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  • Giovedì 30 marzo 2023

L’indagine per omicidio sull’incendio al centro per migranti in Messico

Si sospetta che le guardie abbiano lasciato l'edificio che andava a fuoco senza liberare i migranti: sono morte 39 persone

Una protesta per la morte dei migranti nel centro di detenzione di Ciudad Juárez (AP Photo/Christian Chavez)
Una protesta per la morte dei migranti nel centro di detenzione di Ciudad Juárez (AP Photo/Christian Chavez)

Mercoledì Sara Irene Herrerías Guerra, procuratrice messicana specializzata in diritti umani, ha detto che è stata avviata un’indagine per omicidio per l’incendio avvenuto nella notte tra lunedì e martedì nel centro di detenzione per migranti a Ciudad Juárez, nel nord del Messico a ridosso della frontiera con gli Stati Uniti: nell’incendio erano morti 39 migranti, tutti provenienti dall’America centrale e meridionale.

Per ora non si hanno molte informazioni, ma si sa che le persone indagate sono otto, tra cui cinque agenti: due guardie di sicurezza private, due agenti federali e un funzionario dello stato messicano di Chihuahua, lo stato in cui si trova Ciudad Juárez. In sostanza con l’indagine si vuole capire se nell’incendio abbiano avuto delle responsabilità le autorità competenti della gestione del centro: se ci sia quindi stato un mancato intervento da parte degli agenti, che si sospetta possano avere lasciato la struttura mentre l’incendio era già in corso, senza liberare i migranti che erano imprigionati dentro a celle simili a quelle di un carcere.

All’apertura delle indagini ha contribuito la diffusione di un video di una telecamera di sorveglianza all’interno del carcere, in cui si vedono gli agenti che lasciano l’edificio mentre i migranti restano chiusi dentro a una grande cella, che si riempie progressivamente di fumo e di fiamme.


Ciudad Juárez si trova dall’altra parte del confine rispetto alla città statunitense di El Paso, in Texas, ed è una delle città dove i migranti che arrivano dall’America centrale o meridionale si radunano nella speranza di poter attraversare illegalmente il confine, o di chiedere asilo negli Stati Uniti. Le difficoltà di entrare negli Stati Uniti fanno sì che molti migranti siano però costretti a rimanere a Ciudad Juárez, e che in alcuni casi siano arrestati e portati in centri di detenzione come quello in cui si è sviluppato l’incendio.

In tutto, nella struttura erano detenuti 68 uomini. Gran parte di loro si trovavano nel centro di detenzione perché erano stati fermati dalle autorità nel tentativo di attraversare il confine tra Ciudad Juárez e la città di El Paso, negli Stati Uniti.

L’incendio era iniziato nella notte tra lunedì e martedì, e secondo la ricostruzione del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador sarebbe stato causato da una protesta da parte di un gruppo di migranti a cui era stato comunicato che sarebbero stati rimpatriati a breve. «Presumiamo che, dopo aver scoperto che sarebbero stati rimpatriati, abbiano deciso di spingere i materassi del rifugio contro la porta e dar loro fuoco per protesta, senza immaginare che avrebbero così causato questo terribile incidente», ha detto López Obrador.