“Love Actually” non piace più come una volta

Una delle commedie romantiche e natalizie più celebri riceve ogni anno nuove critiche, e forse non è invecchiata benissimo

(Love Actually)
(Love Actually)
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Quando uscì al cinema, nel novembre del 2003, Love Actually fece ottimi incassi, fu candidato a due Golden Globe e ricevette recensioni contrastanti. Era stato scritto e diretto dal regista britannico Richard Curtis, sceneggiatore di film di successo come Notting Hill e Il diario di Bridget Jones, e aveva un cast di celebrità come Hugh Grant, Keira Knightley, Colin Firth e Laura Linney, solo per citarne alcune. Aveva anche tutto il potenziale commerciale di una commedia di Natale in un periodo in cui non c’era ancora la concorrenza che c’è oggi sulle piattaforme di streaming. Tra i critici però alcuni lo definirono eccessivamente sdolcinato, pieno di cliché e in generale scritto in modo troppo superficiale: il New York Times lo definì «indigeribile».

Da allora le opinioni sul film si sono ulteriormente polarizzate, e Love Actually ogni anno, a dicembre, riceve un nuovo giro di critiche, molte delle quali di recente sostengono che non sia invecchiato bene. Come ha scritto Jessie Thompson in un articolo sull’Independent, negli ultimi anni Love Actually «è diventato il nostro capro espiatorio stagionale di riferimento». «Sezionarne ogni scena è probabilmente diventata una tradizione natalizia», ha commentato Stephanie Soteriou su BuzzFeed.

A inizio dicembre il conduttore britannico Jeremy Vine ha dedicato una puntata della sua trasmissione quotidiana, The Jeremy Vine Show, a elencare tutte le “red flag” del film, come vengono definiti oggi in inglese gli aspetti più problematici e allarmanti di una determinata cosa. Molti di questi erano già ampiamente emersi nelle vecchie analisi e recensioni critiche pubblicate soprattutto in occasione dell’anniversario dei dieci anni del film, nel 2013, a partire da una stroncatura molto severa e allo stesso tempo ironica del sito di costume Jezebel.

Durante uno speciale uscito sulla tv americana poche settimane fa e dedicato ai vent’anni del film (che in realtà sono 19), il regista Richard Curtis ha detto di sentirsi a disagio per aver fatto un film con un cast così poco inclusivo (tutti i personaggi principali sono bianchi). Ma tra tutte le critiche che sono state mosse al film questa è una delle minori.

La trama di Love Actually è un intreccio di nove storie di amori e relazioni che si svolgono contemporaneamente, a volte intrecciandosi, nelle quattro settimane precedenti al giorno di Natale. Il film dura parecchio per essere una commedia romantica – 2 ore e un quarto – ma è comunque troppo breve per dare tempo a ogni storia di svilupparsi come dovrebbe, e questa è la prima critica che viene mossa al film.

«È molto più interessato a mettere insieme quante più storie possibili invece di sviluppare le persone o le loro trame» ha scritto Melinda Fakuade su Vox. Da questo deriva che numerosi personaggi di Love Actually sono solo abbozzati e le loro azioni – ricerche porta a porta, trafelate corse in aeroporto e teatrali proposte di matrimonio – che vorrebbero apparire romantiche risultano più che altro poco comprensibili o ingiustificate.

Il critico americano Christopher Orr, che aveva recensito negativamente il film nel 2003, ha scritto sull’Atlantic una seconda opinione dieci anni dopo, confermando le sue idee iniziali: «Chiunque vada al cinema con una certa regolarità sa che l’ultimo decennio ha visto un’abbondanza di brutte commedie romantiche. Ma Love Actually è eccezionale in quanto non è semplicemente, come tante altre novità del genere, poco romantico. Piuttosto, è decisamente, quasi spaventosamente, antiromantico».

