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  • Mercoledì 5 aprile 2023

La copertura giornalistica dello stato di fermo di Trump è stata un «ritorno al passato»

Sono mancate le immagini da trasmettere e le televisioni hanno dovuto arrangiarsi per raccontare un evento definito «storico»

Trasmissioni televisive durante una conferenza stampa alla Casa Bianca (Photo by Kevin Dietsch/Getty Images)
Trasmissioni televisive durante una conferenza stampa alla Casa Bianca (Photo by Kevin Dietsch/Getty Images)
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Lo stato di fermo a cui è stato temporaneamente sottoposto martedì Donald Trump è stato un fatto storico per gli Stati Uniti: non era mai successa una cosa del genere a un presidente o ex presidente statunitense, e infatti gli eventi della giornata sono stati assai raccontati da giornali e televisioni di mezzo mondo. Nonostante si sapesse da giorni che Trump si sarebbe presentato alle 2:15 al tribunale di Manhattan per la lettura dei capi di imputazione che riguardano il caso per cui è indagato, da un punto di vista televisivo e mediatico i risultati sono stati minimi e deludenti.

Centinaia di giornalisti si erano organizzati per seguire tutti gli spostamenti di Trump nella giornata, e i canali televisivi si erano attrezzati per fare lunghe dirette da diversi luoghi, soprattutto lungo il tragitto che doveva portare l’ex presidente dalla Trump Tower, uno dei grattacieli più famosi di Manhattan (e di sua proprietà), al tribunale. C’erano anche degli elicotteri con a bordo giornalisti che seguivano dall’alto il corteo di auto.

Nonostante l’ampio dispiegamento di mezzi, tecnologie e giornalisti, e malgrado tutti e sei i canali all-news abbiano interrotto la normale programmazione per seguire l’evento, le lunghe ore di diretta sono state riempite per lo più da immagini secondarie: per esempio quelle dei poliziotti schierati a difesa del tribunale e le inquadrature a un corridoio degli uffici del tribunale.

Il divieto di riprendere l’udienza deciso dal giudice Juan Merchan ha tenuto le telecamere fuori dall’aula dove si è tenuto il dibattimento, costringendo i conduttori degli studi televisivi a commentare la giornata partendo dalle poche foto disponibili: i media si sono dovuti inventare una copertura fantasiosa, con un effetto «di ritorno al passato», come l’ha definito Associated Press.

La polizia a difesa del tribunale (Photo by Drew Angerer/Getty Images)

Trump si è visto poco, è comparso per alcuni secondi all’uscita dalla Trump Tower, quando ha salutato le persone e i giornalisti con un gesto del pugno chiuso molto fotografato e destinato a essere riproposto molte volte in seguito.

Donald Trump all’uscita dalla Trump Tower (AP Photo/Bryan Woolston)

È tornato sugli schermi televisivi un’ora dopo e per poco tempo, non più di cinque secondi: uscendo dall’ufficio del procuratore Alvin Bragg è comparso dall’unica porta del corridoio che le telecamere delle televisioni avevano il diritto di riprendere. I commentatori in studio si sono ritrovati a parlare del fatto che nessuno avesse tenuto aperta la porta a Trump e quanto fosse inusuale per un ex presidente aprirsela da solo.

Più in generale, le televisioni hanno provato a descrivere cosa stesse succedendo e come Trump stesse vivendo quel momento analizzando a lungo le sue espressioni, la sua postura e il suo linguaggio del corpo. Il più delle volte lo hanno fatto partendo dalle poche fotografie disponibili.

È andata allo stesso modo anche quando sono stati letti a Trump i 34 capi d’imputazione: come detto, le telecamere non avevano accesso all’aula, ma il giudice ha permesso a cinque fotografi di scattare foto dal box della giuria prima che iniziasse la lettura. I giornalisti delle varie testate hanno fatto lunghe code per assicurarsi l’ingresso, alcuni posizionandosi davanti alle porte dalla sera di lunedì: all’interno però i 60 che sono riusciti a entrare non potevano portare strumenti di registrazione e non potevano aggiornare in tempo reale redazioni e lettori. L’effetto, a parte alcuni “lanci” isolati, è stato che hanno dovuto attendere la fine del dibattimento per riferire in onda o online quanto accaduto.

Anche il silenzio di Trump, previsto ma mai scontato, non ha favorito il racconto in tempo reale: i molti giornalisti presenti hanno provato a ottenere una breve dichiarazione nei vari passaggi da un ufficio all’altro, «urlandogli delle domande» (come scritto durante le cronache), ma non hanno ottenuto risposta. Trump si è espresso attraverso il suo profilo sul social Truth, e il post che definiva la giornata «surreale» è stato ampiamente ripreso e commentato nei vari studi, in assenza di altri argomenti.

Giornalisti fuori dal tribunale (AP Photo/John Minchillo)

I lunghi tempi morti, prima e dopo l’udienza, sono stati occupati con il racconto delle proteste, che sono state minori per numero e intensità rispetto a quanto previsto o temuto, e dei trasferimenti di Trump. Il tragitto in auto verso il tribunale, nonché quello di ritorno verso l’aeroporto, sono stati seguiti con riprese dagli elicotteri, in una copertura che a molti ha ricordato quella della fuga di O.J. Simpson a Los Angeles, uno dei casi mediatici più seguiti di sempre.

Le dirette sono proseguite con la conferenza stampa del procuratore Alvin Bragg e solo alcune ore dopo con quella di Donald Trump dalla Florida, ma questa parte della giornata può essere inserita nel classico racconto a ciclo continuo delle notizie che riguardano l’ex presidente, comune fino a pochi anni fa. L’evento storico era ormai concluso, e aveva lasciato pochissimi momenti mediaticamente memorabili.

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