• Mondo
  • Martedì 14 marzo 2023

Gli stupri su bambine e bambini commissionati in streaming

Li ha raccontati Le Monde in un'inchiesta: individuare e condannare i committenti di questi video non è semplice

Immagine dal reportage di ARTE "Philippines : viols d’enfants en ligne, l’enfer derrière l’écran"
Immagine dal reportage di ARTE "Philippines : viols d’enfants en ligne, l’enfer derrière l’écran"
Caricamento player

Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato un lungo reportage su gravi atti di pedocriminalità commessi in diretta streaming: cittadini europei o di altri paesi occidentali commissionano, comprano e guardano gli abusi sessuali commessi in paesi come le Filippine su bambine e bambini anche di pochi mesi proprio mentre avvengono. Non c’è una grande organizzazione criminale dietro a questo tipo di violenza sessuale, spesso incestuosa: tutto avviene in casa e attraverso social network, programmi e società di pagamenti elettronici molto diffusi e ordinari.

[Attenzione, questo articolo contiene alcune descrizioni di abusi commessi su minori]

Le Filippine sono il primo paese dove questo tipo sfruttamento si verifica materialmente, ma ne sono coinvolti anche altri. Si tratta, spiega Le Monde, di un reato che è aumentato costantemente negli ultimi dieci anni, che si è aggravato durante la pandemia e che, per vari motivi, è molto difficile far emergere.

Il reportage di Le Monde è stato scritto dalla giornalista Lorraine de Foucher. È stato pubblicato tra il 9 e l’11 marzo in tre puntate, accompagnato anche da un documentario di circa mezz’ora che si può vedere in francese o in tedesco su Arte.

Sia l’inchiesta che il documentario si aprono con la storia di Diwa, una bambina filippina di 11 anni. Racconta come la madre biologica e altri familiari hanno quotidianamente abusato di lei, del fratello adottivo di 8 anni e del cugino di 6 davanti a una webcam. Diwa racconta che, prima di essere portata via dalla famiglia e trasferita in una casa rifugio aveva un solo «giorno libero» alla settimana, durante il quale gli abusi si fermavano, che la «chiamavano sempre», anche dopo che era andata a dormire, e che la famiglia la ricattava: «Mi dicevano che era per loro, che era solo un momento. Che era per riparare il tetto». E le dicevano anche che se non avesse fatto quello che le chiedevano l’avrebbero cacciata di casa «tutta nuda».

È difficile sapere con precisione quante persone abbiano ordinato a distanza lo stupro di Diwa. Lei racconta che gli sconosciuti che vedeva sul telefonino e che la guardavano mentre veniva abusata erano «sempre nuovi, ogni volta»: «Ero la loro preferita perché sono una ragazzina». Mentre parla con la giornalista di Le Monde, Diwa si trova in una casa rifugio di Olongapo, città delle Filippine settentrionali a ovest di Manila, la capitale.

La casa rifugio è stata creata da Shay Cullen, un prete irlandese di 79 anni che attraverso la fondazione Preda, creata quarant’anni fa, ha dedicato la propria vita ai minori e alle minori vittime di violenza e sfruttamento sessuale. Spiega che nel 1969, quando era un giovane missionario appena arrivato nelle Filippine, veniva confuso per un soldato americano. A Olongapo si trovava infatti la seconda più grande base militare all’estero degli Stati Uniti, che raggiunse la sua massima espansione durante la guerra del Vietnam. La città, racconta il prete, offriva ai marines che tornavano dalla guerra «uno svago sessuale». Ma oggi lo sfruttamento, compreso quello di bambine e bambini, «ha abbandonato i marciapiedi per entrare nel mondo dei social network, dove gli stupri non sono più consumati direttamente, ma attraverso uno schermo».

Per nominare questo reato la polizia francese usa l’espressione “pedocriminalità in live streaming”, un fenomeno apparso nel 2012 che consiste nel trasmettere, su commissione, tramite webcam a fini commerciali video di violenze sessuali commesse da adulti su minori. È un’industria particolarmente sviluppata nei paesi dell’Asia meridionale dove questa attività costituisce, di fatto, un’alternativa alla miseria. Nelle Filippine la pratica viene chiamata con l’acronimo “OSEC”: Online Sexual Exploitation of Children.

