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  • Domenica 26 febbraio 2023

L’attentato al World Trade Center di New York, trent’anni fa

Il 26 febbraio del 1993: l'FBI lo definì «una sorta di prova generale per l'11 settembre»

Poliziotti che osservano alcuni danni causati dall'attentato al World Trade Center, nel 1993 (AP Photo/Richard Drew, File)
Poliziotti che osservano alcuni danni causati dall'attentato al World Trade Center, nel 1993 (AP Photo/Richard Drew, File)
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Il 26 febbraio del 1993, trent’anni fa, una bomba di circa 600 chili esplose nel parcheggio seminterrato del World Trade Center, a New York: morirono sei persone, tra cui una donna incinta. La bomba era stata messa lì da un gruppo di terroristi guidati dal pakistano Ramzi Ahmed Yousef, vicino all’organizzazione terroristica jihadista al Qaida.

Anni dopo l’FBI, la polizia federale statunitense, definì quell’attentato «una sorta di prova generale» per l’11 settembre del 2001, l’attentato in cui due aerei si schiantarono contro le Torri Gemelle e il World Trade Center fu completamente distrutto (e di cui proprio lo zio di Yousef, Khalid Sheikh Mohammed, è considerato uno dei principali organizzatori).

– Leggi anche: “Let’s roll!”: La storia dell’aereo che l’11 settembre 2001 non si schiantò dove doveva

La bomba nel seminterrato del World Trade Center esplose alle 12:18: il 26 febbraio del 1993 era un venerdì, e all’interno del complesso c’erano circa 50mila persone, 40mila delle quali all’interno delle Torri Gemelle. La bomba era dentro un furgone, guidato e condotto nel parcheggio pubblico seminterrato del complesso una ventina di minuti prima. Dopo aver parcheggiato, il gruppo accese la miccia della bomba e si allontanò dal garage su un’automobile guidata da un complice.

L’esplosione, devastante e sentita a diversi isolati di distanza, aprì un cratere largo circa 40 metri. Inizialmente i vigili del fuoco pensarono che si trattasse dell’esplosione di un trasformatore, ma arrivando sul luogo, pochissimi minuti dopo, si resero conto che la portata dell’esplosione era molto maggiore.

Sul posto furono inviate squadre di emergenza e forze dell’ordine di diversi dipartimenti, in un’operazione che coinvolse diverse centinaia di persone e che fu ricordata come una delle più estese della storia di New York. Decine di vigili del fuoco, agenti di polizia e soccorritori restarono feriti, quasi tutti per aver respirato il fumo provocato dall’esplosione.

Furono avviate operazioni di salvataggio anche in elicottero, dai tetti delle torri. Nel frattempo, la detonazione della bomba provocò un’estesa interruzione di corrente in tutto il complesso, che ostacolò e rallentò le operazioni di salvataggio ed evacuazione. Generatori di emergenza, sistemi di ventilazione, ascensori e luci non funzionavano: chi doveva fuggire per corridoi e scale senza finestre doveva farlo al buio, procedendo molto più lentamente.

Cinque delle sei persone uccise nell’attentato furono trovate nelle ore immediatamente successive all’esplosione: la prima si chiamava John DiGiovanni. Era un venditore di attrezzature dentistiche di 45 anni di Long Island che aveva appena parcheggiato nel seminterrato in cui era esplosa la bomba: fu trovato ferito, portato all’ospedale e lì dichiarato morto. Le altre persone si chiamavano Robert Kirkpatrick, Stephen A. Knapp, William Macko, e Monica Rodriguez Smith, incinta e al suo ultimo giorno di lavoro prima del congedo di maternità. L’ultima persona, Wilfredo Mercado, fu trovata solo 17 giorni dopo, durante ulteriori ricerche tra le macerie.

Il giorno dell’esplosione le operazioni di soccorso andarono avanti fino a notte fonda: intorno alle 5 di pomeriggio decine di migliaia di persone erano state evacuate con successo, ma altre centinaia erano ancora intrappolate all’interno degli edifici, alcune all’interno degli ascensori. L’ultimo gruppo di sopravvissuti fu evacuato intorno a mezzanotte.

Nel frattempo, la sera stessa dell’attentato, due dei terroristi coinvolti nell’organizzazione lasciarono gli Stati Uniti usando passaporti falsi, con voli diretti rispettivamente in Pakistan e in Giordania. Erano Ramzi Ahmed Yousef, il leader del gruppo, e Eyad Ismoil, l’uomo che aveva guidato il furgone fino al parcheggio seminterrato del World Trade Center.

Nel corso delle indagini svolte successivamente si seppe che il loro piano era far crollare due delle sette torri del complesso, una addosso all’altra, provocando la morte di migliaia di persone (come accadde otto anni dopo, l’11 settembre del 2001, quando furono uccise quasi 3mila persone).

L’ipotesi che l’esplosione fosse il risultato di un attentato mirato e non di un incidente cominciò a essere presa in considerazione da subito, e i resti del furgone su cui era stata posizionata la bomba furono trovati e identificati due giorni dopo l’esplosione.

L’FBI, in particolare, trovò tra le macerie il numero di telaio del furgone, e risalì prima all’agenzia di noleggio del New Jersey e poi all’appartamento in cui viveva il primo membro del gruppo, Mohammed Salameh, che aveva personalmente noleggiato il furgone. Salameh fu il primo ad essere arrestato, seguito da altri tre: Ahmad Ajaj, Nidal Ayyad e Mahmoud Abouhalima. Tutti e quattro furono successivamente processati e condannati all’ergastolo.

Fu interrogato anche un altro sospettato, Abdul Yasin: fu rilasciato per mancanza di prove e andò in Giordania. Successivamente emersero nuove prove nei suoi confronti, ma non è mai stato trovato: è ancora latitante, e su di lui l’FBI ha messo una taglia da 5 milioni di dollari.

Si seppe in seguito che Yousef, a capo del gruppo e uno dei due che avevano lasciato gli Stati Uniti dopo l’attentato, era arrivato dal Pakistan il 1° settembre del 1992. Era atterrato all’aeroporto JFK di New York con un passaporto iracheno falso, dopo aver trascorso un periodo in Afghanistan in cui aveva imparato a costruire bombe ed esplosivi. A New York Yousef iniziò a pianificare l’attentato e a frequentare Omar Abdel Rahman, religioso radicale sostenitore del jihad islamico e molto attivo in città, successivamente incriminato e arrestato per il suo coinvolgimento nell’attentato.

Nel 1995 furono catturati sia Yousef, in Pakistan, che Ismoil, in Giordania, ed entrambi estradati negli Stati Uniti: attualmente si trovano in carcere come i loro quattro complici.