I trapianti di capelli funzionano?

Sono sempre più diffusi, soprattutto in paesi come la Turchia dove costano meno: il risultato dipende da molte variabili

(Chris McGrath/Getty Images)
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Ogni anno centinaia di migliaia di persone raggiungono Istanbul, in Turchia, attratte non tanto dalla sua storia millenaria e dai suoi monumenti, ma dalla possibilità di sottoporsi a un trapianto di capelli a prezzi più bassi rispetto a quanto pagherebbero nei loro paesi di provenienza, per lo più occidentali. Passeggiando per la città o in fila ai gate del suo sterminato aeroporto è difficile non notare qualcuno con la testa rasata, pronto per l’operazione, o con bende e garze in testa perché convalescente dopo l’intervento. Le cliniche proliferano, i pacchetti turistici tutto compreso (voli, hotel e clinica) abbondano e si stima che l’intero settore abbia un volume di affari intorno al miliardo di euro all’anno.

Un trapianto di capelli in Italia può costare fino a 8-10mila euro (i prezzi variano molto), mentre in Turchia si trovano cliniche dove si può arrivare a spendere un terzo. Le differenze di prezzo possono essere più o meno marcate a seconda dei pazienti e delle loro caratteristiche, delle cliniche e delle tecniche utilizzate per fare i trapianti. In generale, comunque, i prezzi più bassi hanno reso questo tipo di interventi estetici accessibile a un maggior numero di persone. Oltre ai fattori economici, sull’aumento della domanda ha influito l’affermarsi di tecniche più affidabili, meno dolorose e dagli esiti meno incerti rispetto a un tempo sulla riuscita e la tenuta dell’intervento.

Stimare con precisione il tasso di efficacia dei trapianti di capelli non è comunque semplice. La quantità di ricerche in tema nella letteratura scientifica è relativamente bassa e le metodologie stesse per valutare il livello di riuscita dei trapianti variano, sia in base al numero di pazienti seguiti sia al periodo preso in considerazione dopo l’intervento. Tra gli studi più citati ci sono quelli basati sul livello di soddisfazione dei pazienti, consultati a un certo tempo di distanza dall’operazione.

Una ricerca del 2016, per esempio, ha chiesto a un gruppo di persone di valutare l’esito del loro trapianto di capelli a tre anni di distanza dall’intervento. In media il livello di soddisfazione è stato di 8,3 su 10, indicando una buona riuscita del trapianto nella maggior parte dei casi. Una consultazione di questo tipo tra i pazienti non è molto oggettiva, ma permette comunque di rilevare il parametro che in fin dei conti ha maggiore rilevanza per chi decide di sottoporsi a un intervento estetico per sentirsi a proprio agio con il proprio corpo.

La perdita di capelli è un processo naturale che si verifica con l’avanzare dell’età. Non riguarda tutte le persone allo stesso modo e interessa l’80 per cento degli uomini e il 40 per cento delle donne. Il processo può avere numerose cause, ma la più ricorrente è l’alopecia androgenetica, condizione che per cause per lo più genetiche porta il follicolo pilifero a diventare sempre più piccolo, facendo assottigliare i capelli fino alla loro perdita. Il processo può essere in parte arrestato o invertito, ma solo se si interviene prima della perdita completa del capello. Non tutti i pazienti sono ricettivi allo stesso modo (all’alopecia androgenetica si possono sovrapporre altre cause) e di conseguenza non sempre i trattamenti si rivelano efficaci.

La scala Hamilton-Norwood classifica le fasi della calvizie (Wikimedia)

Considerata l’alta incidenza della calvizie, soprattutto tra gli uomini, potrebbe sembrare che ci siano buoni motivi per il nostro organismo per disfarsi a un certo punto dei capelli, ma a oggi non ci sono ricerche convincenti per spiegarne il motivo. Alcuni ipotizzano che per l’organismo mantenere i capelli sia un inutile dispendio di energia, e che di conseguenza la loro produzione rallenti con l’invecchiamento. Altre ipotesi sono legate alla possibilità di rendere libere più aree di pelle per la produzione di vitamina D, legata all’esposizione solare, mentre altre ancora che si tratti banalmente di un caso di selezione genetica meno efficace di altri.

