C’è una nuova norma sul diritto all’oblio

È stata inserita nella “riforma Cartabia”, ma i modi della sua applicazione pratica sono tutti da capire

(Foto ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO)
(Foto ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO)
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Dal 1° gennaio 2023, con l’entrata in vigore della cosiddetta legge Cartabia che ha riformato alcune norme sull’amministrazione della giustizia (e che prende il nome dalla ministra del governo Draghi che l’ha avviata), in Italia c’è un articolo di legge che regola il “diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini”. Enrico Costa, deputato di Azione e promotore dell’emendamento relativo, ha scritto su Twitter:

Dal 1° gennaio 2023 sarà vigente la mia proposta sull’oblio per gli assolti: i motori di ricerca dovranno dissociare i nomi degli assolti dalle notizie circolanti in rete sulle inchieste da cui sono risultati innocenti. Basta innocenti marchiati a vita da indagini finite nel nulla.

L’articolo è il 64-ter delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, modificate dalla legge Cartabia, e rappresenta una novità perché in teoria rende più immediati i passaggi tra l’archiviazione o l’assoluzione e il cosiddetto “diritto all’oblio”, ovvero la possibilità di rendere meno accessibili o di nascondere sul web notizie vere ma che possano danneggiare l’onore o le attività personali e professionali di una persona, come i suoi precedenti giudiziari.

Finora il diritto all’oblio era stato considerato soltanto dall’articolo 17 del regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR, General Data Protection Regulation). Nella pratica, fino a oggi la persona che volesse vedere riconosciuto il diritto si poteva rivolgere al sito web che aveva pubblicato l’articolo che parlava di lei (in procedimenti giudiziari, nella quasi totalità dei casi), o al motore di ricerca che lo aveva “indicizzato” nei propri risultati.

La valutazione sulla richiesta, considerando il conflitto tra il diritto all’oblio del richiedente e il diritto di cronaca, spettava al sito e al motore di ricerca. Quando è il caso, queste richieste vengono risolte inserendo all’inizio dell’articolo qualche riga che specifichi che la persona è stata poi assolta. In caso di rifiuto il richiedente può rivolgersi al Garante della privacy ed eventualmente ottenere un provvedimento che imponga l’aggiornamento dell’articolo o la sua rimozione dai risultati delle ricerche (a cui possono provvedere sia il sito originale che i motori di ricerca).

Ora invece c’è una legge dello stato che considera il diritto all’oblio. La persona assolta o per cui è stato deciso dal giudice per le indagini preliminari il non luogo a procedere (quando non ci sono i presupposti per chiedere il rinvio a giudizio e quindi un processo) può chiedere alla cancelleria del giudice presso il quale si è svolto il procedimento sia la preclusione all’indicizzazione, sia l’ottenimento della deindicizzazione.

L’indicizzazione è il meccanismo attraverso il quale un articolo pubblicato sul web appare nei risultati proposti dai motori di ricerca (Google, soprattutto), e quindi viene distribuito e reso visibile alla stragrande maggioranza degli utenti. La “preclusione all’indicizzazione” si riferisce agli articoli ancora da pubblicare; con “deindicizzazione” la legge definisce invece l’intervento su quelli già pubblicati, anche se quest’ultimo termine è abitualmente usato per entrambi i casi. La nuova legge prevede che sia la cancelleria del giudice ad annotare la richiesta, e quindi a renderla operativa, in calce alla sentenza di assoluzione.

Ecco cosa dice l’articolo 64-ter, inserito con la riforma Cartabia:

La persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione può richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016.

Lo stesso articolo al comma 2 aggiunge che:

Nel caso di richiesta volta a precludere l’indicizzazione, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento appone e sottoscrive la seguente annotazione, recante sempre l’indicazione degli estremi del presente articolo: «Ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, è preclusa l’indicizzazione del presente provvedimento rispetto a ricerche condotte sulla rete internet a partire dal nominativo dell’istante.».

Questo comma appare contraddittorio, come spiega l’avvocato penalista Carlo Blengino, specializzato nel diritto penale legato alle nuove tecnologie: «si parla infatti di preclusione dell’indicizzazione del provvedimento emesso dal giudice, cioè quello di assoluzione. Ma il diretto interessato, cioè la persona assolta, dovrebbe avere tutto l’interesse a vedere indicizzata la notizia della sua assoluzione. Non è quindi ben comprensibile lo scopo di quesa parte dell’articolo di legge».

Il comma tre dice invece:

Nel caso di richiesta volta ad ottenere la deindicizzazione, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento appone e sottoscrive la seguente annotazione, recante sempre l’indicazione degli estremi del presente articolo: «Il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante.».

Questo comma è invece più chiaro, dice ancora Blengino: «si rivolge ai motori di ricerca, e non direttamente alle testate, e chiede la sottrazione della deindicizzazione. Quindi, la persona assolta, una volta che la cancelleria del giudice avrà apposta l’annotazione sul provvedimento, dovrà inviarla ai motori di ricerca per chiedere appunto la sottrazione dell’indicizzazione e cioè che, digitando il suo nome in un motore di ricerca, non compaiano gli articoli in cui si parla del procedimento penale in cui stato coinvolto».  