L’International Justice Mission (IJM), organizzazione internazionale che lotta contro queste forme di violenza, dice che negli ultimi tre anni i reati sessuali commessi su minori in live streaming sono triplicati. In un rapporto del 2020 scrive anche che le segnalazioni arrivano otto volte più dalle Filippine che da altri paesi come Brasile, Messico o India. Dice che nel 41 per cento dei casi gli stupri sono commessi dai genitori biologici e nel 42 per cento da altri familiari: il che ne fa un reato prevalentemente incestuoso. A Nanterre, in Francia, l’Ufficio Centrale per la Repressione delle Violenze contro le persone (l’OCRVP, una divisione speciale della polizia) ha aperto una quarantina di dossier su casi di OSEC nelle Filippine: coinvolgono circa trecento cittadini francesi.

Quando nelle Filippine un caso di OSEC arriva ai servizi sociali, i bambini e le bambine vengono date in affidamento e spesso finiscono nella casa rifugio della fondazione Preda dove, al momento dell’inchiesta di Le Monde, si trovano quasi 200 minori. Ci sono bambini e bambine, ci sono alcune adolescenti incinte e altre che tengono in braccio dei neonati partoriti dopo le violenze. Tutte e tutti sono lì per lo stesso motivo: «Uno stupro», dice Shay Cullen.

Per aiutare i bambini e le bambine a superare il trauma, e anche per ottenere delle testimonianze che possano poi permettere di avviare un’indagine formale, Shay Cullen usa la terapia del rilascio emotivo. «È l’unico modo che questi bambini hanno per esprimere la loro rabbia. Ci hanno detto che sono stati violentati, che non sono protetti dalla loro famiglia e che nessuno si prende cura di loro».

Il giorno in cui la giornalista di Le Monde è stata alla casa rifugio di Shay Cullen una dozzina di ragazzine è stata riunita in una stanza semi-buia. Le pareti erano ricoperte di cartoni per uova e il pavimento di materassi in gommapiuma. Lì, le bambine hanno cominciato a piangere, a urlare, a picchiare i pugni sui materassi e sui muri per cercare di liberare il loro dolore. Alla fine, è stata accesa la luce e Marie, una delle assistenti sociali della fondazione, ha preso parola: «Ho sentito tutte le vostre urla e il vostro dolore, sento il vostro dolore». Spesso, a quel punto, iniziano i racconti e le bambine e i bambini riescono a mettere insieme le parole per raccontare quello che hanno subìto: «Vorrei che chiunque mi abbia fatto questo possa soffrire come soffro io», dice una di loro.

Marie ha raccontato a Le Monde che i bambini e le bambine vittime di sfruttamento sessuale in diretta streaming nonostante la giovanissima età hanno molte informazioni sui social utilizzati per i loro abusi o sui canali attraverso i quali avvengono i trasferimenti di denaro. E non sono né particolarmente segreti né complessi da individuare. I primi contatti con cittadini europei o americani avvengono su forum, siti porno o su Facebook. Le dirette avvengono su Facebook o su Skype e le transazioni su Western Union o PayPal.

I genitori e gli zii adottivi di Diwa, ad esempio, hanno cominciato pubblicando foto di lei su Facebook: immagini banali del suo compleanno mentre tiene tra le mani un palloncino a forma di numero 10 e mentre guarda una torta. Queste foto erano in realtà «una pubblicità per i predatori occidentali», dice Shay Cullen. La polizia filippina ha poi intercettato uno scambio tra la madre di Diwa e un certo René, residente in Svizzera: «Cosa mi fai per 200 dollari?», «Se vuoi un video di mia figlia, dovrai mandare un regalo più grande. La posso scopare con il mio compagno. Lei è mia figlia, ha 10 anni, è vergine. Non la posso sacrificare per niente». Da un’analisi degli estratti conto, risulta che gli zii di Diwa, sfruttandola, abbiano guadagnato molti soldi per il paese in cui vivono: 4.500 dollari, più di 4.200 euro, ovvero lo stipendio medio di un anno. Diwa, il fratello e il cugino sono stati liberati nel novembre del 2021.