Non è nemmeno chiaro quale sia il motivo per cui gli uomini perdano soprattutto i capelli nell’area delle tempie e nella parte superiore del cranio, mentre mantengano i capelli intorno alle orecchie e sulla nuca. I capelli in questa zona non sono influenzati dall’alopecia androgenetica: non sono soggetti ai processi di assottigliamento evidenti e alla caduta. Sono di conseguenza i candidati ideali per essere trapiantati in altre parti della testa per rinfoltire i capelli o ripristinare la loro presenza.

L’osso occipitale (in verde) in una visualizzazione laterale del cranio (Wikimedia)

Nell’area della nuca, più precisamente in corrispondenza dell’osso occipitale, ci sono mediamente tra le 65 e le 85 unità follicolari per centimetro quadrato, cioè gruppetti di 1-4 capelli che originano dai follicoli sottostanti. La densità varia a seconda delle persone e deve essere valutata con attenzione, prima di procedere all’asportazione delle unità follicolari che saranno poi trapiantate in altre aree del capo.

Con le nuove tecniche si cerca di non superare la rimozione di 15-20 unità follicolari per centimetro quadrato, per evitare il rischio di un eccessivo diradamento dei capelli nell’area occipitale, che diventerebbe poi evidente: il classico caso in cui per risolvere un problema se ne crea un altro dello stesso tipo. In mancanza di capelli anche nell’area occipitale, viene valutata la possibilità di utilizzare peli presenti in altre aree del corpo.

Per assicurarsi che il trapianto sia utile ed efficace, è importante che sia effettuata una diagnosi accurata per verificare le cause che hanno portato il paziente a perdere i capelli. La diagnosi di alopecia androgenetica è relativamente semplice, mentre quella di altre patologie che portano i capelli a cadere può essere più complessa e può richiedere esami approfonditi, compreso un prelievo per l’analisi dei follicoli e della pelle. I pazienti non dovrebbero avere meno di 25 anni, perché prima di quell’età è difficile fare previsioni sulle aree che saranno più interessate dalla perdita dei capelli.

Il calibro del capello, cioè il suo spessore, è un altro importante indicatore da tenere in considerazione per non farsi strane illusioni. I capelli con maggior diametro coprono una maggiore area e quindi danno risultati estetici migliori, mentre i pazienti con capelli sottili potrebbero riscontrare un effetto di pienezza meno evidente, specialmente in alcune aree della testa e se il diradamento è molto avanzato. Se nell’area del prelievo la densità delle unità follicolari è inferiore a 40 per centimetro quadrato, il risultato potrebbe essere al di sotto delle aspettative del paziente e per questo è importante che il medico chiarisca non solo i limiti della tecnica di trapianto, ma anche la sua resa in relazione alla densità e al calibro dei capelli.

I risultati, che sono poi ciò su cui si basa la soddisfazione dei pazienti e da cui possiamo derivare informazioni sull’efficacia dei trapianti, sono esteticamente più apprezzabili nei casi in cui si voglia ridurre la propria stempiatura. I trapianti esclusivamente sulla parte superiore (vertice) del capo sono meno consigliati, perché la successiva perdita di altri capelli potrebbe portare a un effetto “a ciambella”, dove rimangono i soli capelli trapiantati con un risultato innaturale.

E questo è forse l’aspetto meno intuitivo dei trapianti di capelli e quello che porta poi a pensare che un intervento non abbia funzionato. Come abbiamo visto, per i trapianti si utilizzano i capelli meno esposti all’alopecia androgenetica. Salvo rare eccezioni, dopo essere stati trapiantati questi capelli rimangono a vita e non cadono più, a differenza di quelli che già si trovavano nell’area del trapianto e che sono invece soggetti alla calvizie. Col tempo, alcuni di questi ultimi potranno cadere, portando comunque a un diradamento, che potrebbe dare l’impressione di un trapianto mal riuscito. Chi si occupa dell’intervento di solito tiene in considerazione questi fattori, bilanciando la densità delle unità follicolari nelle aree più a rischio.

