Root non è il gioco che sembra

Dietro a un'estetica pucciosa e conciliante si nasconde un gioco di guerra spietato, cerebrale e molto difficile da padroneggiare

di Viola Stefanello

(MS Edizioni)
(MS Edizioni)
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Kamchatka è una rubrica mensile di Consumismi in cui proviamo giochi da tavolo per conto vostro e vi diciamo se ci siamo divertiti, cosa ne pensiamo e a chi potrebbero piacere. Non parleremo di grandi classici come Risiko!, ma l’abbiamo chiamata “Kamchatka” perché speriamo di conquistare voi come tutti i giocatori hanno fatto almeno una volta con il più famoso dei suoi territori.

Nel gergo dei giochi da tavolo, rientra nella categoria dei wargame qualsiasi gioco sia incentrato, in un modo o nell’altro, sulle azioni militari, a prescindere dall’ambientazione e dal “peso” del gioco. In larga parte, i wargame più famosi sono ispirati a grandi conflitti storici: le guerre mondiali o quelle napoleoniche, o magari la conquista del mondo antico da parte dell’impero romano. Lo si vede nalla classifica dedicata al genere su BoardGameGeek, il forum che raduna la più grande comunità di amanti di giochi da tavolo al mondo: dopo il primo posto, dove c’è La guerra dell’anelloambientato in quello che forse è l’universo fantasy più celebre del mondo, quello immaginato da J.R.R. Tolkien, le restanti posizioni nella top 5 sono occupate da giochi ispirati rispettivamente alla Guerra fredda, alla Prima guerra mondiale, allo sbarco in Normandia durante la Seconda guerra mondiale e all’unificazione del Giappone.

Al quindicesimo posto – una posizione comunque notevole, considerato che si tratta di un genere che include varie centinaia di titoli – spicca però un gioco che sulle prime può sembrare fuori contesto. L’illustrazione sulla scatola mostra quattro animaletti dipinti a tinte tenui, intenti a minacciarsi tra loro con fare scherzoso: un gattino che brandisce un’ascia, un’aquila che impugna un arco, un piccolo procione con in mano un bastone e un pugnale, un topino che sta per calarsi dal tetto di una capanna vestito come Robin Hood. Il gioco si chiama Root: un gioco di potere e giustizia nei boschi, è stato ideato dal designer statunitense Cole Wehrle, è stato pubblicato nel 2018 da Leder Games, e portato in Italia da MS Edizioni.

E non è assolutamente l’esperienza distesa e tranquilla che ci si potrebbe aspettare dalle illustrazioni pucciose di Kyle Ferrin.

Alcune carte di Root (MS Edizioni)

Come dice giustamente BoardGameGeek, Root è un wargame, anche se ci si può mettere un po’ a capirlo. I produttori lo definiscono un gioco “asimmetrico”, perché ogni giocatore interpreta una fazione che si comporta, si muove, ottiene punti e interagisce in maniera completamente diversa dalle altre.

L’intero gioco si svolge in una foresta relativamente piccola, divisa in varie radure e attraversata da un fiume. All’inizio del gioco la foresta è in tumulto perché una delle fazioni – la Marchesa de Gattis, rappresentata da tante piccole pedine a forma di gatti arancioni – si è impossessata del bosco ed è intenta a saccheggiarne le materie prime per costruire edifici e continuare a espandersi. Un tempo il bosco era governato da un’altra fazione, la Dinastia delle Aquile, che da parte sua scalpita per tornare al suo antico splendore. Mentre Gatti e Aquile si scontrano tra loro, dal basso si organizza la terza fazione: l’Alleanza dei Boschi, movimento rivoluzionario il cui scopo è quello di portare avanti una guerriglia clandestina.

A queste tre fazioni si affianca il Vagabondo, un singolo ramingo errante che persegue soltanto i propri obiettivi, ma che può via via allearsi con una o l’altra fazione a seconda della propria strategia. Insomma, se ci si dimentica un attimo che tutte queste fazioni sono rappresentate con tenere pedine colorate che si muovono allegramente nella foresta, appare chiaro che ci si trova di fronte a una situazione di guerra.

(MS Edizioni)

Per tutte le fazioni – a cui se ne aggiungono potenzialmente altre quattro se si acquistano le espansioni dedicate alla Compagnia del fiume o al Mondo sotterraneo – l’obiettivo è raggiungere 30 punti prima di tutti gli altri giocatori, o alternativamente perseguire l’obiettivo contenuto in una delle quattro carte Dominio presenti nel mazzo di carte da cui tutti pescano nel proprio turno.

Ogni fazione, però, ottiene punti in modo molto diverso dalle altre, al punto che si può dire che ogni giocatore giochi sostanzialmente a un gioco completamente differente dagli altri, seguendo meccaniche, strategie e ragionamenti propri.

