La breve vita e il mito di André the Giant
Trent'anni fa morì il primo wrestler di fama mondiale: ebbe un'esistenza segnata da una rara patologia, e un volto che è rimasto tra di noi
di Pietro Cabrio
«Dalle alpi francesi, con un peso di 211 chili, l’ottava meraviglia del mondo: André the Giant». Fu questo l’annuncio che in varie lingue accompagnò l’ingresso di André Roussimoff nei palazzetti di mezzo mondo per decenni, fino a pochi mesi dalla sua morte prematura, il 28 gennaio di trent’anni fa.
Roussimoff fu l’uomo con cui il wrestling iniziò ad affermarsi come forma d’intrattenimento globale; André the Giant fu il personaggio che diede lo slancio alla creazione di un’industria che oggi viene valutata oltre 4 miliardi di dollari. Ma entrambi, sia l’uomo che il personaggio, furono molto altro e in un certo senso continuano ad esserlo ancora oggi.
La vita di Roussimoff fu inizialmente quella di un ragazzo qualunque, nato negli anni Quaranta e cresciuto in una fattoria nei dintorni di Grenoble, ai piedi delle alpi francesi. Intorno ai quindici anni iniziò però a crescere smisuratamente a causa di un’eccessiva produzione di ormoni della crescita nota come acromegalia, la stessa patologia di cui aveva sofferto in passato il pugile italiano Primo Carnera.
Gli effetti erano permanenti: anche dopo una diagnosi non si poteva tornare indietro, soltanto bloccarne lo sviluppo. Nel caso di Roussimoff la patologia fu ignorata a lungo, diagnosticata con ampio ritardo e senza interventi successivi.
Ben prima di compiere diciotto anni superava già i 2 metri d’altezza e i 140 chili di peso. Viste le dimensioni provò a giocare a rugby, uno sport molto diffuso nel sud della Francia, e a Grenoble in particolare. Lì iniziò ad allenarsi le prime volte in palestra e a modellare un corpo già ampiamente fuori scala rispetto ai suoi coetanei. In quegli ambienti entrò in contatto con il cosiddetto teatro atletico — l’odierno wrestling — e colse l’opportunità per farsi una vita diversa da quella che aveva avuto fin lì e che probabilmente, restando a Grenoble, sarebbe continuata allo stesso modo.
A metà degli anni Sessanta si trasferì a Parigi e iniziò a farsi conoscere, anche perché continuava a crescere. Gli fu dato il nome d’arte di Géant Ferré per richiamare la figura folcloristica di Grand Ferré, un taglialegna picardo dotato di una forza sovrumana, anche se non aveva bisogno di costumi né di personaggi elaborati per farsi notare. Superati abbondantemente i 2 metri e raggiunti i 200 chili, Roussimoff attirava l’attenzione ovunque andasse e viveva in un mondo che non era fatto per le sue dimensioni. Negli anni successivi questa condizione da una parte lo rese famosissimo, ma dall’altra lo tormentò a lungo creandogli grandi disagi personali.
Per il mondo dell’intrattenimento, invece, era il personaggio perfetto: nessuno aveva mai visto niente di simile ed era troppo grande e troppo forte per poter perdere un incontro, anche perché soltanto la sua presenza garantiva il pienone ovunque.
Gli impresari si accorsero presto di lui e così iniziò a girare il mondo, a partire dal Giappone, uno dei paesi che frequentò più assiduamente: lì, con il nome d’arte di “Mostro Roussimoff”, divenne uno dei primi occidentali veramente famosi. Nel 1971 si trattenne poi per un certo periodo nel Canada francofono: anche lì attirò enormi attenzioni e fu notato dagli impresari statunitensi.
All’epoca il wrestling era già famoso e seguito in tutti gli Stati Uniti, ma dietro non esisteva ancora una vera e propria industria. Esistevano invece una trentina di federazioni diverse che si spartivano il territorio nazionale, ognuna delle quali era gestita da promoter locali e aveva i propri personaggi di riferimento. Quando si presentò Roussimoff, uno straniero senza particolari legami territoriali, le varie federazioni iniziarono a fare a gara per averlo.