(Chris McGrath/Getty Images)

Fatte tutte le valutazioni del caso si passa all’operazione vera e propria, la cui durata varia a seconda delle tecniche utilizzate e della quantità di capelli da trapiantare. I capelli del paziente vengono rasati fino a 2 millimetri di lunghezza, in modo da poter osservare chiaramente l’orientamento dei follicoli e la loro angolazione. Lo scalpo viene anestetizzato e le strade seguite sono poi due a seconda del tipo di intervento: in un certo senso ricordano entrambe un travaso di piante, ma con un po’ di sangue.

Nel caso del metodo FUT (trapianto di unità follicolari) il chirurgo asporta una striscia di cuoio capelluto nella parte posteriore della testa lunga tra i 15 e i 30 centimetri e alta circa un centimetro, raggiungendo una profondità di 2-4 millimetri. La ferita viene poi chiusa con i punti, mentre a parte inizia la selezione delle unità follicolari dalla striscia di pelle appena asportata. La cernita viene effettuata al microscopio e deve essere fatta molto delicatamente, eliminando la parte di pelle che non serve senza danneggiare le cellule dei follicoli. Utilizzando poi minuscole lame, il chirurgo crea delle piccole incisioni nelle zone della testa dove la calvizie è evidente in cui saranno innestati i follicoli, mantenendo la stessa inclinazione e orientamento di quelli naturalmente già presenti nella zona.

Il metodo alternativo più impiegato è il FUE (estrazione di unità follicolari) che non prevede di asportare un’intera striscia di pelle, ma di rimuovere una per una le unità follicolari da trapiantare. Uno strumento crea una incisione intorno all’unità follicolare, arrivando a una profondità di circa 4 millimetri, in seguito questa viene estratta e poco dopo collocata nella nuova posizione sulla testa (il video è piuttosto esplicito, avvisati).


Il FUE richiede solitamente più tempo per essere svolto rispetto al FUT, dove con una sola asportazione si ottengono molte unità follicolari per il trapianto. In compenso l’operazione è meno invasiva e non lascia una cicatrice come nella FUT, che viene comunque nascosta dai capelli, ma al tempo stesso è mediamente più costosa proprio per il maggior tempo richiesto per l’intervento. Entrambe le tecniche presentano vantaggi e svantaggi ed è ancora dibattuto se effettivamente una pratica sia meglio dell’altra.

A seconda delle caratteristiche dei capelli del paziente, della loro disponibilità nell’area donatrice e di altri parametri, la quantità di unità follicolari trapiantate varia molto. In media in un primo intervento il trapianto riguarda almeno 2mila unità, ma ci sono casi in cui possono essere necessarie più di 3mila unità. Da tempo si parla di future tecniche basate sull’impiego di cellule staminali (cellule non differenziate che possono poi assumere determinate funzioni), o di ingegneria genetica per clonare i follicoli, ma i progressi vanno a rilento, mentre si sono affinate tecniche e strumentazioni soprattutto legate al metodo FUE.

Al termine dell’operazione, il cuoio capelluto viene disinfettato e successivamente bendato per evitare che le ferite si infettino. La maggior parte dei pazienti indica i primi giorni post operazione come i più fastidiosi, a causa del bruciore e delle pratiche da seguire per evitare danni al trapianto: dormire solo in certe posizioni, medicare le ferite con grande delicatezza e cose di questo genere. Di solito viene prescritto un ciclo di antibiotici per ridurre ulteriormente il rischio di infezioni, che potrebbero danneggiare le unità follicolari da poco trapiantate.

Alcune settimane dopo l’operazione inizia la fase psicologicamente più difficile: i nuovi follicoli vanno incontro a una fase di perdita, che porta in breve tempo tutti i nuovi capelli a cadere. È un fenomeno noto e che è dovuto alle fasi cicliche in cui passa il capello, accelerate dall’operazione, ma veder cadere la chioma da poco conquistata dolorosamente e a caro prezzo non è un’esperienza piacevole. Nelle settimane seguenti, comunque, i capelli tornano a crescere e la situazione si stabilizza con i normali cicli di crescita. Per valutare l’effetto finale occorre attendere circa un anno dall’operazione.

