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  • Mercoledì 22 marzo 2023

Le cose che ancora non tornano sul naufragio a Cutro

A quasi un mese dalla strage di migranti ci sono molte domande senza risposta, a cominciare dal perché non furono inviati soccorsi

La spiaggia di Steccato di Cutro (ANSA/CARMELO IMBESI)
La spiaggia di Steccato di Cutro (ANSA/CARMELO IMBESI)
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È passato quasi un mese dal naufragio avvenuto il 26 febbraio al largo di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone, in Calabria, in cui sono morte almeno 88 persone migranti. Fin dai primi giorni successivi al naufragio si è molto discusso dei ritardi nei soccorsi e dei rimpalli di responsabilità, che potrebbero aver avuto un ruolo nella strage di migranti. A questo riguardo sono state aperte due inchieste, una da parte della procura di Crotone e una da parte di quella di Roma (quest’ultima in seguito a un esposto di alcuni parlamentari che chiedevano di valutare eventuali responsabilità ministeriali).

Ci sono ancora molte cose che non si sanno, e soprattutto resta da chiarire perché dopo l’avvistamento della barca da parte di Frontex, cioè l’agenzia di frontiera dell’Unione Europea, non ci siano stati interventi di soccorso delle autorità italiane. A questo proposito negli ultimi giorni ci sono stati alcuni sviluppi che potrebbero aiutare a capire meglio cosa sia successo dal momento dell’avvistamento, la sera di sabato 25 febbraio, a quello del naufragio, la mattina seguente.

Andando con ordine, alle 22:30 di sabato Frontex aveva segnalato un barcone a 70 chilometri dalle coste calabresi, avvistato dall’aereo Eagle 1, «con una persona sul ponte e possibili altre persone sottocoperta, nessun giubbotto di salvataggio visibile, buona navigabilità a 6 nodi, nessuna persona in acqua». In quel momento il mare era molto mosso, ma Frontex non aveva segnalato difficoltà che rendessero necessaria un’operazione di soccorso.

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Nella segnalazione di Frontex non si parlava esplicitamente di migranti, ma in quella comunicazione c’erano diversi elementi che per chi si occupa di soccorsi avrebbero potuto far pensare che si trattasse di un barcone pieno di persone migranti. Tra le altre cose Frontex faceva notare una “significativa” rilevazione termica in prossimità dei boccaporti della barca: come si è poi scoperto, sottocoperta c’erano quasi 200 persone nascoste.

A questo proposito lunedì Repubblica ha pubblicato diversi documenti del fascicolo d’indagine della procura di Crotone che mettono in luce alcune contraddizioni riguardo alle comunicazioni avvenute tra sabato 25 e domenica 26 febbraio tra le autorità competenti. Va precisato che sono documenti parziali, stralci degli atti delle indagini, e pertanto vanno presi con molta cautela.

Il primo è un resoconto scritto a penna da un ufficiale di turno della Guardia di Finanza dopo la segnalazione della barca da parte di Frontex. Alle 23:20 di sabato, nel giornale delle operazioni l’ufficiale scrive che «si comunica avvistamento Eagle 1 di natante con migranti». Quando riceve la segnalazione da Frontex, quindi, la Guardia di Finanza interpreta la comunicazione come un riferimento a una nave di migranti, ma nell’annotazione di polizia giudiziaria che la sezione operativa navale di Crotone della Guardia di Finanza redige domenica 26 febbraio, dopo il naufragio, quel riferimento ai migranti non c’è più.

Dopo l’annotazione, l’ufficiale di turno dispone l’uscita in mare della motovedetta V5006 e del pattugliatore Barbarisi. Era un’operazione “di intercetto”, come aveva spiegato nei giorni seguenti la Guardia di Finanza, cioè un’operazione di polizia per fermare l’imbarcazione e catturare eventuali scafisti e trafficanti, e non per soccorrere le persone che si trovavano a bordo. L’operazione però fu interrotta per via delle condizioni sfavorevoli del mare.

Nei documenti pubblicati da Repubblica emerge inoltre che sempre la sera di sabato 25 la Guardia di Finanza aveva avvertito la capitaneria di porto di Reggio Calabria dell’avvistamento, e questa aveva detto di «essere a conoscenza del natante» e che in caso di necessità la Guardia Costiera avrebbe inviato un’imbarcazione in soccorso.

Dopo quattro ore, alle 3:20, la Guardia di Finanza aveva contattato di nuovo la Capitaneria di Porto di Reggio Calabria. In quel momento la motovedetta V 5006 e il pattugliatore Barbarisi avevano rinunciato a intercettare la nave per via del mare mosso. La Guardia di Finanza chiede quindi alla Capitaneria se ci fossero navi pronte a essere inviate, e i responsabili della Capitaneria rispondono che «non avendo ricevuto richiesta di soccorso e non avendo certezza della presenza di migranti a bordo e che l’imbarcazione sta navigando regolarmente, non hanno predisposto uscita di unità navali». Circa trenta minuti dopo ci fu il naufragio.

Questi documenti, per quanto parziali, evidenziano il principale dubbio che era già emerso nei giorni immediatamente successivi al naufragio: perché non è stato attivato il protocollo di soccorso di persone in difficoltà (la cosiddetta operazione SAR, Search And Rescue), che è di competenza della Guardia Costiera? È una domanda che ha ancora più valore se venisse confermato quanto detto nell’annotazione della Guardia di Finanza riportata da Repubblica, e cioè che si sapeva che la nave trasportava migranti in condizioni proibitive con mare mosso.

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