Gli Oscar di vent’anni fa

La cerimonia si svolse pochi giorni dopo l'invasione dell'Iraq, fu l'anno di “Chicago” e Adrien Brody, e anche di Harvey Weinstein

Adrien Brody, Nicole Kidman, Catherine Zeta-Jones e Chris Cooper – Oscar del 2003 
(Frank Micelotta/Getty Images)
Adrien Brody, Nicole Kidman, Catherine Zeta-Jones e Chris Cooper – Oscar del 2003 (Frank Micelotta/Getty Images)
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Quasi vent’anni fa, il 23 marzo 2003, si tenne a Los Angeles la 75ª edizione degli Oscar. Come l’anno prima fu ospitata dal Kodak Theatre e come due anni prima fu condotta dall’attore comico Steve Martin. Il premio per il miglior film andò a un musical, Chicago, che quell’anno fu anche il film che vinse più premi in assoluto: sei in tutto, su tredici nomination ricevute. I premi per miglior attrice e attore andarono però ai protagonisti di altri due film: Nicole Kidman per il ruolo di Virginia Woolf in The Hours e l’allora ventinovenne Adrien Brody, che è tuttora il più giovane attore ad aver vinto questo premio, per Il pianista.

Era passato poco più di un anno e mezzo dagli attentati terroristici che l’11 settembre del 2001 avevano colpito New York e Washington e pochi giorni prima della cerimonia, il 20 marzo 2003, gli Stati Uniti avevano invaso l’Iraq. Alcune celebrità che avrebbero dovuto salire sul palco durante la serata, come Cate Blanchett, Jim Carrey e Will Smith, decisero di non partecipare: alcuni per motivi di sicurezza, altri per rispetto nei confronti delle famiglie dei membri dell’esercito. L’anno scorso in un’intervista Adrien Brody ha raccontato per la prima volta che pochi giorni prima della cerimonia Jack Nicholson, che era candidato come miglior attore per A proposito di Schmidt, convocò gli altri candidati al premio per suggerire un boicottaggio dell’evento in segno di protesta contro la guerra. Brody ha raccontato di essersi opposto e che alla fine non se ne fece niente.

A ridosso dell’evento l’emittente che avrebbe dovuto trasmettere l’evento propose di rimandare tutto di una settimana ma l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, l’organizzazione che assegna i premi Oscar, rispose che non era possibile perché il Kodak Theatre non sarebbe più stato disponibile. La cerimonia quindi si tenne il 23 marzo come previsto: il tema della guerra comparve spesso nei discorsi di presentatori e premiati.

Il discorso più critico e sopra le righe fu certamente quello del regista Michael Moore, che quella sera vinse il premio per il miglior documentario per Bowling a Columbine, un film sul tema della diffusione delle armi e delle stragi nelle scuole statunitensi. «Viviamo in un tempo in cui abbiamo risultati elettorali fittizi che eleggono un presidente fittizio. Viviamo in un tempo in cui abbiamo un uomo che ci manda in guerra per motivi fittizi» e concluse, tra gli applausi, i fischi e le facce perplesse della platea, esclamando: «Vergogna signor Bush! Vergogna!» (George W. Bush era allora presidente degli Stati Uniti). L’anno successivo sarebbe uscito Fahrenheit 9/11, il suo documentario più celebre, proprio sulla guerra in Iraq.

La cerimonia del 2003 è stata definita da molti giornali e commentatori «la più cringe di sempre», cioè quella che, a posteriori e con la sensibilità di oggi, offrirebbe più motivi per storcere il naso. Quell’anno infatti fu in un certo senso l’anno di maggior successo e visibilità di Harvey Weinstein, il produttore cinematografico fondatore della casa di produzione Miramax che una quindicina di anni dopo sarebbe stato accusato di aggressioni sessuali da decine di donne: l’inizio del cosiddetto movimento MeToo.

Tra le candidature agli Oscar del 2003 c’erano diversi film prodotti dalla Miramax di Weinstein. Solo tra i cinque candidati per il miglior film ce n’erano tre: Chicago, Gangs of New York e The Hours. Justin Chang ha scritto sul Los Angeles Times che «mai più una singola stagione di premi si sarebbe sentita così sopraffatta dai suoi film o, in retrospettiva, così vagamente emblematica della sua stretta soffocante sull’industria che bullizzò, manipolò e abusò per decenni». Oggi Weinstein è in carcere, dove sta scontando più di una condanna per violenze sessuali.

A questo si aggiunge che il premio per la miglior regia – che molti pensavano dovesse andare a Martin Scorsese per Gangs of New York – fu inaspettatamente vinto dal regista polacco Roman Polanski per Il pianista. Polanski era però assente alla cerimonia dal momento che nel 1978 era scappato in Francia – dove vive ancora oggi – per evitare di scontare una pena detentiva in seguito a una vicenda giudiziaria in cui aveva ammesso di aver avuto un rapporto sessuale con una ragazza di 13 anni. Nel 2003 la vittoria di Polanski fu accolta con una standing ovation: nel 2018, nel mezzo del movimento MeToo, l’Academy avrebbe annunciato l’espulsione di Roman Polanski dai suoi membri (quelli che ogni anno votano per candidature e vincitori) per lo stesso episodio. Il premio invece non gli è stato revocato.

Un altro discorso di ringraziamento che si fece notare fu quello di Adrien Brody, perché iniziò con un lungo bacio all’attrice Halle Berry – che aveva annunciato la sua vittoria come miglior attore – e con la battuta rivolta a lei: «scommetto che non ti avevano detto che c’era anche questo in omaggio». Berry ha successivamente raccontato che la scena non era stata programmata e di essere stata colta totalmente di sorpresa.

Tra le migliori attrici non protagoniste c’era Meryl Streep (per Il ladro di orchidee), che quell’anno ottenne la sua tredicesima nomination diventando l’interprete più candidata di sempre agli Oscar. Lo è ancora oggi, con 21 nomination. Il premio lo vinse poi Catherine Zeta-Jones per il suo ruolo in Chicago.

Fu la prima cerimonia degli Oscar a essere trasmessa in alta definizione. Nonostante questo, negli Stati Uniti fu guardata in televisione da appena 33 milioni di spettatori, il numero più basso nella storia degli Oscar fino a quel momento. Questo numero fu battuto al ribasso successivamente nel 2008 (31 milioni) e negli ultimi sei anni. Nel 2022 gli spettatori sono stati circa 15 milioni.