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  • Mercoledì 22 febbraio 2023

La figlia di Malcolm X vuole denunciare FBI e CIA per l’omicidio del padre

A 58 anni di distanza si parla ancora molto delle circostanze della morte dell’attivista americano per i diritti civili

Malcolm X
Malcolm X a New York, 6 agosto 1963 (AP Photo)
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Martedì, nel 58esimo anniversario dell’assassinio dell’attivista americano per i diritti civili Malcolm X, una delle sue figlie ha annunciato di voler fare causa all’FBI (l’agenzia investigativa della polizia federale degli Stati Uniti), alla CIA (l’agenzia d’intelligence) e alla polizia di New York accusandole di essere responsabili del suo omicidio, compiuto il 21 febbraio del 1965 ad Harlem. In una conferenza stampa Ilyasah Shabazz, figlia di Malcolm X e Betty Shabazz, ha accusato i funzionari della polizia locale e delle agenzie federali di aver nascosto prove che a suo dire dimostrerebbero il loro coinvolgimento in un presunto piano organizzato e compiuto per uccidere il padre.

Malcolm X è considerato una delle figure più importanti della storia degli Stati Uniti del secondo dopoguerra e uno degli esponenti più importanti del movimento dei diritti civili delle persone afroamericane insieme a Martin Luther King. Fu ucciso da militanti di un gruppo religioso di cui anche lui aveva fatto parte, mentre stava per tenere un discorso: da tempo tuttavia c’erano dubbi sulle circostanze esatte del suo omicidio.

«Per anni la nostra famiglia ha lottato affinché la verità sul suo assassinio venisse a galla», ha detto Shabazz, che al momento della morte del padre aveva due anni. L’avvocato che la sta assistendo, Benjamin Crump, ha chiarito che la famiglia di Malcolm X intende chiedere danni stimati in 100 milioni di dollari (circa 94 milioni di euro) sulla base di nuove informazioni emerse di recente: «Non è una cosa che riguarda solo chi premette il grilletto, ma anche quelli che tramarono per compiere questo gesto ignobile», ha detto Crump.

Il dipartimento della polizia di New York ha fatto sapere di non volersi esprimere su processi in corso, mentre al momento CIA ed FBI non hanno commentato.

Ilyasah Shabazz

Ilyasah Shabazz durante la conferenza stampa di martedì accanto all’avvocato Benjamin Crump (AP Photo/ Seth Wenig)

Chi era Malcolm X
Il vero nome di Malcolm X era Malcolm Little: nacque nel 1925 ed ebbe un’infanzia molto complicata. Suo padre fu ucciso quando aveva sei anni e poco tempo dopo sua madre fu ricoverata in una clinica psichiatrica. A ventun anni fu arrestato per alcuni furti in appartamento e condannato a otto anni di prigione. Una volta uscito dal carcere decise di eliminare il suo cognome perché, sosteneva, era un’eredità dello schiavismo.

Fu proprio nel carcere di Charlestown, vicino a Boston, che Malcolm X conobbe la Nazione islamica, un controverso gruppo di suprematisti neri che predicava l’emancipazione delle persone afroamericane attraverso un’interpretazione originale della religione islamica. Dopo essersi convertito alla versione dell’Islam praticata dalla Nazione islamica, Malcolm X trascorse la maggior parte del tempo in prigione leggendo libri e studiando. Quando uscì dal carcere, nel 1952, divenne un membro importante dell’organizzazione e uno dei suoi leader religiosi, cominciando il suo impegno militante per i diritti civili.

Per tutto il decennio successivo Malcolm X fu invitato in varie occasioni in radio e in televisione, e le sue dichiarazioni finirono spesso pubblicate sui giornali. Nel 1964 però interruppe i rapporti con la Nazione islamica per alcune tensioni con il leader dell’organizzazione, Elijah Muhammad. Cominciò un lungo viaggio in diversi paesi del mondo e tornò negli Stati Uniti nel febbraio del 1965, poco prima di morire.

Il suo assassinio e le indagini
Malcolm X fu ucciso mentre stava per tenere un discorso davanti a quattrocento persone all’Audubon Ballroom di New York, una sala da ballo nel quartiere di Harlem dove aveva già tenuto comizi in passato. Prima che potesse cominciare, un uomo lanciò una bomba fumogena rudimentale verso il palco, dove era già salito. Due uomini della sicurezza si avvicinarono per capire cosa stesse succedendo; Malcolm X alzò le braccia e indietreggiò. A quel punto, un altro uomo salì sul palco e gli sparò al petto, facendolo cadere a terra; altri due si avvicinarono ai lati del palco e gli spararono alle gambe, mentre un agente della polizia di New York sotto copertura provava a soccorrerlo.

Malcolm X fu ucciso a 39 anni con ventuno colpi d’arma da fuoco davanti alla moglie Betty Shabazz, incinta, e a tre delle sue figlie.

Malcolm X parla con alcuni giornalisti a Washington nel maggio del 1963 (AP Photo/ File)

Per gli assassini era stato piuttosto semplice entrare con le armi nella sala perché Malcolm X aveva ordinato ai suoi uomini di non portare armi con sé e di non perquisire le persone che andavano ai suoi eventi per non scoraggiarle a parteciparvi. Due aggressori riuscirono a scappare, mentre una delle sue guardie del corpo sparò a un terzo, Thomas Hagan (conosciuto anche come Mujahid Abdul Halim o Talmadge Hayer), che venne subito arrestato e imprigionato.

