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  • Venerdì 17 febbraio 2023

Che cos’è il congedo mestruale

È appena stato approvato in Spagna e prevede un permesso retribuito ogni mese in caso di ciclo mestruale invalidante: se n'era parlato anche in Italia, senza risultati

Una manifestazione a Rio de Janeiro, in Brasile, nel 2021 (AP Photo/Bruna Prado)
Una manifestazione a Rio de Janeiro, in Brasile, nel 2021 (AP Photo/Bruna Prado)
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Giovedì il parlamento spagnolo ha approvato in via definitiva alcune importanti riforme in materia di salute riproduttiva, diritto all’aborto e salute sessuale. La nuova legge prevede, tra le altre cose, l’introduzione sotto controllo medico del congedo mestruale, un permesso retribuito di tre giorni dal lavoro in caso di ciclo mestruale invalidante, che potrà essere esteso a cinque giorni.

L’insieme dei dolori che in alcune donne accompagnano le mestruazioni si chiama dismenorrea: si manifesta con crampi concentrati nel basso addome e con dolori che possono espandersi alle gambe e alla parte bassa della schiena. Spesso i crampi sono accompagnati da nausea, vertigini, intensa sudorazione ed episodi di diarrea. I dolori possono comparire con le mestruazioni oppure precederle di qualche giorno.

La dismenorrea è una condizione molto diffusa, che colpisce soprattutto le giovani donne e che tende a diminuire con l’aumentare dell’età. Ci sono diversi studi e ricerche sulla sua diffusione: per quanto riguarda la Spagna, secondo i dati della società di ginecologia e ostetricia, la dismenorrea interferisce con le attività quotidiane di circa un terzo delle donne. Altre ricerche stimano che interferisca con le attività quotidiane di circa una donna su cinque.

Non potendo ricorrere a un permesso per malattia ogni mese, molte donne che soffrono di dolori mestruali gravi sono costrette ad andare a lavorare normalmente, con forte disagio e calo della produttività. Uno studio del 2017 pubblicato sul British Medical Journal e condotto nei Paesi Bassi su circa 33 mila donne tra i 15 e i 45 anni dice che, in media, la popolazione femminile perde ogni anno l’equivalente di nove giorni di lavoro o di studio a causa del calo di produttività legato alla dismenorrea.

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L’introduzione del congedo mestruale per legge è sostenuta, nel mondo, da molte associazioni che si occupano di salute e diritti femminili, ma esiste solo in pochissimi paesi. In Giappone la norma che permette alle lavoratrici di prendere dei giorni di congedo dal lavoro a causa dei dolori mestruali esiste dal 1947 e più recentemente si è diffusa in alcune regioni della Cina. Nel 1992 nello stato indiano di Bihar è stata approvata una legge che dà diritto alle donne di assentarsi dal lavoro due giorni al mese e altre forme simili di congedo mestruale si trovano in Indonesia, Corea del Sud, Taiwan e Zambia.

Nel resto del mondo ci sono state anche alcune aziende che si sono mosse in questa direzione: nel 2007 Nike ha inserito nel suo codice di condotta il congedo mestruale per tutte le dipendenti e l’azienda inglese Coexist è stata la prima a farlo nel Regno Unito nel 2016. Zomato, una multinazionale indiana che offre servizi online per cercare ristoranti e ordinare cibo a domicilio, aveva deciso l’introduzione di un congedo mestruale pagato di dieci giorni all’anno per le dipendenti donne e per le persone transgender in tutti i paesi in cui opera nel 2020. Nell’annunciarlo, il fondatore e amministratore delegato della società Deepinder Goyal aveva spiegato che l’azienda voleva «favorire una cultura basata sulla fiducia, la verità e l’accettazione». Il congedo mestruale, aveva detto Goyal, era anche un modo per togliere le lavoratrici dall’imbarazzo di dover spiegare o giustificare la propria condizione ogni volta: «Dovresti sentirti libera di dire o scrivere ai colleghi che quel giorno sei in congedo mestruale».

In Europa, Spagna a parte, il congedo mestruale non è previsto in nessuno stato: nel 2016 in Italia era stato presentato un disegno di legge per garantire questa possibilità, ma non era mai stato approvato.

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Uno dei principali argomenti contrari all’introduzione del congedo mestruale è che possa rendere le donne meno competitive sul mercato del lavoro, che possa diventare un ulteriore motivo di discriminazione in sede di assunzione, e che possa dunque incentivare ancora di più la loro stigmatizzazione. Commentando l’ipotesi che il congedo potesse essere introdotto in Italia, nel 2017 l’economista Daniela Piazzalunga sul Washington Post aveva detto che le donne avrebbero potuto «essere ulteriormente penalizzate sia in termini di stipendio che di avanzamento di carriera».

Durante la discussione della legge in Spagna, questa argomentazione era stata sostenuta ad esempio dalla ministra dell’Economia Nadia Calviño, vicepresidente del governo spagnolo, ma Yolanda Díaz, ministra del Lavoro, aveva replicato che era semmai stigmatizzante non comprendere «che donne e uomini sono diversi e che il mondo del lavoro non è neutro».

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Inoltre, secondo qualcuna, il congedo potrebbe finire per rafforzare gli stereotipi relativi alle donne e alla loro condizione emotiva e ormonale nei giorni delle mestruazioni. È certamente vero che per secoli superstizioni, leggende e stereotipi hanno descritto le mestruazioni come un fenomeno invalidante per la vita delle donne, giustificando con varie argomentazioni l’esclusione delle donne stesse dall’istruzione, dalla vita lavorativa o pubblica. Ma si trattava delle mestruazioni in generale e non di una condizione dolorosa legata ad alcuni giorni del ciclo.

Il cosiddetto “femminismo della parità” (o “femminismo di stato”) che è quello che nella politica istituzionale ha trovato maggiore spazio e che ha interpretato il movimento delle donne nel senso di una richiesta femminile di maggiore parità e uguaglianza, ha di fatto portato a conseguenze paradossali: al riconoscimento dell’uguaglianza, ma non della differenza e all’interpretazione di una differenza (che comunque esiste) in senso esclusivamente svalutativo. «Nella foga di mettere da parte una divisione di ruoli ormai considerata datata e priva di senso dai più, ci si è spinti spesso in una direzione paradossale», ha scritto qualche anno fa su Vice Italy Miriam Goi, «quella in cui si pareggiano i doveri ma non i diritti; si riconosce il valore delle uguaglianze ma non delle differenze; e si finge che le donne debbano gestire ogni compito e responsabilità nello stesso identico modo».