Non è l’unico a sostenere che la gran parte delle storie contenute in Love Actually trasmettano un’idea irrealistica e problematica delle relazioni amorose. Il problema principale sollevato da molti è che tutti gli innamoramenti del film sembrano basarsi su un’attrazione puramente fisica. Per esempio, il personaggio interpretato da Colin Firth si propone alla donna che fa le pulizie in casa sua senza che i due siano mai riusciti a comunicare perché lei parla solo portoghese. Anche il personaggio di Hugh Grant, che interpreta il primo ministro britannico, si innamora di una sua dipendente solo dopo averci scambiato poche frasi.

L’esempio più citato a sostegno di questa tesi è la famosissima scena in cui Andrew Lincoln si presenta alla porta di Keira Knightley e le dichiara il suo amore con una serie di cartelli, per non farsi sentire dal marito di lei e migliore amico di lui. Con la canzone Silent Night di sottofondo, la scena è stata ripresa e citata in mille occasioni e da alcuni è considerata una delle più romantiche del cinema. Il problema del personaggio di Lincoln però è che è innamorato (o forse addirittura ossessionato) della moglie del suo miglior amico pur avendole parlato solo poche volte, come dice lei stessa nel film. Inoltre, tiene in casa una videocassetta con le riprese fatte durante il matrimonio, che inquadrano solo lei e che non sembra intenzionato a condividere con nessuno. Come molti prima di lui, Jeremy Vine ha definito il personaggio di Lincoln «uno stalker».

Secondo Orr, uno dei problema del film è che «manca sempre una parte, saltando dall’attrazione iniziale al culmine romantico senza preoccuparsi di tutte le questioni noiose che riguardano – avete presente – l’innamoramento vero e proprio».

A questo si aggiunge un’altra critica, e cioè che tutte le storie sono raccontate da un punto di vista maschile e a tratti maschilista: quello che in ambito cinematografico viene definito male gaze. È stato fatto notare come i personaggi femminili non abbiano quasi mai una loro volontà attiva, ma esistano nella storia solo in funzione del desiderio dei personaggi maschili. L’eccezione che secondo le critiche conferma questa analisi è il personaggio di Laura Linney, una grafica la cui priorità nella vita è la cura del fratello che si trova in una clinica psichiatrica e di cui è l’unica parente rimasta, e che per questo motivo viene scaricata dal collega che le piace e a cui piace da anni proprio quando tra i due sta per succedere qualcosa.

L’unica storia di Love Actually che sembra essere piaciuta anche ai più critici è quella tra John e Judy, un attore e un’attrice che si conoscono e innamorano su un set mentre girano alcune scene di copertura di un film erotico. I due sono entrambi molto timidi e la situazione paradossale in cui si trovano, nudi e in posizioni molto intime per molto tempo, fa nascere un’intesa che evidentemente risulta più credibile delle altre. Di tutte le storie però, questa è forse quella a cui il film dedica meno scene.

Il film è stato criticato anche perché le storie d’amore che racconta riguardano solo coppie eterosessuali: una cosa comune nelle commedie romantiche dei primi anni Duemila, ma che è particolarmente notevole per un film che contiene così tante storie d’amore diverse. Si è posta l’attenzione anche su alcune battute ritenute grassofobiche riferite al personaggio interpretato da Martine McCutcheon, che viene descritta chubby e plumpy (paffuta, grassoccia) in accordo con gli standard di magrezza estrema di quegli anni.

Nonostante tutto però Love Actually continua a essere una delle commedie natalizie più guardate negli Stati Uniti e nel Regno Unito e arcinota anche in altri paesi. In Italia quest’anno è stato trasmesso in televisione l’8, il 9 e il 24 dicembre e nella serie tv italiana Odio il Natale, uscita su Netflix a dicembre, la protagonista lo cita più volte come suo film preferito. Chi continua a scriverne lo fa soprattutto per metterne in evidenza i punti critici ma c’è anche qualcuno che ha provato a difenderlo: «nessuno ha mai detto che Love Actually dovrebbe essere un manuale di vita» ha scritto Jessie Thompson sull’Independent, «versatevi un Baileys, finite di incartare i regali e lasciate che questo stupido film vi aiuti a superare la vigilia di Natale. Non è l’anticristo, ragazzi, è solo un film di Richard Curtis».