Ha detto Enrico Costa parlando con il giornale Il Dubbio:  

La forza dell’emendamento è che oggi il soggetto può presentarsi dinanzi al motore di ricerca con un provvedimento della cancelleria del giudice. Lo spirito delle mie iniziative, anche riguardo alle spese legali per gli assolti, è quello per cui se lo Stato ti chiama a rispondere per un reato e poi ti assolve deve consentirti di rientrare in società con la stessa reputazione che avevi prima. 

Il nuovo articolo di legge lascia alcuni aspetti insoluti. Prendiamo l’esempio di una persona nota con diversi procedimenti giudiziari: articoli giornalistici trattano, in molti casi, di tutti i procedimenti, compreso quello per cui alla fine la persona è stata poi assolta. Una volta chiesta la deindicizzazione, come dovrà comportarsi il motore di ricerca? La risposta potrebbe essere quella di deindicizzare l’intero articolo, ma così sarebbero eliminate anche le informazioni che riguardano altri procedimenti penali per cui non è intervenuta l’assoluzione. E l’esempio vale per molti articoli che citino l’evento in questione in mezzo a molte altre informazioni: in questi casi, il provvedimento si scontrerebbe con il diritto di cronaca.

Inoltre, a chi dovrà rivolgersi il motore di ricerca se volesse opporsi alla richiesta di deindicizzazione? Nell’articolo di legge non è specificato. Entro quanto tempo, il motore di ricerca dovrà rendere operativa la deindicizzazione? E cosa rischia se invece non lo farà? Sono tutte domande che per ora non hanno risposta e forse si chiariranno solo con la prassi, cioè le prime applicazioni della legge e le prime sentenze..

Contro l’introduzione della nuova norma, il Movimento 5 Stelle aveva presentato un ordine del giorno per fare in modo che le nuove disposizioni non venissero applicate quando «il soggetto o i comportamenti posti in essere dallo stesso abbiano rilevanza pubblica». Intervistata da Repubblica, la deputata del M5S Valentina D’Orso ha spiegato che «riteniamo che i cittadini debbano essere messi nelle condizioni di ricostruire le vicende giudiziarie che hanno coinvolto soggetti con ruoli pubblici verso i quali vi è un interesse anch’esso pubblico a conoscerne l’operato». In sostanza, il M5S chiedeva che per persone con incarichi pubblici, come politici e amministratori, le notizie su indagini poi archiviate o processi finiti con assoluzioni rimanessero disponibili.

Secondo D’Orso, la nuova norma delegittima i giornalisti perché saranno destinati a minore visibilità, per l’appunto, articoli su vicende comunque rilevanti per l’informazione del pubblico: la deindicizzazione implica una minore accessibilità di tutte le informazioni e sviluppi raccontati negli articoli deindicizzati. D’Orso dice che la norma formulata in questo modo «è di certo una scelta a favore della politica e dei colletti bianchi». 

A criticare l’articolo di legge è stato anche l’Ordine dei giornalisti, che chiede a quale autorità sarà eventualmente possibile presentare opposizione per garantire «la conoscibilità di notizie di interesse pubblico». La legge infatti non lo precisa. È una questione fondamentale, spiegano i rappresentanti dell’Ordine dei giornalisti, perché gran parte delle richieste di deindicizzazione che sono state presentate fino ad oggi, in base all’articolo 17 del Regolamento europeo, riguardano personaggi pubblici. 

– Leggi anche: Il diritto all’oblio, una grande conversazione quotidiana

È stato poi criticato un altro aspetto dell’articolo introdotto dalla legge Cartabia: l’articolo riguarda chi viene assolto o la cui posizione viene archiviata, ma non esiste nessuna norma per chi ha espiato la propria pena e volesse far cancellare vecchie informazioni che lo potrebbero danneggiare, e la cui visibilità crea una sorta di “pena permanente”. E questa è una possibilità che è invece contemplata e considerata rilevante dal diritto all’oblio così come è stato discusso in questi anni e come è interpretato anche dalle sentenze europee.

Da quando esiste, l’applicazione del diritto all’oblio è sempre stata molto problematica e farraginosa, secondo l’opinione di molti esperti. Un problema, per esempio, è che quando Google rifiuta una richiesta di deindicizzazione avviene spesso che gli interessati si mettano in contatto con i gestori dei siti chiedendo che provvedano loro a escludere i contenuti dai motori di ricerca (tecnicamente fattibile con l’inserimento di una breve nota di codice), minacciando altrimenti cause legali.
Talvolta le richieste si spingono oltre, chiedendo la cancellazione stessa dei contenuti dagli archivi. In mancanza di un quadro normativo chiaro e con la prospettiva di dover sostenere spese legali o seccanti e minacciose insistenze da parte degli avvocati, spesso i siti – soprattutto i più piccoli o i meno motivati sul diritto di cronaca – tagliano corto e accolgono le richieste, limitando la loro funzione informativa e di fatto censurandosi da soli, a torto o a ragione. Quali ricadute nell’attuazione pratica avrà la nuova norma lo si vedrà solo col tempo.