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  • Giovedì 20 aprile 2023

Un libro per provare a dare giustizia alla vittima di un femminicidio

Quello sulla sorella della scrittrice messicana Cristina Rivera Garza, uccisa nel 1990: potrebbe aver fatto trovare una traccia del suo assassino

Una ragazza che denuncia il numero di femminicidi in Messico nel 2022 con un cartello durante una manifestazione femminista contro la violenza sulle donne a Città del Messico, il 25 novembre 2022
Un momento di una manifestazione femminista contro la violenza sulle donne a Città del Messico, il 25 novembre 2022 (AP Photo/Aurea Del Rosario, La Presse)
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Il Messico ha un profondo e noto problema di violenza sulle donne, che peraltro si è aggravato di recente. Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica e geografia (INEGI), il corrispettivo messicano dell’ISTAT, negli ultimi anni in media dieci donne sono state uccise ogni giorno nel paese, e quelle di cui non si hanno più notizie sono decine di migliaia. Le forme di violenza, femminicidi compresi, sono aumentate anno dopo anno dal 2018 al 2021, contestualmente a un aumento generale della violenza nel paese.

Negli ultimi anni tuttavia è anche cresciuta la consapevolezza del problema, che ha avuto come causa e conseguenza grandi proteste femministe e maggiori attenzioni da parte dei media. Questo ha spinto la scrittrice Cristina Rivera Garza a chiedere la riapertura delle indagini sull’omicidio di sua sorella Liliana, avvenuto nel 1990. Rivera Garza ha inoltre scritto un libro sulla vita di sua sorella e sulla sua uccisione, con ogni probabilità compiuta dall’ex fidanzato della ragazza, Ángel González Ramos, che fuggì e non venne mai arrestato sebbene sospettato.

Il libro si intitola L’invincibile estate di Liliana e si basa sulla gran quantità di lettere e note diaristiche di Liliana e su varie interviste con chi la conobbe. Con la pubblicazione, nel 2021, Rivera Garza ha creato un indirizzo email dove mandare eventuali segnalazioni su Ramos: dopo sei mesi è arrivato un messaggio secondo cui sarebbe scappato negli Stati Uniti, e lì avrebbe vissuto con un falso nome fino alla morte, nel 2020. Le indagini per verificare queste informazioni sono tuttora in corso.

L’invincibile estate di Liliana è appena stato pubblicato in italiano da Sur nella traduzione di Giulia Zavagna: un estratto.

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Da questo edificio sono usciti i poliziotti diretti verso calle Mimosas 658, nel quartiere Pasteros, la mattina del 16 luglio del 1990. Una chiamata d’emergenza. Il vicinato con il fiato sospeso. Forse di qui è passato a passo svelto anche Tomás Rojas Madrid, il giornalista che ha coperto il caso. Qui sono arrivati i primi rapporti della scientifica e le fotografie e le trascrizioni delle dichiarazioni dei testimoni. Qui, a un certo punto, è passata di mano in mano l’indagine preliminare 40/913/990-7. Qui, o qui vicino, è stato emesso il mandato d’arresto contro Ángel González Ramos, l’uomo che non è mai stato arrestato; l’uomo che, libero fino a oggi, non ha dovuto affrontare la legge né pagare per il suo crimine. L’uomo impune.

Forse io stessa sono stata qui trent’anni fa.

Una delle assistenti dell’avvocata Irazábal cammina verso di noi e, non senza una certa commiserazione, ci chiede di entrare e di raggiungerla nel suo ufficio. Vi spiego la situazione, dice. L’avvocata, la sua capa, non ha il fascicolo, spiega con una pazienza infinita. L’avvocata è la direttrice della Sezione Casi Irrisolti. Se vi hanno mandate qui è perché qualcuno crede che, per qualche ragione fortuita, sia stato conservato un fascicolo di tanto tempo fa. Fortuita. La parola fortuita. Guardate, continua, indicando lo schermo del computer. Inserisce la password e poi il numero dell’indagine preliminare. Il sistema non lo riconosce. Quando io sono arrivata qui, circa undici anni fa, avevano già cambiato tutto il sistema operativo. E, prima ancora, di sicuro ci sono stati altri cambiamenti. Ma da qualche parte verranno pur conservati, no? Le chiedo. Il chiodo della speranza sulla lingua. Alcuni finiscono all’archivio di concentrazione, certo, ma anche lì restano per un tempo limitato, spiega.