Parte di una conversazione riportata da Le Monde tra un “committente” e la madre di Diwa.

Per cercare di scoprire gli stupri che avvengono in questa modalità, gli agenti della polizia filippina creano delle false identità. Hanno ad esempio creato il profilo Facebook di un uomo di nome Hugo, che vive in Germania. Nel luglio del 2019, Hugo è stato contattato da una 24enne, Jocelyn G., che vive a Taguig, vicino a Manila: «Ti piacciono le ragazzine?», scrive lei. «Se le ragazzine si mettessero nude per te, tu pagheresti?». A quel punto la donna invia una serie di banali foto di famiglia, in cui sono presenti delle bambine, e dice che ha difficoltà a pagare l’affitto. Per quattro volte chiede al falso Hugo di che età voglia le bambine. La conversazione prosegue con varie trattative su prezzi e servizi, che variano tra i 30 e gli 80 euro a seconda del numero di bambine coinvolte e del tipo di pratica sessuale richiesta. In quattro giorni, Jocelyn chiama Hugo undici volte, insiste molto, dichiara di essere malata e povera e di non avere niente da mangiare. Chiede anche che Hugo le faccia consegnare a casa un cellulare e la polizia viene dunque a conoscenza del suo indirizzo. Il 30 luglio del 2019 è il giorno deciso per il live streaming in cui Jocelyn coinvolge la sorella di 7 anni, Angelica. Jocelyn si collega a Facebook Live, gli abusi cominciano e la polizia, appostata fuori casa, fa irruzione. Liberano Angelica e altri due bambini di 1 e 2 anni. Il giorno successivo, Angelica viene accolta in una casa rifugio e l’assistente sociale le fa delle domande su quello che ha subito. La conversazione viene riportata da Le Monde:

“Quanti anni hai, Angelica?”
“Sette anni”

“Cosa fanno tuo padre e tua madre?”
“Mio padre è un autista di tuk-tuk, mia madre non lavora”.

“Sai dove ti trovi, ora?”
“Al rifugio per bambini”.

“E sai perché sei qui?”
“Per quello che mi ha fatto mia sorella Jocelyn”

“Che cosa ti ha fatto?”
“Mi fa spogliare davanti al telefono e mi lecca là”
(Nella sua relazione l’assistente sociale riporta che la bambina mostra le sue parti intime).

“Quante volte l’ha fatto?”
“Quando ha bisogno di soldi per comprare il riso”

“E come funziona ?
“Filma mentre parla americano”

“Obbliga anche altre persone a spogliarsi?”
“Sì, i bambini della porta accanto e il bebé”

“Tua madre è d’accordo?”
“Sì, ci servono i soldi”

L’assistente sociale che ha parlato con Angelica si chiama Arlene Brosas: dopo anni passati a fare l’assistente sociale è diventata deputata alla Camera per il partito che si occupa dei diritti delle donne, il Partito delle donne di Gabriela. Le Filippine, spiega a Le Monde, «faticano a garantire diritti a donne e bambini». Dice anche che l’estrema povertà e la malnutrizione ancora diffusa in molte regioni hanno trasformato l’arcipelago nel «leader mondiale dello stupro online»: di fatto, la vendita di minori è una fonte di reddito.

C’è la questione economica, dunque, ma ci sono anche altre ragioni, spiega Brosas: la popolazione parla molto bene l’inglese, le connessioni Internet sono di buona qualità un po’ ovunque e molti genitori sono emigrati lasciando i bambini alla famiglia allargata. Le Filippine non sono comunque l’unico paese coinvolto nelle pratiche di pedocriminalità in diretta: ci sono anche alcuni paesi dell’Africa o dell’Europa dell’Est, ci sono l’India, il Brasile e il Messico.