Negli Stati Uniti Roussimoff lasciò l’identità di Géant Ferré e divenne André the Giant. Le richieste diventarono tali che iniziò a passare oltre trecento giorni all’anno in viaggio da una parte dall’altra del continente americano, alternando inoltre frequenti trasferte in Giappone, in Australia e di tanto in tanto anche in Europa.
Ma se già era fuori scala per la vita di tutti i giorni, le sue dimensioni non si conciliavano per nulla con i viaggi, in particolare in aereo. Aveva bisogno di almeno due posti a sedere, e spesso comunque non bastavano. Non poteva usare nessun servizio, bagni compresi, perché non ci entrava. Nei viaggi più lunghi, quando possibile, era costretto ad appartarsi e a usare un secchio mentre veniva coperto dal suo entourage.
Anche se fra difficoltà sempre maggiori, la carriera di Roussimoff continuò ugualmente a prosperare. Negli Stati Uniti la sua popolarità raggiunse livelli mai visti, tanto da fare da traino a quelle di tanti altri famosi lottatori dell’epoca con cui ingaggiò le rivalità più note, da Jerry “The King” Lawler a “Macho Man” Randy Savage.
La svolta definitiva si verificò quando, a partire dal 1973, iniziò a lavorare assiduamente con la World Wide Wrestling Federation di Vincent J. McMahon, che all’epoca operava nella zona tra Washington, New York e Boston. McMahon fu il promoter che definì maggiormente il personaggio di André the Giant, un wrestler “buono” che non poteva essere battuto e nemmeno proposto troppo di frequente, per non esaurire il grande interesse nei suoi confronti.
Alla morte di McMahon nel 1983 subentrò il figlio, Vince, che sfruttò l’arrivo della televisione via cavo per espandere la WWF in tutti gli Stati Uniti fino a farla diventare l’attuale WWE, che di fatto costituisce un monopolio del wrestling professionistico. Gli spettacoli iniziarono a essere registrati in apposite sale e poi trasmessi in tutto il paese. In questo modo il pubblico statunitense abituato al wrestling locale scoprì una federazione dagli standard molto più alti e con i personaggi migliori, a partire da André the Giant.
Per le mire nazionali della WWF, Vince McMahon puntò molto su Terry Eugene Bollea, un wrestler abbronzato con capelli lunghi e baffi biondi, tutto sommato ancora giovane per la media dei lottatori dell’epoca. Anche se di origini italiane, McMahon gli diede il nome di Hulk Hogan e lo fece diventare un chiaro riferimento agli irlandesi-americani, il secondo gruppo etnico più diffuso negli Stati Uniti. Hogan divenne così il wrestler per eccellenza, e il primo lottatore a diventare una sorta di action figure vivente creando attorno a sé un merchandising sconfinato.
Per raggiungere questa enorme popolarità con Hogan, McMahon si servì proprio di André the Giant, una scelta che ancora oggi attira accuse di cinismo nei suoi confronti.
Roussimoff aveva stabilito prima di Hogan l’asticella della popolarità per un wrestler. Parallelamente alla sua carriera da lottatore, per esempio, era diventato richiestissimo anche dal cinema: tutti i registi che avevano bisogno di un gigante, un mostro o di una qualsiasi creatura di dimensioni enormi si rivolgevano a lui. Recitò in Conan il distruttore, nella serie L’uomo da sei milioni di dollari ed ebbe una parte piuttosto consistente in La storia fantastica di Rob Reiner. Arnold Schwarzenegger raccontò una volta che Roussimoff era talmente forte che per scherzare lo prendeva sotto le ascelle e lo metteva a sedere sopra gli armadi come se fosse un bambino.
Al contempo però la patologia di cui soffriva iniziava a limitarlo sempre di più. Nel 1981 si ruppe un piede e per curarlo gli venne impiantata una vite nell’osso della caviglia che a detta dei medici era grande come un ginocchio di una persona normale. Fu in quell’occasione che gli fu diagnosticata per la prima volta l’acromegalia. Anche se in stato avanzato, poteva ancora essere arrestata, ma Roussimoff rifiutò credendo che le cure lo avrebbero privato delle sue peculiarità.
