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  • Domenica 26 marzo 2023

Come se la passano le squadre di calcio dissidenti

I “protest club” fondati negli ultimi decenni dai tifosi scontenti continuano a raccogliere consensi, ma in Italia sono ancora rari

di Alessandro Austini

I giocatori e i tifosi dell'Austria Salzburg (Austria Salzburg)
I giocatori e i tifosi dell'Austria Salzburg (Austria Salzburg)
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Da anni in diverse città europee esistono squadre di calcio parallele ad altre già esistenti, e più famose, nate proprio come forma di protesta contro il modo in cui vengono gestite le grandi società. Queste squadre sono conosciute a livello internazionale come “protest club” e sono contraddistinte in particolare da finalità sociali. I protest club sono nati in città come Salisburgo, Manchester e Liverpool, dove i tifosi più affezionati alle tradizioni hanno deciso di fornire una loro risposta all’industrializzazione del calcio.

Spesso queste “scissioni” sono avvenute dopo il subentro di investitori o grandi multinazionali nella gestione dei club tradizionali, con un conseguente stravolgimento di metodi e identità per finalità legate al marketing o esclusivamente alla redditività. Questi cambiamenti così radicali hanno avuto come effetto l’allontanamento di una parte del tifo locale, anche se nel frattempo gli investimenti delle nuove proprietà hanno permesso a quelle stesse squadre di raggiungere dei risultati sportivi migliori rispetto al passato.

La struttura di queste società dissidenti si basa solitamente sull’azionariato popolare, la pratica che prevede che la maggioranza delle azioni debba essere posseduta dai tifosi, ognuno dei quali ha un suo peso nella gestione. I soldi incassati vengono interamente reinvestiti, senza essere distribuiti tra gli azionisti, e questo sistema favorisce una miglior connessione con le persone e il territorio. Nelle realtà più partecipate, le raccolte fondi hanno anche permesso di costruire o ristrutturare strutture, a partire dagli stadi.

Uno dei casi più emblematici è quello dell’Austria Salzburg. La società originale fu fondata negli anni Trenta e ottenne ottimi risultati soprattutto negli anni Novanta, quando riuscì a vincere tre campionati austriaci consecutivi e a giocare una finale di Coppa UEFA, che perse contro l’Inter. Nel 2005 il club fu acquistato dal gruppo Red Bull, che ha sede proprio nelle vicinanze di Salisburgo, il quale decise di applicare fin da subito il suo modello di gestione già adottato in altri sport, cambiando il nome, lo stemma e i colori con quelli aziendali.

Red Bull costruì anche un nuovo stadio da 30mila posti, che fu utilizzato per gli Europei del 2008 e al cui interno non esiste alcun riferimento al passato dell’Austria Salzburg. Successivamente il gruppo austriaco acquistò altre squadre in diverse parti del mondo, dagli Stati Uniti al Brasile, creando una rete di club identici e gestiti in simbiosi.

Con Red Bull il Salisburgo divenne la squadre più forte d’Austria, per distacco: dal 2006 in poi ha vinto tredici campionati nazionali, anche quest’anno è prima in classifica e gioca regolarmente le coppe europee. Nonostante le possibilità di crescita garantite dagli investimenti fossero chiare sin dall’inizio, un gruppo di tifosi del vecchio Austria Salzburg non apprezzò i tanti cambiamenti imposti dalla nuova proprietà e già nel 2005 decise di fondare una squadra parallela, che avrebbe mantenuto l’identità tradizionale ripartendo però dalle serie minori.

Lo stadio dell’Austria Salzburg (Alessandro Austini/Il Post)

Quella squadra continua a esistere, gioca le partite in un piccolo stadio da 2.500 posti e, dopo aver vinto diversi campionati minori e aver raggiunto anche la seconda serie austriaca (l’Erste Liga), ora è si è fermata in terza divisione (la Regionalliga). La società è gestita direttamente da un gruppo di circa mille tifosi, che ogni due anni nominano i loro rappresentanti in un consiglio d’amministrazione e partecipano alle riunioni dove vengono prese le decisioni più importanti.

