I preoccupanti casi di influenza aviaria nei visoni
La capacità di una variante del virus H5N1 di diffondersi tra i mammiferi è considerata rischiosa anche per gli umani
Negli ultimi mesi in Europa e in altre parti del mondo sono stati segnalati numerosi casi di influenza aviaria, non solo tra uccelli selvatici e pollame, ma anche tra alcune specie di mammiferi. I contagi sono dovuti alla diffusione di una variante del virus influenzale H5N1/HPAI ad alta patogenicità, cioè con un’alta capacità di causare la malattia. I contagi hanno reso necessari abbattimenti di animali negli allevamenti e hanno spinto le autorità sanitarie a intensificare i controlli. Per ora non si ritiene che ci sia un immediato pericolo per gli esseri umani, ma il rischio che il virus sviluppi nel tempo nuove capacità per trasmettersi più facilmente rimane.
Per buona parte del Novecento, in Europa, Africa e Asia erano stati segnalati di frequente focolai di virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità. Questi erano per lo più limitati agli allevamenti di pollame e potevano essere tenuti sotto controllo abbattendo gli animali contagiati, evitando che il virus si diffondesse tra gli uccelli selvatici con maggiori rischi di contagio. A partire dai primi anni del Duemila le cose sono però cambiate, con un aumento significativo di uccelli selvatici portatori di influenza aviaria, con sporadici casi di contagio da volatili a mammiferi.
La presenza di virus appartenenti al sottotipo H5N1 ha reso necessario negli ultimi anni l’abbattimento di milioni di polli e altri animali. L’uccisione di massa è inevitabile perché nella maggior parte dei casi gli allevamenti sono di tipo intensivo, tesi cioè a massimizzare la densità di animali negli spazi loro riservati. Stando costantemente a stretto contatto, polli o tacchini si contagiano con grande facilità, portando in pochi giorni a focolai che comprendono centinaia di migliaia di esemplari.
Negli ultimi anni la situazione è ulteriormente peggiorata, con un aumento dei contagi da H5N1 riscontrati anche nel Nordamerica, dove fino a poco tempo fa il virus veniva raramente rilevato. Non è chiaro che cosa abbia determinato la maggiore incidenza, ma vari gruppi di ricerca ipotizzano che alcune mutazioni casuali abbiano fatto sì che il virus acquisisse la capacità di replicarsi nelle cellule, favorendo quindi una sua più rapida diffusione.
Un’altra ipotesi è che le mutazioni abbiano reso il virus più versatile, cioè in grado di contagiare con maggiore facilità specie molto diverse di uccelli, rispetto a cosa fosse in grado di fare prima. Entrambe le teorie sono ancora discusse, ma la loro eventuale conferma potrebbe aggiungere qualche elemento importante per affrontare la situazione.
In generale, del resto, i virus influenzali tendono a mutare velocemente e ad avere più possibilità di eludere le difese immunitarie dell’organismo che infettano. Per molto tempo le epidemie di influenza aviaria erano state tutto sommato limitate, anche grazie alla possibilità di effettuare più efficacemente attività di contenimento in allevamenti con una minore concentrazione di animali rispetto a oggi. Nella seconda metà degli anni Novanta le cose iniziarono a cambiare, quando in Cina furono rilevate le prime versioni di virus H5N1. In alcuni casi la comunicazione dei casi alle autorità sanitarie fu tardiva, in un contesto con allevamenti industriali molto grandi.
Il virus iniziò a essere rilevato con maggiore frequenza negli uccelli selvatici e in particolare in varie specie di uccelli acquatici migratori, che sviluppavano sintomi lievi, tali da non compromettere i loro spostamenti stagionali di migliaia di chilometri. E proprio le loro migrazioni furono, e sono ancora oggi, una delle cause della ciclica diffusione di virus aviari che raggiungono poi gli allevamenti.
La variante di H5N1/HPAI sembra abbia sviluppato la capacità di passare più facilmente dagli uccelli ai mammiferi, almeno a giudicare dalle segnalazioni e dagli studi svolti negli ultimi mesi. Oltre ad avere causato una quantità più alta del solito di decessi tra i volatili selvatici, ha contagiato orsi, procioni, volpi e altri animali che probabilmente cacciano e si nutrono di uccelli infetti. Ma è stato soprattutto uno sviluppo dello scorso ottobre ad attirare l’attenzione degli esperti.
