Meg White viene sminuita da sempre

La batterista che fu metà del duo rock dei White Stripes è ciclicamente accusata di non essere poi questo granché, un po' per sessismo, un po' perché giudicata con criteri sbagliati

Meg White in concerto con i White Stripes nel 2004. (Frank Micelotta/Getty Images)
Meg White in concerto con i White Stripes nel 2004. (Frank Micelotta/Getty Images)
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Il talento e l’importanza di Meg White, la batterista della band rock dei White Stripes, vengono messi in discussione fin da quando il gruppo acquisì la sua prima notorietà, all’inizio degli anni Duemila. Il tweet di un giornalista statunitense che la sminuiva accusandola di essere «terribile» ha recentemente rinnovato il dibattito, che in realtà potrebbe essere stato risolto: questa volta, infatti, sono intervenuti in difesa di White alcuni suoi illustri colleghi musicisti, che hanno spiegato perché è una batterista eccezionale e come sia stata fondamentale per il successo dei White Stripes.

«La tragedia dei White Stripes è quanto avrebbero potuto essere grandi con una batterista appena dignitosa. Sì, sì, ho già sentito tutti i “ma il suo è un suono così ricercato”. Mi spiace Meg White era terribile», aveva scritto Lachlan Markay, giornalista che peraltro non è molto conosciuto e non si occupa di musica ma di politica. Il tweet, scritto in occasione dell’introduzione dei White Stripes nella Rock & Roll Hall of Fame (un museo in Ohio con grandi capacità di attirare le attenzioni dei media), era comunque diventato virale, ed era stato poi cancellato da Markay in seguito alle moltissime e talvolta aggressive critiche ricevute.

Ma al di là dell’opinione – non argomentata – di Markay, la sua non è una tesi nuova: essere stata metà di un duo che raggiunse il successo mondiale proprio per via del suo stile strumentale e del suo approccio musicale unico non è bastato perché Meg White venisse riconosciuta da tutti come una brava batterista. Viene infatti criticata e svalutata da vent’anni, in parte perché molti appassionati di musica tendono a giudicare i musicisti sulla base sterile del loro virtuosismo tecnico, in parte per via del sessismo che interessa ancora oggi il mondo della musica rock, in cui le donne musiciste hanno molto spesso a che fare con stereotipi e pregiudizi che le rappresentano come meno capaci degli uomini.


«Meg White è una delle più grandi batteriste della storia del rock ‘n roll. Non c’è nemmeno da discuterne. C’è stata una manciata di batteristi che sono istantaneamente riconoscibili nelle loro molte hit, per il loro gusto, per la loro energia e per il loro stile. E lei è in questa lista», ha scritto su Instagram Tom Morello, celebre produttore e chitarrista dei Rage Against the Machine. «Quello che c’è di sbagliato nella musica sono le persone che la privano della sua vitalità come con un filtro Instagram, provando a raggiungere un livello di perfezione musicale che non è funzionale alle canzoni (…) È per questo che io suono come un dilettante approssimativo e ubriaco, perché sono questi difetti l’elemento che manca in tanta musica», ha scritto invece Questlove, batterista dei Roots, in un tweet in cui ha difeso a sua volta White dall’opinione di Markay.

I White Stripes sono esistiti dal 1997 al 2011 ed erano formati da Jack White, uno dei più rispettati chitarristi rock contemporanei, e da Meg White. I due, entrambi di Detroit, erano marito e moglie (lui prese il cognome di lei), anche se a lungo misero in giro false voci sul fatto che fossero fratello e sorella, per alimentare misteri e ambiguità intorno a una formazione – un duo chitarra-batteria e maschio-femmina – vista raramente nella storia del rock.


Il loro fascino e la loro estetica particolare contribuirono al loro enorme successo, ma i White Stripes diventarono una delle band più importanti del primo decennio dei Duemila principalmente perché proposero un rock che era allo stesso tempo duro e puro, ispirato al blues americano e all’hard rock inglese degli anni Sessanta e Settanta, ma anche originale e nuovo, grazie a un grande lavoro di ricerca sui suoni (Jack White è un noto collezionista e appassionato di amplificatori, pedali e chitarre d’epoca). Con dischi come White Blood Cells (2001) ed Elephant (2003) entrarono nelle classifiche e nello star system della musica americana, e contemporaneamente guadagnarono la stima e l’ammirazione degli intenditori di rock, blues, grunge, e dei molti altri generi che integrarono nella loro produzione.

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Molte delle loro canzoni di maggior successo, come “Seven Nation Army”, “The Hardest Button to Button” o “Fell in Love with a Girl”, sono caratterizzate tanto dai riff distorti delle chitarre di Jack White quanto dagli accompagnamenti di batteria di Meg White. Il suo stile era per molti versi simile a quello di Jack: essenziale, di straordinaria intensità, grezzo nei suoni e nell’esecuzione. Al limite dell’errore: come gli assoli di Jack White sono pieni di note sbagliate e di fraseggi raffazzonati, una specie di marchio di fabbrica, a volte Meg White accelerava o rallentava il tempo, in un modo funzionale allo stile volutamente sbilenco della band.