I suoi assassini furono identificati come membri della Nazione islamica, il gruppo di cui Malcolm X aveva appunto fatto parte fino all’anno prima. Nel giro di circa dieci giorni furono arrestati e accusati di essere gli autori materiali dell’omicidio anche Khalil Islam, ex autista di Malcolm X, e Muhammad A. Aziz. L’11 marzo del 1966 tutti e tre furono giudicati colpevoli e quindi condannati al carcere.

Dieci testimoni oculari raccontarono di aver visto Islam, Aziz o entrambi al momento dell’assassinio, ma le loro dichiarazioni erano contraddittorie e non c’erano prove fisiche che collegassero Aziz e Islam all’omicidio o alla scena del crimine. Entrambi presentarono alibi credibili, sostenuti dalle testimonianze dei loro familiari e amici. In seguito Hagan confessò, e disse che gli altri due erano innocenti; nel 1977 fece i nomi di altri quattro uomini che sosteneva avessero agito assieme a lui, due che spararono e due complici in sala, ma le sue dichiarazioni non portarono da nessuna parte.

Malcolm X

Malcolm X durante un comizio ad Harlem, New York, nel giugno del 1963 (AP Photo)

I dubbi, l’inchiesta e le assoluzioni
Come molti attivisti e organizzazioni per i diritti civili, Malcolm X era da tempo sotto stretta sorveglianza della polizia locale e del governo federale, che lo vedevano come una possibile minaccia. È anche per questo che nel tempo sul suo assassinio si diffusero varie teorie, tra cui quella secondo cui l’FBI e la polizia di New York erano coinvolte nella sua morte sulla base del fatto che lo ritenevano un attivista con visioni radicali e pertanto pericoloso. Ci sono poi storici e attivisti che sostengono che la polizia e le agenzie di intelligence non avessero nemmeno dovuto creare le condizioni per il suo assassinio perché in un certo senso Malcolm X si era già messo nei guai da solo.

Per fare qualche esempio, il 6 giugno del 1964 l’allora direttore dell’FBI J. Edgar Hoover inviò un telegramma all’ufficio dell’agenzia di New York invitando i suoi agenti a «fare qualcosa rispetto a Malcolm X». Allo stesso tempo, vari agenti di un’unità speciale della polizia di New York si erano infiltrati in alcune organizzazioni politiche, tra cui il suo gruppo. Solo una settimana prima dell’assassinio, la sua casa nel Queens venne attaccata con bombe incendiarie mentre lui, la moglie e i suoi quattro figli dormivano, ma nessuno venne incriminato per l’attacco.

Per queste ragioni da tempo c’erano varie pressioni affinché le indagini sull’omicidio venissero riaperte. Alcuni storici e attivisti sostenevano che la polizia fosse consapevole che Malcolm X fosse in pericolo, e che decise di non intervenire perché il suo obiettivo finale era quello di intimidirlo e screditarlo; altri invece avevano suggerito che il rifiuto di aprire nuove indagini era un segnale che le forze dell’ordine avevano avuto un ruolo centrale nell’omicidio.

Alla fine Hagan fu rilasciato con la libertà condizionale nel 2010, dopo aver trascorso quasi 45 anni in carcere. Nel 2021, a 55 anni dalla condanna, Aziz e Islam invece furono scagionati grazie a un’inchiesta di due anni avviata in seguito alla pubblicazione di un documentario e di una nuova biografia su Malcolm X in cui emergevano nuove ipotesi.

La sala in cui venne ucciso Malcolm X fotografata dopo le ispezioni della polizia (AP Photo/ Al Burleigh, File)

Ricostruire le circostanze dell’omicidio fu particolarmente complicato perché molte persone coinvolte nel caso, tra cui testimoni, investigatori o altri potenziali sospettati, erano morte da tempo. Alcuni documenti inoltre erano andati persi, e le prove fisiche, come le armi usate per sparare, non erano più disponibili. A ogni modo l’indagine evidenziò che i pubblici ministeri del tempo, l’FBI e il dipartimento di polizia di New York avevano nascosto prove fondamentali che avrebbero probabilmente portato all’assoluzione di Aziz e Islam.

Dalle indagini emersero comunque varie questioni poco chiare, come il fatto che la mattina dell’omicidio un reporter del New York Daily News avesse ricevuto una chiamata nella quale gli era stato rivelato che quel giorno Malcolm X sarebbe stato ucciso. L’indagine non specificò chi potevano essere i colpevoli della morte di Malcolm X e non confermò alcun coinvolgimento o complotto da parte della polizia o del governo nell’omicidio. Lasciò però aperte numerose domande, per esempio su come e perché la polizia e il governo non riuscirono a evitare quello che accadde.

Aziz aveva ottenuto la libertà vigilata nel 1985 e Islam nel 1987. Quando furono scagionati, il primo aveva 83 anni, mentre il secondo era già morto da oltre un decennio. Lo scorso ottobre Aziz e i familiari di Islam sono stati risarciti con 36 milioni di dollari dalla città di New York per ingiusta condanna.