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(Immagine da Facebook)

Una gara di corsa che finiscono in pochissimi

La Barkley Marathons è strampalata nell'organizzazione ed estrema per il suo percorso: quest'anno, per la prima volta dal 2017, qualcuno l'ha finita

di Gabriele Gargantini

La Barkley Marathons è una gara annuale i cui partecipanti provano a correre 160 chilometri – ma probabilmente sono di più – con un dislivello positivo di almeno 18mila metri: come salire due volte sull’Everest partendo dal livello del mare. Provano a correre perché solo pochissimi ci riescono; il dislivello è di almeno 18mila metri perché la gara non si corre su sentieri già tracciati o su un percorso predefinito. Per capire dove andare i partecipanti, che devono riuscire a completarla in meno di 60 ore, hanno una scarna mappa che è data loro prima della partenza, ma non possono usare smartphone né dispositivi GPS.

La Barkley Marathons, che si corre ogni anno in Tennessee, nel Frozen Head State Park, è molte cose insieme. Una delle sfide fisiche più estreme al mondo, ma anche un evento strampalato, che inizia quando un signore barbuto si accende la prima di molte sigarette, circa un’ora dopo che è stata suonata una conchiglia. Una competizione sempre più famosa, ma anche una manifestazione riservatissima, senza canali ufficiali e senza sponsor, il cui costo di partecipazione è di un dollaro e 60 centesimi. Una gara a cui è difficilissimo iscriversi e pressoché impossibile da terminare. La notizia, per quest’anno, è che qualcuno ci è riuscito: l’ultima volta era successo nel 2017.

Il signore barbuto è Gary Cantrell, più noto come Lazarus Lake o anche solo “Laz”. Negli anni Settanta Cantrell, che ora ha quasi 70 anni, faceva l’impiegato e si appassionò alle ultramaratone (le gare di corsa su distanze superiori a quella delle maratone) e agli ultratrail (le ultramaratone corse su sentieri, in genere con migliaia di metri di dislivello positivo).

Non trovandone molte attorno a sé, Cantrell si mise a organizzare ultramaratone e nel 1986 organizzò la prima Barkley Marathons. Marathons perché erano appunto tante maratone, Barkley dal cognome di un suo amico, morto pochi anni fa. L’idea di fare una gara trail tra i monti del Tennessee gli venne leggendo della fallimentare fuga, nel 1977, di James Earl Ray, l’assassino di Martin Luther King. Ray era evaso dal Brushy Mountain State Penitentiary, un penitenziario nel Tennessee occidentale, e nel tentare la fuga tra i monti aveva fatto, prima di essere ripreso, circa venti chilometri in oltre cinquanta ore. Cantrell pensò che si potesse fare parecchio meglio.

Tra il 1986 e il 1995 nessuno riuscì a completare la Barkley Marathons, cosa che ha contribuito a far definire Cantrell «il Leonardo Da Vinci della sofferenza». Negli anni, mentre Cantrell organizzava altre corse altrettanto bislacche ed estreme, come le Backyard Ultra, le Barkley Marathons si sono fatte conoscere prima nella nicchia sempre più in espansione dell’ultrarunning e poi anche oltre, grazie ai media non di settore e soprattutto grazie al documentario Barkley Marathons: The Race That Eats Its Young, realizzato nel 2014. La corsa è anche il soggetto di Finishers – La Barkley raccontata, un recente libro di Alexis Berg, pubblicato per l’Italia da Mulatero Editore.

La locandina del documentario

Nonostante la fama crescente, la Barkley Marathons è rimasta fedele alle origini e anche quest’anno, nella 35ª edizione, ha mantenuto gran parte delle sue tradizioni.

Senza un vero e proprio sito ufficiale e in assenza di altri canali diretti, l’iscrizione alla Barkley Marathons è qualcosa di piuttosto oscuro, in cui bisogna arrangiarsi molto e se possibile farsi consigliare e indirizzare da qualcuno che già l’ha corsa. Per come è fatto e per come si racconta l’evento, inoltre, non è facile orientarsi tra i tanti “si dice”.

