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  • Mercoledì 8 marzo 2023

I viaggi in aereo a vuoto per rientrare nei programmi fedeltà

Per come funzionano sconti e vantaggi offerti dalle compagnie, soprattutto negli Stati Uniti c'è chi vola per ore solo per mantenerli

(Chris So/The Toronto Star/ZUMAPRESS.com)
(Chris So/The Toronto Star/ZUMAPRESS.com)
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«L’anno scorso sono andato alle Hawaii due giorni volando da Milano a Londra, da Londra a New York, da New York a Phoenix e poi da Phoenix a Honolulu. Tra un mese invece ho in programma un viaggio di andata e ritorno a Singapore con scali a Sofia, Doha e Kuala Lumpur. Una volta ho anche fatto il giro del mondo in cinque giorni: Londra, Francoforte, Tokyo, Sidney, Oakland, Honolulu, Vancouver, Londra». Matteo Rainisio si definisce un “frequent flyer”, cioè uno che viaggia molto spesso in aereo, e da qualche anno cura il sito italiano The Flight Club, in cui pubblica guide e consigli su come accumulare punti e rientrare nei programmi fedeltà per viaggiare molto comodi spendendo il meno possibile.

I viaggi che fa da una città all’altra, spesso senza mai uscire dagli aeroporti, non sono un suo sfizio ma una cosa che fanno molti viaggiatori come lui in tutto il mondo: sono detti mileage runs, un termine che in italiano si può tradurre approssimativamente con “giri per le miglia”. Lo scopo delle mileage runs non è viaggiare – non nell’immediato, almeno – ma accumulare i punti necessari per rientrare nei programmi fedeltà delle compagnie aeree e garantirsi vantaggi e privilegi di diverso tipo per un anno.

Seppure abbia un impatto ambientale più che marginale nel totale delle emissioni inquinanti prodotte dall’aviazione civile, questo fenomeno per molti versi paradossale è diventato un esempio dei problemi dei programmi fedeltà delle compagnie aeree, che incentivano a volare molto in un periodo storico in cui è sempre più diffusa la consapevolezza che invece bisognerebbe volare il meno possibile. «I mileage runs possono avere un impatto minuscolo sul cambiamento climatico globale. Ma è il tipo di comportamento più grottesco che si possa immaginare», ha detto al New York Times Richard Carmichael, ricercatore dell’Imperial College di Londra che nel 2020 ha pubblicato un rapporto sul clima che contiene la proposta di vietare i programmi fedeltà delle compagnie aeree.

Le mileage runs sono un fenomeno che esiste da diversi anni un po’ in tutto il mondo, ma si è diffuso soprattutto negli Stati Uniti, dove le distanze sono maggiori e le persone sono abituate a prendere spesso l’aereo per spostarsi da una città all’altra. Nel 2006 erano stati stimati circa un milione di questi viaggi a vuoto, e un recente sondaggio del sito americano The Hustle ha riportato che su 550 viaggiatori assidui più del 60 per cento ha detto di averne fatto almeno uno.

Le compagnie aeree cominciarono a introdurre i primi programmi fedeltà negli anni Ottanta, regalando viaggi gratis ai clienti più assidui. Con gli anni poi questi programmi si sono fatti più sofisticati: sono stati creati diversi livelli di “fedeltà” (i cosiddetti “status”) e introdotti diversi modi per accumulare punti, con voli che permettevano di moltiplicare le distanze effettivamente percorse nel conteggio finale. I mileage runs cominciarono a diffondersi nei primi anni Duemila: lo scopo, allora come adesso, era trovare voli che permettessero di accumulare più miglia possibili a prezzi bassi, per ottenere vantaggi e privilegi senza spendere una fortuna. Alcuni ne approfittavano per passare ventiquattro ore dall’altra parte del mondo, altri non prevedevano neanche di uscire dall’aeroporto.

Ogni compagnia aerea prevede vantaggi diversi per i propri clienti più affezionati, ma in generale quelli più ricorrenti sono la possibilità di saltare le file in aeroporto, di imbarcare gratuitamente un bagaglio, di salire sull’aereo prima degli altri, di avere accesso a un’area “lounge” durante l’attesa e di riavere il bagaglio prima degli altri dopo l’atterraggio. Uno dei vantaggi maggiori per i clienti più assidui è avere accesso a quelli che le compagnie aeree chiamano “upgrades”, cioè spostamenti dai posti normali, “economy”, a posti in prima classe o classe “business”, quando ce ne sono di liberi. In molti casi lo status si estende anche a un ospite.

Negli Stati Uniti le cose hanno cominciato a cambiare tra il 2015 e il 2016, quando le principali compagnie aeree che offrivano programmi fedeltà – Delta Air Lines, United Airlines e American Airlines – hanno introdotto modelli di calcolo della “fedeltà” basati non più solo sulle distanze percorse, ma su una combinazione di fattori che includeva anche i soldi spesi. Questo ha reso l’accumulo di punti fedeltà più costoso e le mileage runs meno proficue. Lo scorso dicembre un 25enne ha raccontato al Wall Street Journal di aver speso 1.300 dollari per volare da New York a Milano, passare due notti in ostello lì, prendere un volo per San Francisco e poi un altro subito per tornare a New York: tutto per passare a un livello successivo nel programma fedeltà di Delta Air Lines.

In generale, dopo la pandemia e la crisi del settore che ne è derivata, i prezzi sono molto aumentati e trovare tariffe davvero convenienti per i voli è diventato più difficile. Delta per esempio non prevede più che si possano accumulare miglia volando con la tariffa economica, la cosiddetta Basic Economy, e ha alzato la spesa annuale per accedere al suo programma fedeltà più vantaggioso da 15mila a 20mila dollari. Negli Stati Uniti molti si lamentano anche del fatto che gli “upgrades” sono diventati molto meno probabili, perché le compagnie aeree hanno introdotto strategie di marketing per vendere più posti in prima classe e classe business.

Nonostante tutto però, lo scorso dicembre il Wall Street Journal scriveva che «la tradizione persiste e chi la pratica è imperterrito». C’è addirittura anche chi vive le mileage runs come esperienze a sé: il blogger appassionato di voli e aeroporti Chris Carley ha detto di organizzarle insieme a sua moglie come appuntamenti: «dobbiamo spegnere i telefoni, non c’è niente che ci distragga, e abbiamo tempo per sederci e parlare».

Secondo Rainisio le cose in Europa sono un po’ diverse: «in Europa alcuni programmi fedeltà ti premiano più che negli Stati Uniti, perché qui il mercato non è ancora saturo come lo è lì. In Europa, e in Italia soprattutto, di “mileage runners” come me ce n’è molti meno».

Dai primi anni Duemila negli Stati Uniti esistono esperti di mileage runs che spiegano in blog e newsletter le strategie più efficaci per salire di status spendendo il minimo possibile. In Europa ce ne sono meno e in Italia Rainisio è uno dei pochi che lo fanno: «quando le persone mi chiedono consiglio la prima cosa che dico è che devono fare un file Excel e capire se avere lo status gli conviene economicamente o no: se uno fa pochi voli all’anno è diverso che se fa il pendolare da Genova a Roma tutte le settimane e vola in “economy”. In questo caso avere lo status conviene, per imbarcare gratuitamente un bagaglio anche con il biglietto più economico, per usare la lounge e per risparmiare tempo. Un’altra cosa di cui tenere conto è che lo status fa la differenza se viaggi molto in “economy”, perché se viaggi sempre in “business” serve a poco visto che tutti i privilegi li paghi».