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  • Domenica 16 aprile 2023

Che cosa sta succedendo in Sudan

L'esercito e un potente gruppo paramilitare combattono per il controllo del paese: ci sono almeno 59 morti civili e si teme che gli scontri possano trasformarsi in una guerra più estesa

Il fumo provocato dai combattimenti a Khartum (Mohamed Khidir/Xinhua via ZUMA Press)
Il fumo provocato dai combattimenti a Khartum (Mohamed Khidir/Xinhua via ZUMA Press)
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Da sabato vanno avanti in Sudan duri combattimenti tra l’esercito regolare sudanese e il potente gruppo militare Rapid Support Forces (RSF) per ottenere il controllo del paese. Il grosso dei combattimenti si sta svolgendo nella capitale Khartum, dove i due gruppi sostengono entrambi di avere il controllo del palazzo presidenziale e dell’aeroporto, ma si sono estesi a numerose altre città del paese.

Al momento ci sono almeno 59 morti civili e più di 500 feriti. Tra i morti ci sono anche tre impiegati del World Food Programme (WFP), un’agenzia dell’ONU che si occupa di assistenza alimentare: sarebbero finiti in mezzo a uno scontro tra le due forze a Kabkabiya, una città nella parte occidentale del paese. Ci sono anche moltissimi morti tra i soldati e i paramilitari, ma al momento non ci sono stime affidabili.

I combattimenti sono cominciati sabato mattina a Khartum e si sono estesi al resto del paese, ma la situazione sul campo è molto confusa ed è ancora difficile capire come stiano avvenendo gli scontri e soprattutto chi abbia in mano il controllo del Sudan. Il rischio principale, al momento, è che questo scontro per il potere tra fazioni militari si possa trasformare in una guerra civile, in un paese che è già molto instabile e coinvolto in conflitti etnici.

Il Sudan è un enorme paese che si trova immediatamente a sud dell’Egitto e che è strategico per varie ragioni sia politiche sia militari. Tra le altre cose, è uno dei principali luoghi di partenza dei flussi migratori che dall’Africa subsahariana arrivano alla Libia per poi imbarcarsi nel Mediterraneo.

Da sabato mattina nella capitale e in altre città del paese ci sono esplosioni e scontri a fuoco, e la popolazione civile è bloccata nelle proprie case. Varie testimonianze raccontano anche di bombardamenti aerei: l’esercito, che ha il controllo dell’aviazione, ha detto di aver colpito con i caccia le basi delle RSF. Nella notte di sabato e nella giornata di domenica gli scontri si sono estesi e intensificati. Le due forze che combattono hanno cominciato a usare l’artiglieria, e sono iniziati scontri anche in città che sabato non erano state coinvolte, come la città di Port Sudan, sul mar Rosso.

In alcune città del paese è saltata l’elettricità e i combattimenti nell’aeroporto di Khartoum sono stati così intensi che un aereo passeggeri della compagnia aerea Saudia, dell’Arabia Saudita, è finito in mezzo agli scontri a fuoco.

I combattimenti stanno avvenendo tra l’esercito regolare del Sudan, comandato dal presidente del paese, il generale Abdel Fattah al Burhan, e il potente gruppo paramilitare RSF, che di fatto è un esercito parallelo (conta tra i 70 e i 100 mila membri) ed è comandato dal vicepresidente del paese, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti.

Nell’ottobre del 2021, dopo la caduta del lungo regime di Omar al Bashir e una breve parentesi democratica, i due generali Burhan e Dagalo avevano unito le forze per rovesciare il governo civile con un colpo di stato e instaurare una dittatura militare. Da allora il paese è governato da una giunta militare chiamata Consiglio Sovrano, di cui Burhan è il capo e Dagalo il secondo in comando.

L’alleanza tra i due è durata poco. A dicembre del 2022, anche grazie a forti pressioni internazionali, il governo militare sudanese aveva acconsentito a un accordo per restituire il potere a un’amministrazione civile, e riprendere gradualmente il percorso di democratizzazione interrotto nel 2021. In cambio, la comunità internazionale avrebbe sbloccato fondamentali aiuti economici. Una delle condizioni era che le RSF si sciogliessero e si integrassero all’interno dell’esercito regolare, sotto a un comando unico. Dagalo si è però opposto, temendo di perdere il suo potere, e ha detto che l’integrazione delle RSF con l’esercito avrebbe richiesto non meno di dieci anni.

Burhan e Dagalo hanno cominciato a quel punto a scambiarsi accuse durissime, facendo capire di essere pronti allo scontro armato. Gli scontri politici si sono trasformati sabato in violenti combattimenti militari, che erano attesi da settimane: sia l’esercito sia i paramilitari da tempo stavano ammassando soldati e rafforzando le proprie posizioni e basi.

Le RSF sono la derivazione diretta dei Janjawid, i miliziani di etnia araba fedeli al regime di Omar al Bashir che nel corso della guerra nella regione del Darfur, cominciata nel 2003, commisero massacri e torture e furono accusati di genocidio. Dagalo, al tempo, era il capo dei Janjawid ed è stato accusato di massacri e crimini contro l’umanità. Dopo la guerra in Darfur, le RSF si reinventarono come esercito di frontiera, ma il loro potere è sempre rimasto molto forte. Negli ultimi mesi, tra le altre cose, sembra essersi molti intensificato il rapporto di collaborazione tra i Janjawid e il gruppo Wagner, il famoso corpo mercenario russo che combatte anche in Ucraina.

Anche i vertici dell’esercito regolare, di cui Burhan è da tempo uno dei principali esponenti, furono accusati di crimini di guerra e genocidio in Darfur.