Per iscriversi bisogna anzitutto capire a quale indirizzo mail mandare l’iscrizione, che va fatta nel minuto esatto (comunicato con pochissimo preavviso) di un certo giorno. Per iscriversi all’edizione di dieci anni fa, la mail andava mandata alla mezzanotte di Natale: la mezzanotte di Natale del fuso in cui si trovava Cantrell. All’indirizzo vanno mandati anche un testo in cui si spiega perché ci si vuole iscrivere e le risposte a una sorta di questionario con domande di ogni tipo, non tutte con una evidente risposta giusta: da «qual è la più importante categoria di verdure» a «quale sarà il 119° elemento della tavola periodica». Quest’anno ce n’era una che chiedeva di riscrivere il discorso di Gettysburg in Sawveh, un antico e per ora non decifrato sistema di scrittura cinese.

Come ha detto uno dei partecipanti, «se non ti va di fare le ricerche necessarie per provare a partecipare, di certo non ti andrà nemmeno di fare una gara come questa».

Non sono tuttavia chiari i parametri di cui Cantrell tiene conto per determinare chi saranno i quaranta partecipanti, che vengono a sapere della loro avvenuta iscrizione ricevendo quella che è nota come la “lettera di condoglianze”, in cui vengono avvertiti di prepararsi a «fallimento e umiliazione» e a sofferenze indicibili e difficilmente paragonabili ad altre.

I prescelti devono poi presentarsi alla partenza, dove oltre al dollaro e 60 centesimi necessari a pagare la quota d’iscrizione la tradizione chiede loro di portare a Cantrell una targa automobilistica del loro stato o paese di origine (Cantrell le colleziona) e, a seconda dei casi, altri oggetti di poco valore. Nel caso in cui si ripresentino alla partenza, i pochissimi ad aver finito la gara in qualche passata edizione devono portare a Cantrell un pacchetto di sigarette di una specifica marca a lui gradita.

A un certo punto, senza particolare preavviso e a quanto si sa senza nemmeno una ragione specifica per farlo, Cantrell suona una grande conchiglia: può farlo in qualsiasi momento tra la mezzanotte e il mezzogiorno del giorno di partenza, e dal momento del suono i partecipanti hanno un’ora per prepararsi a partire. Dal loro punto di vista, significa insomma dover essere pronti a partire in qualsiasi momento, senza ben sapere come organizzarsi per gestire il riposo e l’alimentazione pre-gara.

La partenza vera e propria, in corrispondenza di una piuttosto anonima sbarra gialla che segna la fine di una strada e l’inizio di un sentiero dove i partecipanti campeggiano in attesa che inizi la gara, è quando Cantrell si accende una sigaretta.

Il percorso cambia ogni anno ma è sempre composto da cinque giri, ognuno lungo tra i trenta e i quaranta chilometri: ma, di nuovo, non essendoci un sentiero vero e proprio la lunghezza dipende da come si muovono i partecipanti, che spesso sbagliano strada e talvolta si perdono, così come è capitato che si perdesse per ore anche il cameraman di un documentario sull’evento. Alcuni giri sono in senso orario, altri in senso antiorario: nel caso del quinto giro il primo a passare decide come farlo, e il successivo lo fa in senso inverso, così da evitare che il secondo abbia modo di seguire chi lo precede.

Per accertarsi che i partecipanti facciano effettivamente il percorso c’è un sistema semplice ma efficace: lungo il percorso ci sono alcuni libri, quest’anno 13, con titoli tra lo scherzoso e il cupo, per esempio “La morte cammina nel bosco”. I partecipanti devono trovare i libri in base alle informazioni sulla mappa fornita alla partenza e poi strappare la pagina che corrisponde a un numero assegnato loro, che viene cambiato al cambiare di ogni giro. Il numero 1, al primo giro, è assegnato – non si sa bene sulla base di quali parametri – a un partecipante da lì in poi noto come “sacrificio umano”. Tra un giro e l’altro le pagine recuperate vanno consegnate a Cantrell, che le controlla tutte.