Fu così che col passare degli anni Roussimoff accusò dolori sempre più debilitanti al collo, alla schiena e alle articolazioni, disturbi che peraltro acuirono i suoi problemi con l’alcol. Chi lo ha conosciuto lo descriveva infatti come «il più grande bevitore di tutti i tempi». Ric Flair, famoso wrestler in attività fino a qualche anno fa, disse che una sera lo vide bere 119 birre in poche ore. Per le sue dimensioni aveva una resistenza all’alcol fuori dal comune, ma arrivava a bere talmente tanto — si parla di «casse di vino al giorno» — che a volte anche lui crollava a terra. Quando succedeva nessuno poteva farci niente: veniva lasciato lì dov’era fino al giorno dopo, e spesso questo succedeva nelle hall degli alberghi.
Da sempre descritto come piuttosto fatalista, rassegnato e consapevole di avere poco da vivere, verso la fine degli anni Ottanta Roussimoff non era più in grado di salire su un ring. Si muoveva sorretto da un bastone e passava le giornate seduto o disteso. La WWF si trovava però in un periodo di enorme crescita e nel 1987 McMahon gli propose di partecipare a WrestleMania III, l’evento che avrebbe sancito il successo definitivo della lega. Hogan era il personaggio più simbolico ma aveva ancora bisogno della consacrazione definitiva che solo un incontro con André the Giant, il grande campione del passato, poteva dare.
Consapevole dei suoi gravi problemi di salute, McMahon si giustificò successivamente dicendo che gli propose di tornare sulle scene perché sapeva che questo gli avrebbe dato una ragione in più per continuare a vivere serenamente. Per affrontare Hogan, André the Giant fu quindi tramutato in un personaggio cattivo, lui che era sempre stato un buono e ben voluto da tutti.
L’incontro si tenne davanti agli oltre 90mila spettatori del Silverdome di Pontiac, in Michigan, fra enormi difficoltà. Roussimoff arrivò sul ring accompagnato da un macchinario e rimase praticamente fermo sul posto per gran parte del combattimento. Anche per lo stesso Hogan, che lo sconfisse come da copione diventando definitivamente una celebrità nazionale, quel giorno André the Giant non avrebbe dovuto combattere.
WrestleMania III fu di fatto l’epilogo della carriera da wrestler di Roussimoff, che continuò a esibirsi ancora per qualche anno, spesso senza combattere. Si ritirò poi nel suo ranch in North Carolina, che aveva comprato nei dintorni di una piccola cittadina in cui si sentiva a casa perché, a differenza di qualsiasi altro luogo al mondo, «nessuno lo guardava mai due volte», né gli chiedeva niente. Era arrivato a pesare 285 chili per 2 metri e 24 centimetri d’altezza: oltre alle articolazioni cedute sotto il peso eccessivo, anche gli organi facevano sempre più fatica a sostenerlo.
Tra la fine del 1992 e l’inizio del 1993, stanco e debilitato, tornò in Francia dal padre malato, che morì in breve tempo. Si fermò a Parigi per qualche giorno e il 28 gennaio avrebbe dovuto pranzare con la famiglia, ma non ci arrivò mai. Nel primo pomeriggio i dipendenti dell’albergo in cui soggiornava sfondarono la porta della sua stanza e lo trovarono morto a letto, probabilmente nel sonno, per un arresto cardiaco. Aveva 46 anni.
Anche dopo la sua morte, tuttavia, André the Giant continuò a circolare sotto varie forme e continua a farlo tuttora, in mezzo a noi. Verso la fine degli anni Ottanta un giovane artista di strada americano di nome Shepard Fairey iniziò a usare casualmente un suo ritratto, e poi una porzione stilizzata della sua faccia su adesivi, stencil e manifesti in quello che descrisse inizialmente come «un esperimento di fenomenologia».
Negli anni successivi la campagna “Andre the Giant Has a Posse” con cui Fairey invitava le persone ad attaccare o disegnare ovunque il volto del wrestler francese divenne una delle più vaste e studiate nella storia della street art, nonché simbolo di protesta contro la cultura dominante.
Fairey fu arrestato una quindicina di volte ma col tempo raggiunse un successo enorme: fu lui a disegnare il famoso manifesto del candidato democratico Barack Obama per le elezioni presidenziali del 2008. Il volto stilizzato di André the Giant, minaccioso e imperturbabile, divenne invece l’icona di OBEY, il brand che nacque da quella iniziativa.
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