Non crediate nemmeno per un istante che i fascicoli vivano per sempre. In ogni caso potete aspettare l’avvocata se volete che vi spieghi meglio lei.

[uno stupratore sulla tua strada]

Il femminicidio non è stato ufficialmente classificato come reato in Messico prima del 14 giugno 2012, quando è stato incluso nel Codice Penale Federale come un delitto: «Articolo 325: Commette il delitto di femminicidio chi priva della vita una donna per questioni di genere». Gran parte dei femminicidi commessi prima di quella data erano chiamati delitti passionali. Erano chiamati ha preso una cattiva strada. Erano chiamati perché si veste così? Erano chiamati una donna deve sempre stare al suo posto. Erano chiamati qualcosa deve aver combinato per fare quella fine. Erano chiamati i genitori la trascuravano. Erano chiamati la ragazza che ha preso una decisione sbagliata. Erano chiamati, addirittura, se lo meritava. La mancanza di linguaggio è impressionante. La mancanza di linguaggio ci lega, ci soffoca, ci strangola, ci spara, ci scuoia, ci fa a pezzi, ci condanna.

Per questo, quando il gruppo femminista Las Tesis ha organizzato la performance «Uno stupratore sulla tua strada» nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, nel centro di Santiago, in Cile, l’esibizione ha avuto così tanta risonanza dappertutto. E la colpa non era mia / né per dov’ero / né per come ero vestita. Si trattava di un linguaggio già in uso, un linguaggio che diversi gruppi di attiviste, e diversi gruppi di vittime, avevano già utilizzato nei processi e nelle piazze, durante concitate manifestazioni e intorno al tavolo da pranzo, ma che poche volte prima di quell’inverno del 2019 aveva risuonato in quel modo. Così contundente. Così diretto. Così vero. Il patriarcato è un giudice / che ci giudica per essere nate / e il nostro castigo / è la violenza che non vedi.

Sai che la prima volta che ho parlato con la Procura per fissare un appuntamento mi hanno chiesto per filo e per segno che cosa volevo? Sorais fuma con una dedizione incrollabile. C’è qualcosa di voluttuoso nel modo in cui tiene la sigaretta fra le dita e poi la avvicina al viso e se la deposita fra le labbra. C’è qualcosa di determinato e di disciplinato nel modo in cui inspira; nel modo in cui trattiene il fumo nei polmoni e lo lascia sfuggire dopo qualche drammatico secondo. Sai che sulle prime non ho saputo cosa rispondere? Balbettavo. Esitavo. Le dico questo: le dico che balbettavo. Che esitavo. Voglio il fascicolo, ho detto, mangiandomi le parole. Il fumo nell’aria. L’aroma di qualcosa di molto antico fra i nostri corpi. Solo questo?, mi ha chiesto, stupita, la voce all’altro capo della linea. È femminicidio. / Impunità per il mio assassino. / È la scomparsa. / È stupro. Allora mi sono resa conto, nel corso di quella telefonata, del poco che stavo chiedendo. No, ho detto, interrompendo quella che sembrava essere la fine intempestiva della chiamata. No. Voglio qualcos’altro. Lo stupratore sei tu. Le figure formate dal fumo della sigaretta si elevano e, a poco a poco, scompaiono nell’aria. Voglio che si trovi il colpevole e che il colpevole paghi per il crimine che ha commesso. Sono rimasta di nuovo in silenzio. Ho deglutito. Voglio giustizia, ho detto infine. E l’ho poi ripetuto ancora, trasformandomi nell’eco di tante altre voci. L’ho ripetuto ancora una volta, ora con più decisione, con assoluta chiarezza. Lo Stato oppressore è un maschio stupratore. Voglio giustizia. E la colpa non era sua / né per dov’era / né per come era vestita. Voglio giustizia per mia sorella. Lo stupratore sei tu.

A volte devono passare trent’anni per dire ad alta voce, per dirlo ad alta voce di fronte a un impiegato del sistema giudiziario, che si vuole giustizia. A volte c’è bisogno di tutto quel tempo per tornare ad Azcapotzalco e sedersi sotto la chioma inaudita di un albero e ascoltare, tremando di paura, piena d’incredulità, l’improbabile canto degli uccelli.

© Cristina Rivera Garza, 2021
© SUR, 2023