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  • Mercoledì 8 marzo 2023

La prassi che costringe i ministri giapponesi a passare troppo tempo in parlamento

Anche rinunciando a importanti incontri internazionali, come è successo al ministro degli Esteri durante una riunione del G20

Il ministro degli Esteri giapponese Yoshimasa Hayashi dopo una conferenza stampa a Tokyo, lunedì 6 marzo (AP Photo/ Eugene Hoshiko)
Il ministro degli Esteri giapponese Yoshimasa Hayashi dopo una conferenza stampa a Tokyo, lunedì 6 marzo (AP Photo/ Eugene Hoshiko)
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La settimana scorsa il ministro degli Esteri giapponese Yoshimasa Hayashi ha saltato l’incontro con gli altri ministri degli Esteri del G20 in India perché era richiesta la sua presenza nel parlamento nazionale. Una prassi che fa parte della tradizione giapponese stabilisce infatti che tutti i membri del governo debbano essere presenti ad alcune specifiche sessioni parlamentari, anche se non sono chiamati a esprimersi direttamente sulle questioni discusse. Negli anni questa regola ha generato situazioni imbarazzanti e polemiche, soprattutto quando in concomitanza a queste sessioni si tenevano riunioni e incontri di importanza notevolmente superiore.

È quello che è successo ad Hayashi, che tra mercoledì e giovedì è stato costretto a fermarsi in Giappone mentre a New Delhi, in India, si tenevano riunioni di altissimo livello: la più chiacchierata è stata quella tra il segretario di Stato americano Antony Blinken e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che si sono incontrati per la prima volta dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Anche per il Giappone era un’occasione per affrontare temi assai rilevanti, come i tentativi della Cina di espandere le proprie aree di influenza nella regione asiatica (quindi a discapito anche del Giappone), e la discussione in corso proprio in Giappone su un possibile riarmo.

A creare l’imbarazzo e le polemiche è stato l’articolo 63 della Costituzione giapponese, che stabilisce che il primo ministro e altri ministri «devono presenziare [in parlamento] quando la loro presenza sia richiesta allo scopo di fornire risposte o spiegazioni». Il fatto è che la norma è sempre stata applicata alla lettera, ed è diventata nel tempo una consuetudine rispettata con estremo rigore. Così, anziché andare al G20, Hayashi ha preso parte alla sessione in parlamento, dove in sette ore di discussione ha risposto a una singola domanda in un intervento durato in totale 53 secondi.

Venerdì, a sessione conclusa, Hayashi è riuscito comunque a partecipare a un incontro con il segretario di Stato americano Blinken, il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar e la ministra degli Esteri australiana Penny Wong, sempre a New Delhi.

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La notizia dell’assenza di Hayashi è stata criticata sia da un pezzo di stampa internazionale sia da diversi politici giapponesi.

Diversi esponenti dell’opposizione, ma anche alcuni membri del Partito Liberal Democratico, il partito conservatore al governo in Giappone, hanno ritenuto l’assenza di Hayashi una mancata occasione per rafforzare la posizione del Giappone a livello internazionale.

L’ex vice primo ministro ed ex ministro degli Esteri Katsuya Okada, del Partito Democratico Progressista, all’opposizione, ha detto che «è impensabile» che il ministro degli Esteri non sia presente a discussioni come quella sul bilancio: si è però domandato perché la sessione fosse stata programmata proprio in contemporanea con l’incontro al G20. Se c’è un contesto in cui «il presenzialismo, le cerimonie e il fatto di essere visti sono davvero importanti» è quello della politica estera, ha commentato l’analista Gearoid Reidy.

In passato la consuetudine che prevede di presenziare sempre agli incontri più importanti del parlamento non era stata rispettata solo in caso di ricoveri ospedalieri. Diversi analisti ed esperti, tra cui Reidy, ritengono oggi questa prassi assai antiquata e controproducente, potenzialmente fonte di imbarazzi diplomatici e problemi per il governo giapponese.

L’eccessivo presenzialismo nel parlamento giapponese, ha notato Reidy, è una questione che in realtà si può estendere a molti altri lavori in Giappone, un paese dove tradizionalmente esiste un profondo senso del dovere che porta a giornate lavorative molto lunghe, associate però di frequente a una scarsa produttività ed efficienza. Negli ultimi anni le cose hanno iniziato a cambiare, soprattutto tra i giovani e nel settore privato.

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