I servizi di streaming musicale non sono fatti per la musica classica

Per gli appassionati è da sempre un problema e Apple sta investendo nella ricerca di una soluzione, ma non è facile

(Waltraud Grubitzsch/dpa/ZB)
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Se si cerca la Sinfonia numero 5 di Beethoven sui principali servizi di streaming musicale si trovano decine di risultati in cui lo stesso brano è interpretato, suonato e diretto da una miriade di musicisti diversi. L’abbondanza di offerta, unita all’assenza di organizzazione dei contenuti, è da tempo uno dei problemi principali per gli appassionati di musica classica alle prese con le piattaforme musicali, per motivi tecnologici di natura recente ma anche per come la musica è stata tradizionalmente catalogata.

Il Wall Street Journal ha recentemente raccontato come la soluzione a «uno dei problemi più grandi della musica» sia diventato uno dei nuovi obiettivi di Apple, la società diventata famosa per i suoi telefoni e computer, ma che negli ultimi anni ha cominciato a investire in cose molto meno concrete, come il metaverso, la produzione cinematografica e la musica classica, appunto.

L’interesse di Apple per la musica classica si manifestò per la prima volta nell’agosto del 2021, quando acquisì Primephonic, una startup statunitense-olandese fondata nel 2017 come alternativa alle piattaforme di streaming per gli amanti del genere. Primephonic non era l’unica azienda specializzata nello streaming di musica classica: anche Idagio, fondata nel 2015 a Berlino, propone un servizio simile. In entrambi i casi l’offerta include anche l’ascolto di tipo lossless, una forma di compressione dei file che preserva tutti i dati originali mantenendo un’altissima qualità audio.

Dopo averla acquistata, Apple ha chiuso Primephonic con l’intenzione di trasferire la sua tecnologia in Apple Music, il suo servizio di streaming di musica, nell’anno successivo. A causa di alcuni ritardi, però, le cose sono andate lunghe e Apple Music Classical, l’offerta di streaming musicale di musica classica inclusa nell’abbonamento al servizio Apple Music, è stato presentato solo il 28 marzo scorso. Il problema infatti era più complicato di quanto si potesse immaginare, e Apple è riuscita a risolverlo solo in parte.

Quando una canzone viene caricata su Spotify o Apple Music il file relativo è accompagnato da metadati che recano alcune informazioni sulla traccia, tra cui autore, interprete, produttore, eventuali collaborazioni, data di pubblicazione e così via. Il tipo di informazioni che si possono inserire però rimane invariato per qualsiasi genere, e non contengono indicazioni che per la musica classica sono piuttosto rilevanti, come il direttore d’orchestra o i musicisti che hanno eseguito il brano, rendendo particolarmente difficile la ricerca della traccia giusta da parte degli appassionati.

L’altro problema ha a che fare con la natura stessa di piattaforme come Apple Music e Spotify, che sono state affinate per l’ascolto di musica commerciale – pop, rock, hip hop – in cui ogni traccia esiste in una singola versione, con l’eventuale aggiunta delle versioni dal vivo o di qualche remix. La musica classica funziona in maniera completamente diversa: esistono decine, se non centinaia, di versioni dello stesso componimento, che vengono proposte dagli algoritmi seguendo criteri alieni al settore. La differenza d’approccio diventa piuttosto evidente quando si cerca Mozart su Spotify e ci si ritrova davanti a un’“ultima uscita” dell’artista datata 2023, ad esempio. «Se vuoi ascoltare una canzone di Bad Bunny, sarà nelle tue orecchie in pochi secondi. Se vuoi ascoltare un concerto al pianoforte di Brahms, buona fortuna», ha commentato il Wall Street Journal.

Alla base di tutto c’è la differenza – caratteristica della musica classica – tra il repertorio di un compositore e le registrazioni delle sue opere. Per capirla può essere utile fare un confronto tra un’artista pop come Taylor Swift e un compositore come Mozart: nel primo caso l’artista è anche colei che ha registrato il suo repertorio, mentre ciascun brano di Mozart è stato interpretato e registrato da innumerevoli musicisti, orchestre, solisti e direttori d’orchestra. Mantenendo il paragone, è come se un fan di Swift dovesse districarsi tra centinaia di cover delle sue canzoni ogni volta che vuole ascoltarne una.

La novità di Apple Music Classical, e la soluzione che ha trovato per risolvere il problema, è piuttosto impegnativa e costosa: far inserire i metadati da un team di curatori umani, che selezionano e consigliano le loro versioni preferite di alcune opere, anziché automaticamente. Apple ha fatto sapere che al momento il nuovo servizio offre l’accesso a più di ventimila compositori per un totale di 115mila opere e cinque milioni di tracce.

Il cuore del progetto sta proprio in un diverso sfruttamento dei metadati, che Apple ha arricchito tenendo conto delle esigenze dei suoi ascoltatori. I metadati in uso nella musica pop, ad esempio, «sono solo una frazione di quelli di cui necessita la classica, dove una traccia può essere un movimento di un concerto, avere un compositore ed essere suonata da un conduttore, un’orchestra e uno o più solisti», come ha scritto il sito specializzato Bachtrack. Queste informazioni permettono agli utenti di cercare con più velocità ed efficienza la traccia che vogliono ascoltare: «Nel nostro servizio», aveva spiegato nel 2018 Thomas Steffens, l’ex amministratore delegato di Primephonic, «se cerchi “Mozart 5” ti verrà chiesto se intendi il quinto concerto per pianoforte, il quinto quartetto d’archi o la quinta sinfonia».

Sempre secondo il Wall Street Journal, non si può ancora dire che il problema sia stato risolto: i risultati di ricerca relativi ai singoli compositori sono ancora poco chiari e gli stessi elenchi organizzati in base al nome dei solisti, delle orchestre o dei conduttori possono risultare confusionari.