Come racconta un gruppo internazionale di ricerca sulla rivista scientifica Eurosurveillance, nella prima settimana di ottobre del 2022 in un allevamento di visoni a Carral in Galizia (Spagna) fu notato un tasso di mortalità più alto del solito. La moria era iniziata in uno dei settori dell’allevamento, che comprendeva complessivamente circa 50mila visoni, ma nelle settimane successive si era via via diffusa anche negli altri settori. Furono eseguiti test per verificare la causa della malattia ed emerse un focolaio di H5N1, che rese quindi necessario l’abbattimento di tutti i visoni presenti nell’allevamento, per ridurre il rischio di ulteriori contagi all’esterno della struttura.
Il gruppo di ricerca non ha riscontrato elementi a sufficienza per risalire alle cause del contagio. Inizialmente si era ipotizzato che i visoni avessero consumato carne di pollo infetta, ma le verifiche sullo stabilimento che forniva il pollame all’allevamento dei visoni non avevano portato a identificare focolai di influenza aviaria. È quindi probabile che il virus fosse stato trasmesso ad alcuni visoni da uno o più uccelli selvatici, considerato che ne erano stati identificati di infetti nella zona nelle settimane prima del focolaio e che l’allevamento non era completamente isolato dall’esterno.
Accade di frequente che gli allevamenti intensivi come quelli di visone siano parzialmente aperti, per esempio con gabbie che non sono chiuse nella loro parte superiore, in modo da favorire un migliore ricircolo dell’aria. Ciò rende però più probabile che alcuni animali selvatici riescano a intrufolarsi tra i settori degli allevamenti, facendo aumentare il rischio di nuovi contagi. Alcune specie non sono tanto attirate dai visoni, quanto dalla poltiglia di carne macinata che viene utilizzata come mangime.
Come era diventato evidente negli scorsi anni con i casi di coronavirus tra animali, negli allevamenti i visoni vivono a strettissimo contatto tra loro, sono altamente imparentati e hanno di conseguenza una bassa varietà genetica, tutti fattori che possono favorire non solo la diffusione di un virus, ma anche le sue mutazioni. I campioni prelevati a Carral, per esempio, hanno evidenziato la presenza di numerosi cambiamenti nelle caratteristiche genetiche del virus rispetto a quello isolato dagli uccelli.
Un tipo di mutazione era già stato osservato in precedenza e si ritiene favorisca la capacità del virus di replicarsi nelle cellule dei mammiferi. È comunque difficile stabilire con certezza quali mutazioni fossero già presenti nella sottovariante isolata nell’allevamento e quali si siano potenzialmente aggiunte in un secondo momento.
Da quando si è iniziato a riscontrare un aumento di casi di influenza aviaria nel 2021, sono stati identificati pochi casi di contagio che abbiano riguardato esseri umani, entrati in contatto con animali infetti. I casi di contagio tra esseri umani sono pochi e difficili da confermare, il virus finora non ha inoltre sviluppato mutazioni tali da adattarsi al nostro organismo, di conseguenza non costituisce al momento un particolare pericolo. La sua presenza nell’allevamento di visoni mostra comunque la capacità di adattarsi ai mammiferi e aggiunge qualche preoccupazione per gli esperti, considerato che potrebbe acquisire mutazioni tali da diffondersi più facilmente tra gli esseri umani.
Dopo la scoperta dell’epidemia di visoni a Carral, undici operatori che erano entrati in contatto con gli animali infetti erano stati sottoposti ai test per verificare l’eventuale presenza del virus, risultando negativi. Il mancato contagio è stato definito rassicurante dagli esperti, ma non deve comunque essere sottovalutato il problema di un virus che sta circolando molto e che in più occasioni riesce a passare da una specie a un’altra.
Come era successo nelle prime fasi della pandemia da coronavirus, gli allevamenti intensivi come quelli di visoni sono considerati tra i luoghi più a rischio per la diffusione di varianti. Oltre ad avere deciso l’abbattimento di tutti i visoni dove erano stati riscontrati focolai da coronavirus, alcuni paesi hanno scelto di vietare gli allevamenti di visoni o di regolamentarli molto più rigidamente per provare a ridurre i rischi.
Secondo gli esperti, la maggiore diffusione del virus H5N1 riscontrata negli ultimi anni dovrebbe indurre a intensificare la sorveglianza e non solo negli allevamenti di visoni. Il rischio di una nuova pandemia influenzale non può essere completamente eliminato, ma con i giusti accorgimenti e con adeguate politiche sanitarie può essere tenuto basso.