Una canzone di Danger Mouse e Daniele Luppi

E cose morriconiane

(Ethan Miller/Getty Images)
(Ethan Miller/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Due di voi mi hanno fatto notare la coincidenza per cui la canzone di ieri era dei Cowboy Junkies, e nel disco nuovo dei National di cui pure parlavo c’è non solo una canzone intitolata alla “maglietta dei New Order” ma anche una che chiede:
What about the Cowboy Junkies?What about the Afghan Whigs?
(degli Afghan Whigs non abbiamo in effetti ancora parlato)
È morto Gordon Lightfoot, ammirato cantautore canadese, autore di questa canzone.
Nick Cave ha difeso dai critici il suo desiderio di accogliere l’invito all’incoronazione del re d’Inghilterra.
Ho ricevuto una manciata di mail con pareri e domande sulle canzoni e il film di Moretti, rispetto a quello che avevo scritto ieri sera, e quindi condivido alcuni approfondimenti di quello sbrigativo commento: qui c’è già una scena di canzone cantata in macchina nel Caimano qui nella Stanza del figlio, con gli stessi tic, qui si elencano (con immotivata esaltazione) senza che lo faccia io tutte le volte che Moretti ha scelto una vecchia canzone di Battiato nei suoi film, qui c’è già una scena di ballo collettivo, qui c’è lui che inizia a cantare a sproposito, e anche alle canzoni genovesi degli anni Sessanta aveva già attinto parecchio. Naturalmente saranno tutte deliberate citazioni di se stesso, come ho scritto, come il tormentone sui sabot e le pantofole, il giro in monopattino a Prati invece che in vespa, le morali sfinenti ai poveri passanti (aggiunte alle citazioni di altri: il film sul fare il film, il cantare insieme in macchina, la fellinata circense e quella conclusiva, lo sprezzo sui gelidi criteri di Netflix, o tempora, o mores!): c’è qualche autocompiacimento ammiccante di troppo, secondo me, nel fare i film su se stessi e uguali a se stessi – più che al cinema si avvicina ai Kardashians – cercando la condiscendenza nostalgica di noi pubblico-di-Nanni-Moretti fieri che tutto parli a noi e di noi, ma chi sono io per giudicare da una newsletter che passa metà del tempo a recuperare le proprie stesse passioni di quarant’anni fa?

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