Nel 2022 Mama Fatima Singhateh, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla vendita e lo sfruttamento sessuale dei bambini e delle bambine, è stata nelle Filippine spiegando, nella sua relazione finale, che ci sono diverse cose che non funzionano per affrontare con efficacia il problema: l’assenza di dati precisi del fenomeno, la difficoltà a individuare i casi di stupro online, l’assenza di sufficienti e adeguate strutture di accoglienza e cura per le vittime e l’assenza di cooperazione nazionale e internazionale. La Francia, spiega Le Monde, ha da poco inviato un agente dell’OCRVP all’ambasciata di Manila per sviluppare delle procedure condivise tra i due paesi.

Tra gli aggressori di Angelica c’è un francese sulla sessantina, incriminato per “complicità in uno stupro” da un tribunale di Parigi. A casa sua sono state trovate centinaia di migliaia di video, alcuni dei quali hanno a che fare con casi di OSEC. L’uomo dice di non aver commissionato direttamente quei video. Ma lo studio dei suoi movimenti bancari rivela tanti piccoli bonifici, per un totale di quasi 25.000 euro, effettuati tramite Western Union e PayPal a parenti di genitori che sfruttano i propri figli nelle Filippine. Lui si è difeso parlando di «transazioni per aiuti alimentari»: «Si vedeva che erano nei guai».

La dissociazione tra quanto è accaduto e quanto narra quest’uomo chiamato Michel è piuttosto “tipica”, si dice nell’inchiesta di Le Monde. La psicologa incaricata della sua perizia ha spiegato che «l’atto non viene riconosciuto dal punto di vista delle sue conseguenze per sé e per gli altri: viene meno la consapevolezza dell’alterità». L’uomo non ha «capacità empatiche» per i bambini vittime, specialmente quando sono visti in un video e si trovano dall’altra parte del pianeta.

A Nanterre, Véronique Béchu è la responsabile della sezione minori dell’OCRVP. Ha sentito sostenere centinaia di volte la linea difensiva come quella di Michel: sono “solo” immagini. «Non tutti i committenti di abusi tramite streaming e i consumatori di video e foto passano ai fatti. Ma tutti coloro che hanno agito, hanno visto almeno una volta queste immagini. In circa il 15 per cento dei casi diventano committenti, aggressori o complici».

Béchu spiega che in tre anni, in Francia, le denunce sono aumentate del 30 per cento. Nel 2020, il suo ufficio ha ricevuto 25 mila segnalazioni. Nello stesso anno, il National Center for Missing and Exploited Children (NCMEC), organizzazione legata al Congresso degli Stati Uniti, ha emesso 85 mila segnalazioni che riguardavano residenti in Francia.

Ma c’è un dato che più di tutti preoccupa Véronique Béchu. L’età media delle vittime. Nel 2021, l’età media dei bambini e delle bambine presenti nei video e nelle immagini da loro analizzate era di 24 mesi. Da settembre 2022 è di 8 mesi. Béchu spiega che la pedocriminalità è socialmente trasversale, che coinvolge uomini egocentrici, narcisisti e immaturi, come spiegano gli esperti, che usano questi video come una valvola psichica. Come nella dipendenza da sostanze, quando la quantità o la potenza delle dosi deve via via aumentare, anche in questo caso c’è la ricerca costante e progressiva di maggiore violenza degli atti a cui si assiste: per questo l’età delle vittime cala notevolmente.

Negli ultimi anni, spiega Le Monde, la cui inchiesta si concentra molto sui casi francesi, l’OCRVP ha cercato di rafforzare la propria risposta al fenomeno. La sezione minori dell’OCRVP sta per diventare un ufficio a sé, aumentando da diciotto a cinquanta i poliziotti attivi. Prima del 2019, inoltre, in Francia i casi di abusi in streaming venivano gestiti dalla procura del luogo dove veniva individuato l’autore, in tribunali a volte scarsamente formati sul fenomeno che arrivavano a condanne per semplici reati di detenzione e diffusione di immagini pedopornografiche. Ora i procedimenti hanno cominciato a essere inoltrati alla procura di Parigi, che sta aprendo indagini per “concorrenza in stupro, associazione a delinquere e tratta di esseri umani”, dunque accuse penali più gravi.