I libri e il fatto che la gara sia una sorta di prova di orienteering estremo fanno sì che qualche purista dell’ultratrail la consideri una cosa a parte per la sua assenza di sentieri da seguire, ma in genere chi si occupa di gare ultra conosce e apprezza la Barkley Marathons proprio per il suo essere una grande avventura ancor prima che una corsa, una gara che richiede grandissima preparazione fisica ma anche un approccio mentale non comune.

Ben pochi partecipanti, comunque, arrivano al quinto giro. Molti, in realtà, nemmeno arrivano al terzo, che chiude la cosiddetta “fun run”, la corsetta di divertimento. L’unica e comunque minima assistenza prevista è tra la fine di un giro (che finisce solo quando si tocca il cancello giallo) e la partenza di quello successivo: è in questi momenti che, chi vuole e ha tempo, può riposarsi o farsi una doccia. Nell’edizione di quest’anno c’è stato chi, tra un giro e l’altro, si è fatto una doccia mentre cucinava e poi mangiava, e chi ha scelto di dormire con la testa appoggiata a uno dei libri, così da essere certo di essere svegliato dall’arrivo di altri corridori interessati ad aprirlo per strapparne una pagina.

Se qualcuno si ritira e torna indietro prima di finire un giro, il suo rientro è accolto con Cantrell che suona con la tromba il brano che si sente ai funerali militari statunitensi.

Mentre si sta svolgendo, quasi tutto quello che si sa di una Barkley Marathons arriva dal profilo twitter di Keith Dunn, un ex ultrarunner che la segue da anni. Solo alcuni giorni dopo arrivano invece i resoconti dei partecipanti, che spesso raccontano, come succede in gare di questo genere, di aver avuto allucinazioni di vario genere.

La Barkley Marathons di quest’anno è iniziata verso le 10 di mattina del 14 marzo, con al via otto femmine e trentadue maschi, due dei quali erano tra i pochi ad aver mai finito un’edizione. All’inizio del quinto giro erano in gara ancora in quattro (un record) e addirittura tre di loro hanno finito la corsa entro le 60 ore di tempo massimo. Il primo è stato il trentaduenne francese Aurélien Sanchez, che ci ha messo 58 ore, 23 minuti e 12 secondi; al secondo posto, ma dal senso opposto, è arrivato lo statunitense John Kelly, che aveva già finito una Barkley Marathons nel 2017. Il terzo e ultimo a completare la gara, in 59 ore e 53 minuti, è stato il dentista belga Karel Sabbe. Ci avesse messo solo otto minuti in più non sarebbe stato considerato, perché Cantrell è inflessibile sui tempi massimi. Il vincitore, comunque, non ha vinto niente, perché la Barkley Marathons non prevede premi.

Sanchez, Kelly e Sabbe fanno parte di quel circa due per cento di partecipanti che negli ultimi trent’anni può dire di aver completato una Barkley Marathons.

Sempre quest’anno, in un’edizione resa meno difficile dalle condizioni climatiche, l’inglese Jasmin Paris è stata la seconda donna di sempre a iniziare un quarto giro.

A parte casi di partecipanti persi e ritrovati dopo ore (uno dei quali aveva chiesto indicazioni a un cassonetto dell’immondizia) e oltre ai problemi dovuti, quest’anno, a un escursionista che ha spostato uno dei libri da cui prendere le pagine, le Barkley Marathons sono in genere esenti da gravi problemi, visto che comunque a partecipare sono sempre e solo persone che sanno bene quel che stanno facendo.

In genere non ci sono nemmeno troppe critiche al fatto che la gara sia troppo difficile: «È molto facile progettare una gara impossibile, ed è molto facile fare una gara che tutti possono finire», ha detto Cantrell ad Outside: «La cosa davvero difficile è trovare quel punto in cui l’impossibile è soltanto molto molto vicino, e lì sta la Barkley Marathons».

– Leggi anche: La corsa ciclistica più dura di sempre

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