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  • Mercoledì 22 febbraio 2023

Cosa sappiamo dell’indagine sulla corruzione nel tribunale di Roma

Secondo la procura ci sarebbe un traffico di informazioni coperte da segreto, emerso in seguito all'arresto di un'aspirante avvocata

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
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La procura di Roma sta indagando su un traffico di informazioni riservate riguardanti intercettazioni telefoniche, ambientali e pedinamenti che venivano fatte avere all’esterno dagli uffici del tribunale, in cambio del pagamento di tangenti. Non si ha conferma del numero di persone indagate, ma si tratterebbe di dipendenti del tribunale ordinario, della Corte d’appello, del Tribunale di sorveglianza e persone che lavorano nell’ufficio interforze (Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza), dove vengono effettuate le intercettazioni. L’indagine ipotizza che persone sottoposte a intercettazioni e pedinamenti pagassero i funzionari attraverso intermediari per conoscere le iniziative prese dalla procura nei loro confronti.

La notizia dell’indagine è uscita dopo che lo scorso 14 febbraio due persone erano state arrestate: Camilla Marianera e Jacopo De Vivo. La prima è un’avvocata praticante che ha passato il primo esame di abilitazione a Catanzaro ma poi è stata bocciata all’orale. È laureata all’Università telematica Unicusano e ha fatto il tirocinio nello studio Condoleo di Roma, che si dichiara parte offesa nella vicenda. Suo padre è Luciano Marianera, definito dai pubblici ministeri «pluripregiudicato inserito da anni in contesti associativi, anche connessi al traffico di sostanze stupefacenti». Da gennaio faceva parte dello staff di Monica Lucarelli, assessora del comune di Roma alle Politiche della sicurezza, alle Attività produttive e alle Pari opportunità: era stata assunta con un contratto da 48mila euro all’anno fino alla fine della consiliatura, ma ora è stata sospesa dall’incarico.

Jacopo De Vivo è il fidanzato di Marianera, incensurato, gestore di alcune sale scommesse, figlio di Giuseppe De Vivo detto Peppone, morto nel 2015 e storica figura del tifo organizzato romanista: era tra i fondatori del gruppo dei Fedayn ma allo stesso tempo intimo amico del leader della Curva Nord laziale Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, assassinato a Roma il 7 agosto 2019. Peppone De Vivo venne indagato a fine anni Novanta con l’accusa di aver ricattato l’allora presidente della Roma, Franco Sensi.

La procura ha scoperto l’attività di Marianera e De Vivo indagando su una terza persona, Luca Giampà, marito di Mafalda Casamonica, figlia di uno dei capi della famiglia sinti sospettata di gestire varie attività criminali a Roma. Giampà è indagato per traffico di stupefacenti ed era sottoposto a intercettazioni sia telefoniche che ambientali (quelle fatte con microspie o microfoni particolari). Proprio da una conversazione intercettata tra Giampà, Marianera e De Vivo, sono emersi i possibili reati: Giampà chiedeva informazioni su un GPS che sarebbe stato installato sulla sua auto su ordine della procura di Roma, e dopo pochi giorni Marianera e De Vivo gli avevano fornito i dati richiesti.

A quel punto la procura ha deciso di mettere sotto sorveglianza e sotto intercettazione entrambi, installando tra l’altro un “trojan” nel telefono di De Vivo, cioè un virus in grado di introdursi praticamente in ogni parte del dispositivo, azionando il microfono per registrare, scattando foto, registrando video e acquisendo immagini delle schermate.

Si è così scoperto il presunto traffico di informazioni. Secondo l’accusa De Vivo trovava i clienti negli ambienti criminali, soprattutto persone disposte a pagare per sapere le attività della procura. Dopodiché Marianera otteneva le informazioni attraverso una “talpa” negli uffici della procura, cioè un informatore di cui non si conosce ancora l’identità. L’ipotesi di reato è corruzione. La tariffa richiesta da Marianera e De Vivo sarebbe stata tra i 300 e i 700 euro.

Negli stralci di conversazioni e messaggi in chat riportati nell’ordinanza di custodia cautelare, Camilla Marianera fornisce informazioni in maniera dettagliata, per esempio: «Inserito GPS nella macchina», oppure «predisposto pedinamento in via…», dicendo di ottenere le informazioni grazie a «un amico» che lavora «là dove c’è gente con le cuffie».

In un’intercettazione Marianera dice qualcosa in più sul suo contatto:

«Se gli metto il nome con la data di nascita, lui… davanti a me scrive sul computer e mi dice: inserito GPS sotto la macchina… oppure predisposto ocp [osservazione controllo e pedinamento ndr], su via… sotto casa».

La procura non ha ancora individuato la persona che forniva le informazioni a Marianera, ma ritiene di aver scoperto il metodo: Marianera faceva la richiesta e quando le informazioni erano pronte la “talpa” le faceva tre squilli sul cellulare da un numero anonimo. Uno dei casi in cui sarebbe stato adottato questo metodo avvenne il 22 settembre 2022, quando Marianera diede a De Vivo appuntamento al quartiere EUR di Roma, sotto al Fungo, dopo essere passata in tribunale a raccogliere informazioni richieste da una terza persona e passate a De Vivo.

I pubblici ministeri incaricati delle indagini sono Francesco Cascini e Giulia Guccione, che nella richiesta di custodia cautelare hanno parlato di «protocollo criminale».

Per il giudice delle indagini preliminari che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, Marianera e De Vivo «mostravano di essere in grado di acquistare le informazioni segrete sull’esistenza di queste operazioni di intercettazione, penetrando i sistemi e le procedure di garanzia e controllo della segretezza delle stesse, a mezzo dell’acquisto di favori illeciti da parte di funzionari infedeli allocati presso l’Ufficio intercettazione della Procura della Repubblica di Roma». Sempre nell’ordinanza si legge che Marianera e De Vivo «erogavano utilità economiche a un pubblico ufficiale allo stato ignoto, appartenente agli uffici giudiziari di Roma e addetto all’ufficio intercettazioni perché costui ponesse in essere atti contrari ai doveri del suo ufficio consistenti nel rilevare l’esistenza di procedimenti penali coperti dal segreto, l’esistenza di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, atti remunerati mediamente nella misura di 300 euro a richiesta».

Marianera, interrogata, ha respinto le accuse. La procura al momento sta cercando di capire se ci siano altre persone coinvolte nel traffico di informazioni, e quante di queste siano all’interno del tribunale di Roma: l’ipotesi è che non ci fosse un solo «erogatore» e che Marianera non fosse la sola intermediaria, ma che ci fosse un giro di informazioni più ampio e sistematico che andava avanti da tempo e coinvolgesse più uffici del tribunale.