In Romagna sono esondati anche i bacini costruiti per evitare gli allagamenti

L'acqua è stata talmente abbondante da rendere inefficaci le opere costruite per gestire le piene dei fiumi

Il ponte della Motta, in provincia di Bologna, crollato (ANSA/MAX CAVALLARI)
Il ponte della Motta, in provincia di Bologna, crollato (ANSA/MAX CAVALLARI)
Caricamento player

In seguito alla grave alluvione in Emilia-Romagna è nato un dibattito che si sta concentrando più che altro sulle cause delle intense piogge e sulle gravi conseguenze che hanno avuto. In particolare esperti, politici e abitanti delle zone colpite si sono interrogati sugli interventi e sulle opere idrauliche che avrebbero potuto evitare l’allagamento di decine di migliaia di case e soprattutto la morte di 14 persone. È una reazione piuttosto naturale e giustificata, non nuova in un paese come l’Italia particolarmente soggetto a frane e alluvioni: anche stavolta si è parlato molto della mancata prevenzione, cioè di cosa non è stato fatto negli ultimi anni per mettere in sicurezza i fiumi, e poco su ciò che si può fare adesso.

Tra le opere più citate come decisive in caso di alluvioni ci sono le “casse di espansione” dei fiumi, note anche come bacini di espansione. Secondo diversi esperti intervistati dai giornali, in tutta la regione e soprattutto in Romagna non ne sono state costruite a sufficienza: in realtà in alcune zone c’erano, ma le precipitazioni sono state così intense da renderle inefficaci.

Le casse di espansione sono invasi costruiti per raccogliere l’acqua che tracima dai fiumi durante le piene. Di solito vengono realizzate in pianura e sono di due tipi, contigue ai corsi d’acqua – chiamate anche “in linea” – oppure separate, chiamate “laterali”. Le casse di espansione realizzate in linea deviano l’acqua in eccesso in un’ampia zona libera con argini più alti: in questo modo il livello della piena si abbassa, così come la pressione dell’acqua. Vengono chiamate casse di espansione perché di fatto sono un’espansione dei fiumi: quando il livello dell’acqua è sotto controllo, le casse di espansione rimangono vuote.

I bacini separati invece raccolgono l’acqua che esonda in caso di piena: riempiendosi, evitano che l’acqua allaghi campi e strade. La capacità delle casse di espansione viene stabilita sulla base di dati come la portata del fiume e il livello raggiunto durante le piene del passato.

Questo video mostra con una certa efficacia a cosa servono le casse di espansione e le due diverse tipologie.

In Emilia-Romagna le prime casse di espansione furono progettate negli anni Settanta, in seguito all’alluvione del 1973 a Reggio Emilia, in cui morirono due persone. Nel 1985 venne completata la cassa di espansione sul fiume Panaro, nel 1991 quella sul Crostolo. Nel 2004 e nel 2006 vennero collaudate le casse di espansione dell’Enza e del Parma. Fino alla fine degli anni Novanta le casse di espansione furono costruite prevalentemente nella pianura emiliana, una zona più a rischio di alluvioni. Di recente alcuni esperti avevano detto che in Romagna non ci sono casse di espansione, in realtà negli ultimi anni ne sono state costruite diverse.

Secondo un report della Regione che cita i dati dell’ANBI, l’associazione nazionale delle bonifiche e delle irrigazioni, in Emilia-Romagna ci sono 53 casse di espansione che possono raccogliere fino a 66 milioni di metri cubi di acqua.

Dall’inizio della legislatura di Stefano Bonaccini sono stati stanziati 190 milioni di euro per costruire 23 nuove opere idrauliche tra casse di espansione e bacini artificiali. Dopo la prima alluvione di inizio maggio, il senatore di Fratelli d’Italia Marco Lisei ha detto che al momento funzionano soltanto 12 sulle 23 nuove previste. Le altre sono in fase di progettazione o di realizzazione.

Uno dei problemi è relativo ai costi, che per questo tipo di opere sono alti anche per via degli espropri. «Le opere idrauliche sono finanziate o dalla Protezione civile o dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica», ha detto la vicepresidente della Regione, Irene Priolo. «Quest’anno avremo dal ministero dell’Ambiente 13 milioni di euro contro i 22 ricevuti l’anno scorso. Finanziamenti irrisori, a fronte di una grande complessità anche per quanto riguarda il lungo iter autorizzativo».

In questa fase è difficile capire se le casse di espansione non ancora costruite avrebbero evitato l’esondazione dei fiumi e l’allagamento delle città. Gli oltre 200 millimetri di pioggia caduti negli ultimi giorni (in alcune zone dell’Emilia-Romagna si è arrivati a quasi 300 millimetri) sono stati troppi anche per molte opere finora realizzate. Le fotografie e i video diffusi mostrano allagamenti molto estesi, spesso dovuti alla rottura degli argini dei fiumi, anche quelli teoricamente protetti dalle casse di espansione.

A Forlì, in Romagna, le due casse di espansione costruite lungo il corso del fiume Montone si sono completamente allagate e non sono state sufficienti a contenere la piena che ha causato l’allagamento del quartiere Romiti. A Castel Bolognese e Solarolo ci sono stati ingenti danni nonostante la cassa di espansione nel canale dei Molini. I lavori del bacino non sono ancora conclusi, ma già in occasione dell’alluvione di inizio maggio la cassa di espansione aveva raggiunto la capienza massima di 150mila metri cubi di acqua.

Anche a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, la cassa di espansione realizzata da poco nel canale Redino si è riempita. A Lugo, uno dei comuni allagati giovedì, l’acqua è tracimata dal bacino di espansione che si trova nel parco Golfera nella zona occidentale della città. A Cesena il torrente Pisciatello è esondato, nonostante la cassa di espansione e la messa in sicurezza degli argini, in località Calisese, una frazione della città.

In altre zone invece le opere di prevenzione hanno funzionato. La cassa di espansione del Samoggia, in provincia di Bologna, all’inizio di maggio aveva raccolto 2,7 milioni di metri cubi di acqua e anche nelle ultime ore ha retto. «Le vasche di contenimento del torrente hanno tenuto sia nell’alluvione dei primi di maggio, sia in quello delle scorse ore», ha detto al Corriere della Sera il sindaco di San Giovanni in Persiceto, Lorenzo Pellegatti. «Se dovesse venire un’altra piena prima che l’acqua defluisca sarebbe un disastro, ma per ora il sistema ha tenuto».

Nel caso dell’Emilia-Romagna è anche complicato fare paragoni con gli interventi realizzati in altre regioni sulla tenuta dei fiumi: ogni territorio ha infatti caratteristiche diverse, con diversi livelli di rischio alluvione. Secondo le valutazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), l’Emilia-Romagna è una delle regioni più a rischio di alluvioni. I dati dell’ultima rilevazione dicono che 428mila persone vivono in aree a pericolosità elevata, 2,3 milioni di persone in aree a pericolosità media e meno di 300mila in aree almeno a pericolosità bassa. Come si può notare da questa mappa pubblicata dal sito dell’ISPRA, l’Emilia-Romagna è la regione del Nord Italia più a rischio di alluvioni.

mappa pericolosità idraulica

La mappa della pericolosità idraulica in Emilia-Romagna (ISPRA)