L’ultima parte dell’inchiesta di Le Monde spiega come far emergere il fenomeno e poi dimostrarlo in tribunale non sia comunque una cosa semplice, come non lo è identificare le vittime. Le dirette streaming sono per loro natura effimere, nella maggior parte dei casi non vengono né registrate né archiviate e la difesa comune per gli indagati è sostenere che lo streaming alla fine non sia avvenuto, che si trattava di una truffa. Se tra le migliaia di video archiviate da Michel non ci fossero stati anche quelli realizzati in diretta, lui non sarebbe stato incriminato.

In assenza di video registrati, la polizia deve basarsi sulle conversazioni nelle varie chat e sulle varie transazioni bancarie. «Il settore finanziario gioca un ruolo cruciale nella lotta contro la violenza sessuale sui bambini online e in live, perché l’informazione finanziaria è una delle prove più solide», spiega la divisione francese di ECPAT, una rete internazionale di organizzazioni impegnata nella protezione di bambine e bambini da ogni forma di sfruttamento.

– Leggi anche: La Francia vuole garantire ai minori il diritto alla loro immagine online

Le grandi società di tecnologia collaborano con le autorità, ma faticano a rilevare contenuti illegali fruiti attraverso gli strumenti che mettono a disposizione. E gli ostacoli non sono solo tecnici, dice Le Monde. «In termini di pedocriminalità, le principali piattaforme esistenti hanno l’obbligo di collaborare con la polizia, ma nessun obbligo di individuazione», dice ad esempio Ludivine Piron, di ECPAT.

Ci sono associazioni che forniscono alle società un accesso alle banche dati contenenti le tracce digitali delle attività, delle azioni o delle comunicazioni manifestate da un utente in rete e che sono collegate a reati di pedocriminalità. Ed esistono anche software che consentono di confrontare le foto che si trovano online con un database di immagini da bloccare automaticamente (per esempio photoDNA di Microsoft). Ma sono tecnologie utilizzate su base volontaria, che non servono a rilevare nuovi contenuti in modo adeguato o che non vengono utilizzate per il monitoraggio dei contenuti in streaming.

Delle tecnologie più adeguate però esistono, dice Le Monde, come ad esempio quelle sviluppate da Yubo, un’app che permette di fare videochiamate con persone sconosciute da ogni parte del mondo e che è usata principalmente dagli adolescenti. Yubo blocca automaticamente i contenuti che ritiene problematici attraverso l’acquisizione regolare di screenshot durante gli streaming, che vengono analizzati dall’algoritmo con l’intervento, se necessario e nei casi più ambigui, dalla moderazione umana.

Ciò che secondo Le Monde impedisce alle grandi società di migliorare il rilevamento dei contenuti illeciti è l’investimento finanziario che comporterebbe il rafforzamento della moderazione umana, necessaria per verificare gli alert dati dai sistemi di rilevamento automatico: di questo investimento «le piattaforme fanno volentieri a meno se non sono obbligate a farlo». Altro motivo è la tutela della privacy online. Nel 2021 Apple aveva annunciato ad esempio l’introduzione di un meccanismo per individuare le immagini pedopornografiche direttamente sui dispositivi mobili venduti dall’azienda negli Stati Uniti. A causa delle preoccupazioni sulla privacy online, il progetto è stato abbandonato.

Una svolta potrebbe arrivare, per alcuni paesi, dalla Commissione europea che, nel maggio del 2022, ha proposto una bozza di regolamento comune per potenziare la tutela dei minori online e la prevenzione degli abusi: impone degli obblighi alle grandi società di tecnologia al fine di rilevare, segnalare e rimuovere il materiale pedopornografico e si occupa anche, in modo specifico, dei servizi di streaming.