Il decreto-legge che accentra la gestione del PNRR

Il governo vuole togliere poteri a una struttura tecnica del ministero dell'Economia e semplificare le procedure, per rimediare ai ritardi

(Roberto Monaldo / LaPresse)
(Roberto Monaldo / LaPresse)
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Giovedì sera il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge che modifica la struttura di gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), cioè il documento con cui il governo italiano spiega come intende spendere i finanziamenti che stanno arrivando dall’Unione Europea tramite il Next Generation EU, chiamato anche Recovery Fund.

Il decreto ha l’obiettivo di accentrare diverse competenze in un nuovo organismo che sarà chiamato “struttura di missione” e che dipenderà dalla presidenza del Consiglio, quindi direttamente dalla presidente Giorgia Meloni. Alcuni commentatori concordano sul fatto che quello del governo sia un tentativo di tenere sotto controllo dal punto di vista politico alcune competenze chiave nella gestione dei fondi, che prima erano distribuite fra vari organi tecnici. Il decreto contiene anche diverse norme di semplificazione delle procedure di approvazione dei progetti, nel tentativo di spendere in maniera più rapida i fondi a disposizione (l’Italia ha storicamente un grosso problema di spesa dei fondi europei).

Fino ad oggi gli organismi più importanti per la gestione del PNRR erano tre: la cabina di regia, di cui fanno parte il presidente del Consiglio e vari ministri, la segreteria tecnica, che si occupa di tutta una serie di questioni tecnico-amministrative in collaborazione con la cabina di regia, e il servizio centrale, un organismo del ministero dell’Economia che si occupa del «coordinamento delle fasi di programmazione, gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo del PNRR», e che tiene inoltre i contatti con la Commissione Europea, l’organo dell’Unione a cui è affidata la supervisione dei vari piani nazionali.

La riforma contenuta nel decreto prevede l’eliminazione della segreteria tecnica ma soprattutto il depotenziamento del servizio centrale, che fa capo al ministero dell’Economia. Buona parte delle sue competenze verranno assorbite dalla nuova “struttura di missione”, interna alla presidenza del Consiglio, che una volta creata dovrà anche tenere i contatti con la Commissione Europea. Il servizio centrale dovrà occuparsi soltanto di monitoraggio e rendicontazione. Saranno inoltre smantellate le cosiddette “unità di missione”, cioè gli uffici che in ogni ministero si occupano dell’attuazione del PNRR: il decreto prevede che le persone che ci lavorano, fra cui anche 500 assunte proprio per lavorare al PNRR, possano essere assorbite nel personale tecnico dei ministeri.

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Il decreto contiene anche una serie di semplificazioni che dovrebbero agevolare la spesa dei fondi. «La ragione è semplice da inquadrare», scrive il Sole 24 Ore: «dopo gli anni iniziali del Piano, in cui il cronoprogramma era dominato da obiettivi “formali” da raggiungere con l’approvazione di decreti e cornici di avvio dei bandi, ora il calendario cambia pelle, e punta sempre di più sui target sostanziali: opere da realizzare, asili nido da aprire, alloggi universitari da assicurare, spesa effettiva da realizzare».

Ma la spesa concreta dei fondi è la parte su cui storicamente l’Italia fa più fatica. Nelle prime fasi di progettazione del PNRR il governo Draghi aveva previsto di spendere nel 2022 una trentina di miliardi legati al PNRR. Poi a ottobre aveva dovuto dimezzare l’obiettivo a 15 miliardi. Il Sole 24 Ore stima che alla fine ne siano stati spesi 12 o 13.

Fra le procedure di semplificazione è stato dimezzato il tempo massimo per l’esame dei progetti nella Conferenza dei servizi, cioè l’organo che riunisce tutti gli enti nazionali e locali coinvolti in un certo progetto, che dovrà prendere decisioni in 30 giorni anziché 60. Il governo poi potrà commissariare direttamente alcuni progetti, nel caso in cui le regioni non rispettino le scadenze previste. Vengono estese a tutti i progetti del PNRR le cosiddette procedure “supersemplificate” previste già oggi per la costruzione di infrastrutture ferroviarie e carceri.

Il governo italiano sta anche provando a ottenere dalla Commissione Europea tempi più lunghi per portare a termine i progetti, che secondo le norme europee relative al Next Generation EU dovranno essere completati entro il 2026. Ma al momento da parte della Commissione non c’è stata nessuna apertura, come ha confermato peraltro il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto.

Diversi commentatori e addetti ai lavori appaiono prudenti nel valutare la riforma contenuta nel decreto. «Per valutare l’efficacia del decreto occorrerà attendere, ma nessuno scommette sul fatto che basterà a rispettare la scadenza del Recovery di fine 2026», scrive per esempio la Stampa.