I sindaci che vogliono continuare a riconoscere i figli di famiglie non tradizionali

Sala, Gualtieri, Lepore, Nardella e Lo Russo, tutti del PD, sembrano voler andare contro le decisioni del governo

(ANSA / MATTEO BAZZI)
(ANSA / MATTEO BAZZI)
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Negli ultimi giorni i sindaci di importanti città italiane hanno detto di voler continuare a trascrivere i certificati di nascita dei figli nati da coppie che abbiano fatto ricorso alla gestazione per altri o da coppie di donne che abbiano fatto la fecondazione assistita all’estero. La gestazione per altri (GPA) è la tecnica che prevede che la gravidanza sia portata avanti da una persona esterna alla coppia. In questi giorni si sta parlando di questi casi soprattutto per una circolare del ministero dell’Interno che invita a non registrare i genitori non biologici negli atti di nascita di figli nati con queste tecniche.

I sindaci in questione sono quelli di Bologna (Matteo Lepore), Milano (Beppe Sala), Firenze (Dario Nardella), Roma (Roberto Gualtieri) e Torino (Stefano Lo Russo), tutti del Partito Democratico: la loro posizione è in contrasto con quella del governo di Giorgia Meloni, che una decina di giorni fa ha chiesto che tutti i sindaci smettano di trascrivere i certificati di nascita dei figli nati all’estero con la GPA, richiesta estesa a Milano anche per le coppie di donne che ricorrono alla fecondazione eterologa all’estero, cioè la donazione esterna di gameti, in questo caso di spermatozoi.

In particolare il sindaco di Bologna, Lepore, che già in passato aveva espresso posizioni vicine alle famiglie non tradizionali e alla comunità LGBT+, ha detto che il suo comune continuerà a trascrivere i certificati di nascita di coppie che abbiano fatto ricorso a gestazione per altri o a coppie di donne che abbiano fatto ricorso alla fecondazione eterologa all’estero.

Lepore ha detto: «Ci assumiamo le nostre responsabilità ma il vuoto normativo va colmato subito», riferendosi all’assenza di una legge sul riconoscimento del legame di parentela tra figli e genitore non biologico, cioè la madre che non ha partorito o l’uomo che non ha donato il seme per la nascita (per esempio nel caso della GPA fatta da due uomini). La mancanza di una legge del genere è un grosso problema, che da anni provoca discriminazioni di vario tipo prima di tutto per i figli.

Anche se con indicazioni più vaghe, anche i sindaci di Firenze e Milano, Nardella e Sala, si sono detti «pronti a ripartire» con i riconoscimenti. Sala, che proprio la settimana scorsa aveva detto che il suo comune avrebbe smesso di inserire entrambi i genitori nei certificati di nascita a seguito delle indicazioni del ministero dell’Interno, ha detto che ricomincerà a farlo «se il parlamento riapre il dialogo», eventualità che al momento sembra improbabile. Sala ha detto di voler fare del riconoscimento dei figli di famiglie non tradizionali una sua «battaglia» politica.

I sindaci di Roma e Torino, Gualtieri e Lo Russo, hanno detto invece di essersi attivati per fare rete insieme agli altri sindaci, per trovare modi di continuare a tutelare i figli di famiglie non tradizionali e fare pressione sul governo affinché faccia una legge. Anche il sindaco di Treviso Mario Conte, della Lega e tradizionalmente vicino ai diritti della comunità lgbt+, ha invitato il parlamento a legiferare e detto che non devono esserci discriminazioni.

In Italia la mancanza di una legge sul riconoscimento tra figli e genitore non biologico è una diretta conseguenza dei divieti esistenti sulla procreazione assistita, che permetterebbe di avere figli a chi non può averli in modo naturale, come le coppie di donne o di uomini: in Italia il ricorso a queste tecniche è permesso solo alle coppie eterosessuali sposate o conviventi, mentre la gestazione per altri è vietata a tutti.

Molte persone quindi per avere figli devono andare all’estero, e poi chiedere il riconoscimento del legame giuridico tra figli e genitore non biologico, con tutte le tutele, i diritti e i doveri che questo comporta. C’è stato un momento, la cosiddetta “primavera dei sindaci” del 2018, in cui era possibile chiedere questo riconoscimento direttamente all’ufficio di stato civile, e in cui molti sindaci usavano i propri poteri per permettere il riconoscimento anche in assenza di una legge.

Già prima della circolare del ministero, a seguito di alcune sentenze della Corte di Cassazione, sempre più amministrazioni locali avevano smesso di farlo. Il governo vorrebbe estendere il divieto a tutte le città, come indicato nella circolare del ministero dell’Interno inviata a tutte le prefetture.

Prevedere gli effetti di questa circolare non è così scontato, perché il quadro normativo non è chiarissimo, in assenza di una legge, e per gli amministratori ci sono margini per continuare i riconoscimenti.

Filomena Gallo, avvocata e segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni, che segue molti casi di coppie costrette ad andare all’estero per avere figli, ha citato per esempio un decreto del presidente della Repubblica del 2000, proposto dal governo di Giuliano Amato, in cui si dice che le dichiarazioni di nascita di cittadini nati all’estero devono essere fatte secondo «la legge del luogo» in cui sono state registrate, cioè trascritte in modo fedele. Significa che se un certificato di nascita straniero dice che due donne sono madri di un figlio, la sua trascrizione italiana deve dire lo stesso.

Gallo cita inoltre una norma del Massimario per l’Ufficiale di Stato Civile, in cui si dice che «non compete all’ufficiale di stato civile entrare nel merito dello status del neonato ed esprimere valutazioni contrastanti con quanto risulta nella documentazione presentata»: cioè, di nuovo, non compete all’ufficiale di stato civile trascrivere qualcosa di diverso da quanto presente nel certificato originale.

In assenza di riconoscimento alla nascita, l’altro modo per ottenerlo è l’adozione in casi particolari, la cosiddetta “stepchild adoption”: una via molto più lunga, dispendiosa e psicologicamente faticosa, in cui tra la nascita e il riconoscimento possono trascorrere anche anni in cui uno dei due genitori non è riconosciuto. Significa che può aver bisogno di una delega per andare a prendere i suoi stessi figli a scuola o che non può firmare un permesso per una gita scolastica. In un’intervista molto discussa e criticata data domenica a Lucia Annunziata nella trasmissione Mezz’ora in più, Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, ha detto che non c’è bisogno di fare una nuova legge perché la “stepchild adoption” offre già tutte le tutele di cui i figli di famiglie non tradizionali hanno bisogno.

In trasmissione Annunziata ha contestato la condotta del governo che non colma il vuoto legislativo: «prendetevi la responsabilità di farle queste leggi, cazzo!», ha detto Annunziata prima di scusarsi con la ministra e con i telespettatori per il linguaggio utilizzato.

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