Chi interpreta la fazione dei Gatti gioca sostanzialmente un gioco di logistica ed “engine building”, costruisce cioè gradualmente un sistema che continui a generare risorse e punti vittoria in modo sempre più efficiente e difficile da attaccare: l’obiettivo è costruire quanti più edifici possibili. Le Aquile devono invece programmare una strategia solida e costantemente riproducibile, stando attente a rispettarla: ambiscono principalmente a controllare il territorio. L’Alleanza pianta i propri semi per vari turni e ottiene punti soprattutto ottenendo supporto sul campo e ribellandosi al momento giusto. E il Vagabondo vive l’intera partita un po’ come se fosse una propria avventura personale, partecipando o meno alla guerra che si dipana attorno a lui come gli pare e piace.

A partire da queste premesse, il gioco si sviluppa attorno a due imperativi: per vincere bisogna chiaramente ottenere più punti possibili, ma bisogna contemporaneamente assicurarsi che gli avversari non vincano prima di te. Root è quindi un gioco estremamente conflittuale, e non è raro che sfoci in lunghi patteggiamenti tra i giocatori in cui tutti cercano di convincere gli altri che il vero pericolo sia rappresentato da un altro giocatore e non da loro, in modo da stringere coalizioni che rallentino la vittoria della persona che in quel momento sembra più avvantaggiata.

La promessa di Root è che, se lo si impara a giocare bene e se si impara a perdere con maturità, offre un’esperienza intellettuale oltre che ludica molto stimolante. Il problema principale è che per imparare a giocarci come si deve c’è bisogno di davvero tanta dedizione e pazienza, e di un gruppo di persone altrettanto dedite e pazienti.

(il Post)

Non è un gioco adatto a fare una partitella ogni tanto e occupare un paio d’ore con gli amici. Chi ci ha giocato l’ha paragonato al cartone animato Adventure Time, che dietro a un’estetica caleidoscopica nasconde una serie di mai banali questioni esistenziali: allo stesso modo dietro alle illustrazioni tenere e un po’ infantili di Root c’è in realtà un rompicapo di una certa complessità. Nonostante le regole siano molto complete e precise – e corredate da un libretto ancora più completo e preciso, chiamato La Legge di Root, nonché di una “Guida passo-passo” per fare una prima partita guidata – è altamente probabile che le prime partite siano lunghe e a tratti noiose.

Ci sono tantissime regole da ricordare ed è quasi certo che ce ne si dimenticherà comunque qualcuna, soprattutto all’inizio. Spiegarle a qualcuno che è appena arrivato richiede un bel po’ di tempo. Per funzionare bene ogni partita avrebbe bisogno di almeno una persona che conosce benissimo tutte le fazioni, e cioè che le abbia interpretate personalmente nel corso di varie partite. In generale, si ha spesso la sensazione di starsi perdendo qualcosa che, se capito, sbloccherebbe un’esperienza di gioco totalmente diversa e molto più godibile.

Molti giocatori appassionati dicono che questo processo di esplorazione e interiorizzazione delle meccaniche del gioco è una parte integrante dell’esperienza, nello stesso modo in cui si risolve un cubo di Rubik per dimostrare che lo si può fare più che per vedere com’è fatto un cubo con sei facce di colori diversi.

«Imparare le fazioni e capire le strategie di ognuna è incredibilmente gratificante. Quando integri le conoscenze che hai acquisito in una partita precedente e gli errori che hai commesso, senti davvero di star facendo progresso. Quando vedi qualcuno eseguire una strategia davvero intelligente, la tieni a mente per la prossima partita E quando giochi per la prima volta con una fazione, all’improvviso ti rendi conto di tutti i problemi che gli altri giocatori hanno dovuto affrontare e inevitabilmente cominci ad apprezzare molto di più il giocatore che è riuscito a distruggerti giocandola nella partita precedente», dice la più consigliata e discussa recensione del gioco su BoardGameGeek.

(Il Post)

«Ma se non sei attratto dalla sfida dell’imparare a padroneggiare le fazioni, esaminando le complessità e la profondità che il gioco ha da offrire, non è il gioco per te», continua.

Di un’idea simile è lo youtuber Quinns, del popolare canale dedicato ai giochi da tavolo Shut up and sit down. «Se ti piace imparare davvero bene un nuovo gioco, Root è un piacere a livello cerebrale», afferma, «ed è per questo che l’estetica tenera è così perfetta: molte persone hanno affermato che la dolcezza delle illustrazioni è fuoriviante perché Root è un gioco di guerra duro e crudo, ma non è il genere di gioco in cui vince il generale più esperto. Ci si trova di fronte a un ecosistema: studiare come interagiscono questi animali è coinvolgente quanto guardare un documentario sulla natura».

Anche Quinns, però, giunge alla stessa conclusione: «Per esplorare idee innovative su cosa può essere un gioco da tavolo, Root è senza dubbio un successo straordinario. Ma se volete un gioco che potete tirare fuori dallo scaffale e divertirvi e basta… parliamone».

Root si può comprare online su IBS (63 euro più la spedizione), sul sito di MS Edizioni (65 euro) e su Amazon (da 65 euro).

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Disclaimer: con alcuni dei siti linkati nella sezione Consumismi il Post ha un’affiliazione e ottiene una piccola quota dei ricavi, senza variazioni dei prezzi. Ma potete anche cercare le stesse cose su Google. Se invece volete saperne di più di questi link, qui c’è una spiegazione lunga.