Lo stadio Max-Aicher, pur trovandosi in una zona periferica della città, si riempie ad ogni partita. Sul cornicione della tribuna centrale compare una scritta eloquente: «L’Austria sopravvivrà a tutti voi». «Quando è arrivata la Red Bull non avevamo altra scelta. Hanno comprato la licenza del nostro club per poter giocare nella massima divisione austriaca e hanno cambiato tutto. A quel punto abbiamo deciso di riorganizzarci e dare una seconda vita alla squadra», ha spiegato David Rettenbacher, vice-presidente della società.

Secondo i tifosi che hanno deciso di tifare per l’Austria Salzburg, il calcio si basa anche sulla semplicità e sulle tradizioni. Ogni club ha un’anima e una coscienza da preservare e viene vissuto «come un luogo di incontro sociale in cui le persone tengono l’una per l’altra». Per la Red Bull, invece, la squadra «è solo uno strumento di marketing che serve a vendere più lattine della bevanda che produce».

Nello stesso anno in cui si verificò la scissione a Salisburgo, in Inghilterra un gruppo di tifosi del Manchester United contrari all’acquisto del club da parte del gruppo statunitense Glazer fondò una nuova squadra, il Football Club United of Manchester. Quei tifosi non accettavano l’idea che un proprietario straniero entrasse in un mondo che non gli apparteneva e iniziasse a gestire una società, peraltro storica come il Manchester United, prendendo decisioni senza coinvolgere i tifosi.

Lo United of Manchester è per statuto una società non profit e appartiene ai tifosi, che versarono inizialmente 12 sterline a testa per comprare la propria quota e prendere parte alla gestione del club. All’iniziativa aderirono subito circa 4.000 persone, il nome della squadra fu scelto attraverso un sondaggio e partì dall’ultima divisione del sistema calcistico inglese. Lo stemma del club richiama quello antico del Manchester United e i colori delle divise da gioco sono gli stessi della squadra originale: maglietta rossa, pantaloncini bianchi e calzettoni neri.

A dieci anni dalla sua nascita lo United of Manchester aveva raggiunto il sesto livello del calcio inglese (la National League North, equivalente della Promozione italiana), salvo poi retrocedere. Dopo aver giocato i primi anni nello stadio Gigg Lane, dal 2015 ha sede nel nuovo Broadhurst Park, un impianto da 4.700 posti costruito grazie a un progetto che è stato gestito direttamente dai tifosi-proprietari e che rende la società un riferimento per altre iniziative simili.

Lo United of Manchester non ha l’ambizione di raggiungere il calcio di alto livello ed è diventato un punto di riferimento per iniziative sociali e inclusive. Dalla stagione 2012/13 il club ha diverse squadre giovanili e una femminile, che è arrivata a giocare la quarta serie inglese. Promuove inoltre raccolte di beneficenza e di sostegno ai rifugiati.

Nella vicina Liverpool esistono altre due società dirette dai tifosi. La prima a nascere, nel 2008, fu l’Affordable Football Club Liverpool, che gioca nel nono livello del calcio inglese. “Affordable” significa “abbordabile” e infatti il club fu fondato per consentire alle persone che non potevano permettersi di comprare i costosi biglietti per le partite del “vero” Liverpool di andare comunque allo stadio a seguire una squadra di calcio locale. Il progetto venne avviato da circa mille tifosi riuniti in un’associazione non profit e come iniziativa di protesta contro la politica societaria della proprietà statunitense del Liverpool.

(David Ramos/Getty Images)

Nel 2015 un altro gruppo di circa 500 tifosi della città creò il City of Liverpool Football Club, scegliendo come colore del club il viola: una via di mezzo fra il rosso del Liverpool e il blu dell’Everton, l’altra squadra storica della città. In questa stagione il City of Liverpool partecipa all’ottavo livello del calcio inglese e riunisce gli ex tifosi delle due squadre cittadine, che si erano stancati di seguire il calcio sempre più costoso e “rigido” della Premier League.

