondato dal Sudafrica, è stato imposto un coprifuoco nazionale a tempo indeterminato per contrastare i crimini violenti, che fanno del Lesotho uno dei paesi con il più alto tasso di omicidi del mondo. Il coprifuoco comincerà tutte le sere alle 22 e terminerà alle 4 del mattino. Il governo non ha reso nota una data della fine della misura.

La decisione è stata presa dopo che un importante conduttore radiofonico e giornalista investigativo, Ralikonelo Joki, era stato ucciso a Maseru, la capitale: il 14 maggio, intorno alle ore 22:00, alcune persone hanno sparato a Joki alla testa e al corpo per almeno 13 volte. Il giornalista stava uscendo dagli studi di radio FM Tsénolo, per la quale lavorava, poco dopo aver concluso il suo programma domenicale.

L’omicidio di Ralikonelo Joki è soltanto l’ultimo attacco violento commesso in Lesotho contro giornalisti e attivisti. Il Media Institute of Southern Africa, organizzazione non governativa che si occupa di promuovere media liberi e indipendenti, ha fatto sapere che Joki è stato ucciso a causa del suo lavoro, e che tra marzo e aprile aveva ricevuto almeno tre minacce di morte in relazione alle storie che aveva raccontato. La sua morte sarebbe un tentativo di intimidazione verso i giornalisti. Il programma radiofonico di Joki si occupava di attualità: il giornalista aveva spesso criticato il governo e nel 2021 aveva scoperto e raccontato il coinvolgimento di cinque politici nel commercio illecito di alcol.

Il Lesotho è un paese piccolo: completamente contenuto nel Sudafrica, e ha una superficie di poco più di 30mila chilometri quadrati. È un po’ più piccolo di Piemonte e Liguria messi insieme. Ha circa due milioni di abitanti, e ha il primato di essere l’unico paese al mondo a trovarsi interamente più in alto di mille metri sopra il livello del mare.

Secondo l’ultimo rapporto del World Population Review delle Nazioni Unite, il Lesotho è anche il terzo paese del mondo con il più alto tasso annuale di omicidi, dopo El Salvador e la Giamaica: si verificano 43,5 omicidi ogni 100mila abitanti. Lo scorso gennaio per cercare di fermare la violenza e affrontare il crescente tasso di omicidi del paese il governo aveva sospeso il rilascio di nuove licenze per armi da fuoco e ora ha revocato le licenze già emesse. Il coprifuoco iniziato martedì prevede che chiunque si trovi per strada tra le 22 e le 4 del mattino senza un permesso della polizia rischi una multa o fino a due anni di carcere.

– Leggi anche: In Lesotho ci si uccide per la musica

Diverse associazioni internazionali di giornalisti hanno chiesto che le indagini per l’omicidio di Joki vengano svolte in modo approfondito e veloce e hanno criticato la lentezza del sistema giudiziario del paese spiegando ad esempio che il processo per il tentato omicidio dell’ex direttore del Lesotho Times, Lloyd Mutungamiri, si è trascinato per anni. Il 9 luglio del 2016 alcuni uomini avevano sparato a Mutungamiri di fronte a casa. Nel 2014 Mutungamiri era stato denunciato per diffamazione a causa di un articolo sulla corruzione all’interno delle forze di polizia, e pochi giorni prima del tentato omicidio era stato interrogato sulle fonti di un articolo piuttosto critico sul capo delle forze armate del Lesotho.

Cinque membri dell’esercito del paese erano stati poi arrestati per l’attacco, e dopo continui ritardi quattro di loro saranno processati solo il prossimo luglio. «Le persone pensano che non ci siano conseguenze per gli attacchi ai giornalisti perché da quando Lloyd Mutungamiri è stato ucciso, nel 2016, i suoi aggressori non sono stati incarcerati», ha commentato il Media Institute of Southern Africa. A sua volta Angela Quintal, coordinatrice del programma Africa del Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), ha detto che «le autorità devono inviare un segnale chiaro a coloro che credono di poter attaccare o uccidere i giornalisti senza conseguenze e che, almeno nel caso di Joki, ci sarà un rapido accertamento delle responsabilità».