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  • Martedì 28 febbraio 2023

Perché in Asia si usano ancora le mascherine

Anche se non sono più obbligatorie, soprattutto per motivi culturali ma anche per ragioni pratiche

corea del sud mascherine
(AP Photo/ Lee Jin-man)
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Dal primo marzo a Hong Kong non ci sarà più l’obbligo di indossare le mascherine per il coronavirus dopo più di due anni e mezzo, sia nei luoghi chiusi che all’aperto. Di recente anche la Corea del Sud e Taiwan avevano eliminato l’obbligo di indossarle, tranne che nelle strutture sanitarie e sui mezzi pubblici, mentre in Giappone l’utilizzo è raccomandato solo al chiuso e quando non è possibile rispettare il distanziamento fisico.

L’uso delle mascherine è stato uno dei principali accorgimenti per contenere la diffusione del coronavirus durante le fasi più critiche della pandemia, e in generale nei paesi asiatici le misure relative al loro utilizzo sono state allentate molto tempo dopo rispetto alla gran parte di quelli occidentali. Anche se in paesi come Corea del Sud o Giappone mettere le mascherine all’aperto non è più necessario, molte persone continuano a indossarle lo stesso ed è probabile che continueranno a farlo almeno per un po’: dipende in parte da motivi culturali, ma anche da ragioni pratiche.

Uno dei motivi principali per cui in Asia si utilizzano ancora le mascherine è che in molti paesi era molto comune farlo già da prima della pandemia. Nella gran parte dei paesi asiatici è consuetudine utilizzare una mascherina quando si è malati per proteggere le altre persone, e quindi durante l’epidemia l’abitudine di indossarla si è diffusa molto rapidamente e senza particolare scetticismo.

In Giappone, per esempio, l’abitudine di mettere le mascherine cominciò ai tempi dell’influenza spagnola, che si diffuse in tutto il mondo dal gennaio del 1918 e in circa due anni provocò tra i 50 e i 100 milioni di morti, su una popolazione globale di 2 miliardi di persone. I giapponesi indossarono mascherine per proteggersi dal fumo e dalla polvere provocati dalla distruzione del grande terremoto del 1923, e poi durante una seconda epidemia di influenza nel 1934, per evitare di contagiare altre persone. Andò così in tempi più recenti con la SARS e la MERS, due malattie che crearono rispettivamente grosse crisi sanitarie in Cina e in Corea del Sud tra il 2002 e il 2003 e nel 2015.

Con la pandemia da coronavirus mettere la mascherina in Giappone è diventata in automatico un’abitudine, anche se il governo non ha mai imposto un obbligo, ma lo ha solo raccomandato: e in quanto abitudine molto diffusa adesso è difficile da sradicare. Come ha detto al New York Times un’insegnante di danza di Yokohama, la seconda città più grande del paese, per le sue studentesse indossarla ormai è «un gesto automatico», così continuano a farlo anche se la scuola di danza non lo richiede.

– Leggi anche: Si litigava per le mascherine anche durante l’influenza spagnola

Un’altra delle ragioni per cui alcune persone continuano a indossare la mascherina è che avendocela non sentono l’obbligo di doversi truccare o di dover sorridere in certe situazioni. Sangmin Kim, esperto di studi culturali del centro di ricerca CATS Lab di Seul, ha spiegato che per molte persone sudcoreane indossare la mascherina significa avere meno pressione sociale addosso riguardo alla cura della loro immagine. Kim, citato sempre dal New York Times, dice che alcune si sentono più a loro agio con la faccia coperta, e al contrario tendono a sentirsi a disagio nel doverla mostrare.

È quella sensazione di imbarazzo che in Giappone viene descritta con l’espressione “Kao-Pantsu”, letteralmente “mutande per la faccia”: visto che indossare la mascherina è ormai la norma, non avercela corrisponde un po’ al disagio di uscire senza biancheria intima.

C’è poi un’altra componente, quella del giudizio altrui. In paesi in cui è tenuto in grande considerazione, come il Giappone, essere gli unici senza mascherina in un contesto in cui tutti ce l’hanno è una sensazione molto spiacevole e che la maggior parte delle persone preferisce evitare. Per il momento, insomma, quasi nessuno ha voglia di essere “quello senza mascherina”. Un po’ come successo in Italia negli ultimi anni, poi, in Giappone molte persone non sanno se sia obbligatoria o meno, ed essendo abituati nel dubbio la indossano.

In generale, indossare la mascherina in Asia è visto come un segno di rispetto e premura nei confronti della salute delle altre persone. È considerato una specie di gesto civico, soprattutto negli spazi molto affollati, anche perché non si può mai sapere se una persona a cui si passa accanto ha il sistema immunitario debole o vive con persone particolarmente vulnerabili. Kim per esempio dice che sta continuando a indossarla per trasmettere l’idea che è «una persona che non vuole danneggiare gli altri», una cosa a cui i sudcoreani danno molta importanza, spiega.

In un articolo pubblicato nel 2020 sul sito Psychology Today, la scrittrice Cynthia Kim Beglin, esperta di culture asiatiche, ha raccontato che sia in Giappone sia in Thailandia, Malesia o Corea del Sud ci si aspetta che le persone influenzate la indossino, e non farlo è considerato estremamente egoista. Metterla in caso di influenza o raffreddore spesso è un’abitudine anche nelle comunità di queste nazioni all’estero, ha notato Kim Beglin.

– Leggi anche: Chi si era messo a fare mascherine in Italia ora ha un bel problema

In vari paesi asiatici molte persone indossano le mascherine anche per proteggersi dall’inquinamento, per cercare di limitare i fastidi, gli starnuti e la tosse: succede per esempio in Cina, uno dei pochi paesi dove le autorità stabiliscono di usarle ancora, anche all’aperto. In Corea del Sud l’abitudine di indossare la mascherina contro l’inquinamento si è radicata soprattutto negli ultimi quindici anni, racconta sempre Kim, cioè da quando il tema delle polveri sottili, del particolato e in generale delle sostanze inquinanti ha cominciato a essere sempre più attuale. Dato che in Corea del Sud le mascherine erano già molto usate per questi motivi, con la pandemia da coronavirus le aziende sudcoreane erano già pronte per la produzione di massa.