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  • Lunedì 27 marzo 2023

Le manifestazioni e gli scioperi in Israele contro la riforma della giustizia

I sindacati hanno bloccato l'aeroporto di Tel Aviv e sono in corso nuove proteste: il governo potrebbe sospendere la riforma

Manifestanti lunedì 27 marzo a Gerusalemme (AP Photo/Ariel Schalit)
Manifestanti lunedì 27 marzo a Gerusalemme (AP Photo/Ariel Schalit)

Lunedì in Israele i sindacati e i rappresentanti di ampi settori dell’imprenditoria hanno iniziato uno sciopero generale per protestare contro la riforma della giustizia voluta dal governo di Benjamin Netanyahu, che secondo i critici mette a rischio l’autonomia del sistema giudiziario del paese. Hanno aderito allo sciopero la sanità, le scuole, le università, oltre che vari esponenti del settore privato come alcune importanti catene di supermercati, che lunedì hanno chiuso al pubblico la maggior parte dei negozi. Tra le altre cose, i sindacati hanno bloccato l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, il più importante del paese, impedendo tutte le partenze e gli arrivi. Anche le ambasciate israeliane all’estero sono in parte chiuse, perché i dipendenti pubblici hanno aderito allo sciopero.

Gli scioperi di lunedì sono stati indetti dopo che domenica notte migliaia di persone avevano manifestato contro il licenziamento del ministro della Difesa, Yoav Gallant, il quale aveva chiesto il blocco della contestata riforma della giustizia. Le manifestazioni si erano placate nel corso della notte, ma lunedì molte persone si sono tornate a riunire per manifestare a Tel Aviv e soprattutto a Gerusalemme, dove c’è stata un’enorme protesta davanti alla sede della Knesset, il parlamento israeliano. A Tel Aviv i manifestanti, per la seconda volta dopo domenica notte, hanno occupato la principale autostrada della città.

A seguito delle proteste e per timore degli scioperi, secondo i giornali israeliani è probabile che oggi Netanyahu annuncerà l’interruzione del percorso legislativo della riforma: non è ancora chiaro tuttavia se sarà soltanto una sospensione temporanea. Nel frattempo Itamar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra Potere Ebraico e ministro della Pubblica Sicurezza, ha fatto sapere che se l’approvazione della riforma venisse bloccata lui si dimetterà. Invece Yariv Levin, ministro della Giustizia e principale artefice della riforma, ha detto che rispetterà qualsiasi decisione che Netanyahu prenderà.

In Israele le proteste contro la riforma, che secondo i critici limiterebbe l’autonomia del sistema giudiziario israeliano, vanno avanti da mesi, ma quelle di questi ultimi giorni hanno coinvolto ampi settori della società e potrebbero generare ulteriori divisioni nel governo di Netanyahu. Domenica notte le proteste si erano tenute in tutte le principali città israeliane: a Tel Aviv migliaia di persone avevano bloccato l’autostrada (sono stati sgomberati, poi l’hanno bloccata nuovamente lunedì mattina), mentre a Gerusalemme c’erano stati scontri tra i manifestanti e la polizia che protegge la residenza privata di Netanyahu. Dopo le proteste Isaac Herzog, il presidente di Israele (che ha un ruolo soprattutto formale), aveva chiesto di «fermare immediatamente il processo legislativo» della riforma della giustizia, «per il bene del popolo di Israele e in nome della responsabilità».

La riforma della giustizia voluta dal governo di Benjamin Netanyahu prevede, tra le altre cose, che il governo possa nominare i giudici della Corte Suprema, la rimozione di alcuni sistemi di controllo del sistema giudiziario sul governo e in generale una più ampia libertà dell’esecutivo sulle nomine dei giudici.

La riforma (che in parte è già stata approvata) provoca ormai da mesi enormi proteste e contrarietà in Israele, oltre che alcune critiche all’interno del governo stesso. Gallant, ministro della Difesa ed ex ammiraglio della Marina, è stato il primo ad annunciare il suo dissenso esplicito. In un discorso televisivo mandato in onda sabato, Gallant aveva detto che è necessario fermare il processo legislativo perché le grosse proteste degli ultimi tempi stanno comportando un rischio per la sicurezza nazionale: tra le altre cose, le manifestazioni stanno coinvolgendo un numero crescente di militari e soprattutto di riservisti, che sono una parte importante dell’esercito israeliano e che si stanno rifiutando di prendere parte agli addestramenti.

Se le proteste contro la riforma dovessero espandersi ulteriormente, come sembra in queste ore, non è da escludere che le divisioni all’interno del governo israeliano aumentino. Oltre a Gallant, anche il ministro delle Finanze di recente ha espresso alcuni dubbi sugli effetti che la riforma della giustizia potrebbe avere sull’economia del paese. La maggioranza di Netanyahu al parlamento israeliano (64 deputati su 120) è solida per gli standard della politica locale ma non rende il primo ministro immune da eventuali rivolte interne.