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  • Lunedì 27 febbraio 2023

In Iran 200 studentesse sono state avvelenate a scuola

Da estremisti religiosi che vorrebbero bloccare l'accesso all'istruzione delle ragazze: il governo ha confermato che è stata un'azione intenzionale

Studentesse iraniane durante una cerimonia pubblica (AP Photo/Ebrahim Noroozi)
Studentesse iraniane durante una cerimonia pubblica (AP Photo/Ebrahim Noroozi)
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In Iran oltre duecento studentesse di quattordici diverse scuole femminili sono state deliberatamente avvelenate con composti chimici nell’intento di tenerle lontane dalle scuole. Il caso degli avvelenamenti ricorrenti, che hanno portato anche ad alcuni ricoveri di ragazze e bambine, è iniziato a dicembre, ma nelle ultime settimane c’erano state manifestazioni da parte dei genitori per protestare contro quello che stava avvenendo. Domenica il viceministro della Salute Younes Panahi ha infine confermato che gli avvelenamenti sono stati «intenzionali».

In varie occasioni fino alla scorsa settimana in quattro città dell’Iran le studentesse di alcune scuole femminili avevano avuto problemi di salute dopo essere state a scuola, dove in alcune occasioni avevano riscontrato odori particolari nelle classi. I sintomi erano nausea, mal di testa, tosse, difficoltà respiratorie, palpitazioni e stati di sonnolenza acuta: in decine di casi erano stati necessari brevi ricoveri in ospedale.

La dichiarazione ufficiale di un esponente del governo, confermata anche da Homayoun Sameh Najafabadi, membro del comitato parlamentare per la Salute, rappresenta un cambio di atteggiamento da parte del regime, che fino a dieci giorni fa definiva le notizie degli avvelenamenti «non confermate».

Panahi non ha indicato i possibili responsabili, ma secondo alcuni media locali le ragazze sarebbero state avvelenate da movimenti di estremisti religiosi, probabilmente ispirati dalle politiche dei talebani afghani, che negli ultimi mesi hanno vietato l’accesso alle scuole a bambine e ragazze. L’intenzione, secondo il viceministro, era quella di arrivare alla «chiusura di tutte le scuole femminili».

Gli avvelenamenti sono cominciati a Qom, città da 1,2 milioni di abitanti 160 chilometri a sud della capitale Teheran: è considerata in Iran una città “santa”, sede di molte istituzioni del clero iraniano e di vari seminari per studi teologici sciiti che hanno ospitato la maggior parte dei leader del paese. A Qom alcune scuole hanno subito attacchi con composti chimici più volte, ma sono stati registrati casi anche a Teheran, Ardebil e Borujerd.

La piazza di fronte a una moschea nella città di Qom (AP Photo/Vahid Salemi)

Il viceministro ha detto in una conferenza stampa che gli agenti chimici non potevano essere definiti «armi chimiche e che erano per lo più trattabili senza il ricorso a cure aggressive». A Qom è stato però necessario chiudere le scuole per due giorni, dopo che il ripetersi dei casi aveva provocato allarme fra gli studenti e le loro famiglie. Il 14 febbraio alcune centinaia di persone avevano protestato all’esterno del palazzo del governo locale della città di Qom.

Parte dei movimenti di opposizione al regime iraniano aveva accusato in queste settimane le autorità del paese per gli avvelenamenti, legandoli alla repressione dei movimenti di protesta in corso da alcuni mesi nel paese. Le proteste sono iniziate nel settembre dell’anno scorso dopo la morte di Masha Amini, una ragazza di 22 anni che era stata arrestata dalla cosiddetta polizia morale per aver indossato in modo scorretto il velo. I movimenti per la liberazione femminile erano stati centrali almeno nella fase iniziale delle proteste, che il regime ha represso brutalmente: si calcola che negli scontri siano morti almeno 500 manifestanti, mentre per quattro di loro è stata eseguita una condanna a morte in seguito a processi sommari.