Il protest club che ha ottenuto i migliori risultati in Inghilterra è l’AFC Wimbledon, la squadra del quartiere di Londra dove si gioca anche il famoso torneo di tennis. La società originale fu fondata nel 1889, nel 1989 vinse la FA Cup e nel 2002 la sua proprietà decise di spostarsi a Milton Keynes, una cittadina a nord-est di Londra. In quel periodo a Wimbledon non esisteva uno stadio a norma per giocare le partite e il club si era già dovuto trasferire più volte in altri impianti, tra le proteste dei tifosi. Si creò quindi l’opportunità di utilizzare lo stadio di Milton Keynes e la squadra venne trasferita e rinominata in Milton Keynes Dons FC, cancellando ogni legame con il passato.

A quel punto i tifosi decisero di riunirsi in un’associazione e fondare l’AFC Wimbledon: in questo caso la sigla AFC significa “a football club” (una squadra di calcio) e fu scelta per ribadire l’intenzione della società di ripartire dal basso. Grazie a una battaglia legale conclusa nel 2007, i trofei vinti in passato dal vecchio Wimbledon vennero assegnati alla squadra gestita dai tifosi, che iniziò a giocare in un piccolo stadio del quartiere ripartendo dalle serie minori. Nel giro di quattordici stagioni l’AFC Wimbledon ottenne sei promozioni e nel 2016 arrivò fino alla Serie C inglese.

Due anni prima affrontò proprio il Milton Keynes Dons in una partita di FA Cup che fu definita “il derby dell’identità”. Lo scorso anno l’AFC Wimbledon è retrocesso in League Two, ma rappresenta ormai da anni una realtà sportiva stabile ed è tornato a giocare nel vecchio impianto, il Plough Lane, ristrutturato grazie alla raccolta fondi dei tifosi.

In Spagna invece tutte le squadre di calcio sono nate come associazioni sportive senza scopo di lucro per essere gestite attraverso l’azionariato popolare. Solo a partire dal 1992 è stato possibile l’ingresso nel capitale di gruppi privati, con dei limiti imposti sulle quote e sui voti in assemblea. Ad oggi solo quattro club hanno mantenuto la loro natura di associazione senza fini di lucro: Barcellona, Real Madrid, Athletic Bilbao e Osasuna, i cui presidenti continuano a essere eletti dai tifosi. Sulla carta tutti i soci potrebbero candidarsi alla presidenza, ma per farlo devono presentare delle garanzie a copertura degli investimenti promessi in campagna elettorale. Questa regola restringe quindi la lista degli effettivi candidati, che nella maggior parte dei casi sono noti imprenditori, come lo è ad esempio Florentino Pérez, storico presidente del Real Madrid.

In questo contesto, nel 2007 anche in Spagna nacque un protest club. I tifosi dell’Atletico Madrid, seguendo l’esempio di quanto era successo a Manchester, fondarono l’Atlético Club de Socios. «Da soci ci hanno trasformato in semplici clienti» fu l’accusa alla base dell’iniziativa che si è sviluppata negli anni successivi con la creazione di una polisportiva. La squadra di calcio ha raggiunto il suo punto più alto nel 2020, giocando nella sesta serie spagnola.

Tre anni dopo la nascita dell’Atlético Club de Socios, i tifosi del Murcia, squadra nata nel 1999 nel capoluogo dell’omonima comunità autonoma, fondarono il Club de Accionariado Popular Ciudad de Murcia, dopo che la società calcistica originale era stata spostata a Granada e poi definitivamente sciolta. La nuova squadra è tuttora guidata dai tifosi attraverso l’azionariato popolare. In attesa di costruire un proprio stadio di proprietà gioca in un piccolo impianto cittadino, ha ottenuto una serie di promozioni nel corso degli anni e adesso è nel quinto livello del calcio spagnolo, mentre la prima squadra storica della città — il Real Murcia Club de Fútbol — gioca in terza divisione.