Meg White non era una virtuosa dello strumento, e non le interessava circondarsi di tamburi e piatti da suonare con passaggi veloci e precisi, com’era tipico di certo hard rock e metal degli anni Ottanta e Novanta. Anzi, il suo era proprio un approccio opposto, più artigianale, scalcinato, per certi versi punk. Quello che faceva nei pezzi era molto spesso battere semplicemente molto forte i quattro quarti di ogni battuta, specialmente con il pedale della grancassa o con il crash, uno dei piatti della batteria. Con grande trasporto e intensità, quello che in gergo viene chiamato “tiro”, “groove”, “pacca”. Lo faceva senza imbellimenti che collegassero le battute, i cosiddetti “fill”, che per la maggior parte dei batteristi sono il principale mezzo di espressione (e, per quelli a cui interessa questo aspetto, di esibizione della propria tecnica).

Meg White, Jack White e i White Stripes agirono insomma per sottrazione, come già aveva fatto anni prima il post-punk e il grunge: dopo gli eccessi virtuosistici e pirotecnici di molte band rock e metal statunitensi degli anni Ottanta e Novanta, proposero un rock privo di fronzoli, essenziale, ed efficace proprio in quanto semplice e quasi primitivo. E Meg White fu fondamentale nella costruzione di questo suono e di questo stile.

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Ma per una certa categoria di appassionati di musica, l’abilità tecnica e più nello specifico la ricerca della velocità e della complessità nell’esecuzione sono un criterio fondamentale su cui orientare i propri giudizi. Nel gergo di internet in Italia queste persone sono state talvolta definite “riccardoni” (Matteo Bordone li ha raccontati in un episodio del suo podcast Tienimi Bordone), e spesso sono appassionate di sottogeneri del metal e del rock in cui queste caratteristiche – velocità, difficoltà tecnica, tempi dispari (cioè in sostanza più complessi da gestire), barocchismi vari – sono fondamentali.

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Per certi versi, Meg White ha ricevuto un trattamento simile a quello riservato a Ringo Starr, il batterista dei Beatles, a sua volta uno che non era un virtuoso. Ma come è stato spesso detto a proposito di Starr, giudicare un musicista sulla base di questo criterio serve a poco. Bobby Gillespie, il cantante della band scozzese dei Primal Scream, una volta disse che «una band è brava quanto lo è il suo batterista», intendendo che se un batterista è scarso, è scarsa anche la sua band. Secondo questo ragionamento, insomma, Ringo Starr era bravo quanto erano bravi i Beatles, e Meg White era brava quanto erano bravi i White Stripes.

I White Stripes al “Daily Show with Jon Stewart” nel 2005 (Scott Gries/Getty Images)

Le critiche a Meg White hanno però avuto anche ragioni più banali di sessismo, problema con cui da sempre hanno avuto a che fare le donne che suonano uno strumento nell’ambiente del rock. La batteria in particolare, poi, è considerata da molti ancora oggi una “cosa da uomini”, per il vigore fisico che solitamente richiede.

Se le cantanti che hanno fatto la storia del rock sono decine, le strumentiste sono state molte meno, nonostante ce ne siano state: da Tina Weymouth dei Talking Heads a Kim Gordon dei Sonic Youth a Rosetta Tharpe. È dipeso da vari fattori, tra cui il sessismo che a lungo ha orientato le scelte di musicisti ed etichette discografiche, e il fatto che suonare la chitarra elettrica o la batteria a lungo non è stata considerata un’attività adatta alle bambine, indirizzate più spesso verso gli strumenti ad arco, la chitarra acustica, il canto, il pianoforte. Le cose sono in parte cambiate, e fin dagli anni Novanta è diventato sempre più frequente vedere musiciste donne anche nelle band rock e punk.

Meg White è sempre stata una tipa riservata, dà poche interviste e non ha mai risposto a queste critiche. Anche Jack White è uno che non parla molto, ma in alcune occasioni è intervenuto per difenderla. Già nel 2002 aveva detto: «È perfetta, è la parte migliore della band, davvero. Il suo stile è così elementare che io posso lavorarci attorno. Abbiamo questa forma di telepatia sul palco per cui ci leggiamo nella mente. Se avessimo chiunque altro sul palco si rovinerebbe tutto, credo. È fantastico suonare così». Questa volta è intervenuto più obliquamente nel dibattito con una poesia che ha dedicato alla sua ex moglie, con cui ha ancora ottimi rapporti.

 

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In occasione della discussione di questi giorni, Morello ha argomentato la sua difesa di Meg White: «Fa dei fill molto complicati coi tom [un tipo di tamburi della batteria, ndt]? No, grazie a Dio. Ha stile e personalità e tiro ed energia e gusto ed è fantastica, una fuoriclasse con un carisma intoccabile da voialtri noiosoni incartapecoriti che pensano che ci interessino i vostri virtuosismi sincopati. È una forza, e i suoi dischi sono dei pilastri di come si fa rock sbattendosene di tutto», ha scritto su Instagram.

E ha detto la sua anche Karen Elson, modella, cantante e successiva moglie di Jack White, ormai a sua volta ex, che ha citato il famoso sfogo di Will Smith sul palco degli Oscar prima dello schiaffone a Chris Rock: «Non solo Meg White è una batterista fantastica, Jack ha detto anche che i White Stripes non sarebbero stati niente senza di lei. Al giornalista che se l’è presa con lei, tieni il nome dell’ex moglie del mio ex marito fuori dalla tua cazzo di bocca (per favore, grazie)».