È in quel momento che si risolvono i dubbi e le incertezze, con la risposta alla domanda più importante di tutte per chi è sottoposto all’intervento: l’effetto finale è naturale? Sempre a giudicare dagli studi basati sull’autovalutazione dei pazienti la risposta è di solito positiva, in caso contrario si possono effettuare interventi correttivi per migliorare il risultato.

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La buona riuscita dipende soprattutto da quanto appare naturale l’attaccatura dei capelli sulla fronte, il dettaglio cui prestiamo più attenzione. Se è troppo bassa o con una forma diversa da quella che si aveva in origine, per esempio con un’eccessiva correzione della stempiatura o una linea troppo netta, c’è la possibilità che il trapianto si noti troppo. Per ridurre questo rischio, in genere prima dell’intervento il medico disegna con un pennarello sulla testa del paziente l’area in cui effettuerà il trapianto, in modo da immaginare l’effetto finale. In passato i centri per i trapianti turchi avevano ricevuto qualche critica per aver proposto correzioni della stempiatura troppo evidenti, forse perché condizionati dalle fisionomie mediorientali, non sempre simili a quelle occidentali.

Sull’efficacia del trapianto, sia in termini di follicoli che hanno attecchito sia di resa estetica, può inoltre influire l’esperienza di chi effettua l’operazione. Ciò vale sia per il metodo FUT, in particolare nel momento di selezione delle unità follicolari dalla striscia di pelle, sia per il metodo FUE nella lunga sessione di prelievo e impianto di ogni singola unità. Soprattutto nei centri che effettuano molti interventi al giorno, può accadere che non ci siano assistenti specializzati a sufficienza, in un settore in cui la curva di apprendimento è relativamente lunga. La minore esperienza dovrebbe essere compensata dalla presenza di medici e assistenti più esperti, che dovrebbero formare i nuovi assistenti e sorvegliare le loro attività.

Un rapporto pubblicato nel 2020 dalla International Society of Hair Restoration Surgery (ISHRS), un’associazione senza scopo di lucro che raccoglie migliaia di medici specializzati nei trapianti di capelli, ha segnalato che il 29 per cento degli specialisti effettuava interventi da almeno 20 anni, mentre il personale con meno di 5 anni di esperienza nelle cliniche era pari al 18 per cento.

Sempre secondo l’ISHRS, nel 2019 l’84 per cento degli interventi ha riguardato gli uomini, più esposti delle donne a varie patologie legate alla perdita dei capelli. Più della metà di tutti i pazienti aveva un’età compresa tra i 30 e i 49 anni, con gli uomini che tendono a sottoporsi all’intervento qualche anno prima rispetto alle donne. Il 57 per cento dei pazienti ha ricevuto i risultati desiderati con un solo intervento, mentre il 33 per cento si è sottoposto a un secondo trapianto per migliorare le cose, il restante 10 per cento si è sottoposto a tre o più interventi.

I motivi per cui ci si sottopone al trapianto sono vari e molteplici. Quasi il 35 per cento dei pazienti ha dichiarato di volerlo fare per motivi professionali e di carriera, mentre il 37 per cento per migliorare la propria socialità e la possibilità di avviare nuove relazioni. Nel percepito di alcuni la quantità di persone calve, specialmente nel mondo dello spettacolo, è diminuita negli ultimi anni proprio grazie ai trapianti di capelli o ai trattamenti farmacologici, che possono arrestare la calvizie se avviati per tempo e seguiti con costanza. Anche da questa impressione di meno personaggi famosi senza o con pochi capelli deriva probabilmente un maggiore ricorso ai trapianti.

Raramente comunque i personaggi famosi ammettono di essersi sottoposti a uno o più interventi per rinfoltire alcune aree della testa, anche se online si trovano siti che mettono a confronto le chiome di attori, cantanti e sportivi in periodi diversi evidenziando come abbiano recuperato i capelli. Al di là dei sospetti, attori e attrici sono spesso i punti di riferimento dei pazienti che chiedono un trapianto, con scelte che non sempre sono adeguate alla loro fisionomia. In questo caso è importante che i medici segnalino i rischi di un risultato poco naturale, anche se hanno loro stessi alcune preferenze. Nel rapporto dell’ISHRS i medici hanno indicato gli attori statunitensi Brad Pitt ed Eva Longoria come i personaggi famosi con la migliore capigliatura.