In Germania c’è un contesto diverso rispetto agli altri paesi europei. Le squadre di calcio professionistiche non possono essere controllate da un unico soggetto. La maggioranza delle azioni deve essere posseduta dai soci, quindi i tifosi, che rappresentano almeno il “50+1” della proprietà. La regola, salvo rare eccezioni, è tuttora rispettata da tutti i club e crea un grande attaccamento da parte dei sostenitori. Uno degli esempi di gestione più efficace è rappresentato dall’Union Berlino, il club della capitale tedesca dove tutti i soci contano allo stesso modo e il presidente è un normale tifoso eletto dall’assemblea, ma in tutto il paese ci sono tante altre realtà simili.

Tifosi dell’Union Berlino (Maja Hitij/Getty Images)

Non è così in Italia, dove non esistono dei veri e propri protest club. Ci sono invece diverse piccole società calcistiche che vengono gestite attraverso l’azionariato popolare e portano avanti dei progetti di inclusione sociale e di solidarietà. Si tratta perlopiù di realtà di quartiere, come l’Atletico San Lorenzo, fondato nel 2013 nell’omonimo quartiere di Roma, che «si ispira ai principi dello sport popolare, promuovendo la pratica delle attività sportive attraverso un modello partecipato basato sull’autofinanziamento e l’autorganizzazione, rifiutando la logica di chi vede lo sport come uno strumento per trarre profitto», si legge sul sito.

L’Atletico San Lorenzo specifica di non rappresentare alcun partito o movimento politico, ma pone come requisiti necessari per la partecipazione al progetto «l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo». Nel giro di dieci anni la società si è strutturata in una polisportiva con oltre 200 atleti che si dividono fra il calcio, calcio a cinque, basket e pallavolo, con squadre maschili e femminili, oltre a una scuola calcio con un centinaio di iscritti.

A Firenze nel 2004 un gruppo di ultras della Fiorentina decise di abbandonare per protesta le partite della Serie A perché riteneva che le regole introdotte sui comportamenti da rispettare nelle curve fossero troppo rigide. I tifosi iniziarono quindi a seguire l’AC Lebowski, una squadra locale di Terza Categoria, l’ultimo livello del calcio italiano. Nel 2010 lanciarono poi il progetto di un nuovo club chiamato Centro Storico Lebowski, il primo a essere gestito direttamente dagli ultras, che è riuscito a risalire fino al campionato Promozione. Se durante una partita del Lebowski «l’arbitro chiede di far cessare l’accensione dei fumogeni, i nostri dirigenti rifiutano e rispondono di accettare la sospensione della gara e la partita persa», spiega il club.

All’Aquila, invece, nel 2019 due gruppi organizzati di tifosi sono subentrati ai proprietari della squadra cittadina che stava vivendo l’ennesima crisi economica della sua storia. Grazie a una raccolta fondi nel territorio il club è riuscito a coprire i debiti e la squadra è stata rinominata in “Associazione Sportiva Dilettantistica L’Aquila 1927”. Nel primo anno di azionariato popolare è arrivata la promozione nel campionato Eccellenza, lo stesso a cui partecipa la squadra in questa stagione. La scorsa estate è entrato in società un imprenditore, che ha lasciato però la maggioranza delle quote ai tifosi.

Un altro progetto di azionariato popolare che va avanti dal 2012 è l’Ideale Bari, squadra che riprende il nome del primo club della città che negli anni Venti si fuse con un’altra società, dando vita all’odierno Bari, che gioca in Serie B ed è in corsa per tornare in Serie A. L’Ideale gioca invece il campionato di Prima Categoria e continua a essere gestito in prima linea dai tifosi.

Tutte queste iniziative popolari, considerate nel loro insieme, rappresentano un movimento di opposizione alle tendenze globali del calcio di alto livello. Queste tendenze hanno raggiunto il culmine in particolare con il tentativo di alcune delle società più importanti d’Europa di creare un nuovo torneo, la famosa Superlega, un campionato a inviti dove il merito sportivo sarebbe finito in secondo piano. Diverse tifoserie, soprattutto inglesi, manifestarono però fin da subito la loro ferma opposizione a quel progetto. Quelle proteste, condivise poi negli altri paesi coinvolti, contribuirono a far naufragare il progetto, almeno per il momento.

– Leggi anche: La Superlega, spiegata