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  • Sabato 24 dicembre 2022

L’industria del tè Darjeeling è in crisi

I problemi si sono aggravati negli ultimi anni e hanno ragioni politiche ed etniche, ma c'entra moltissimo anche il cambiamento climatico 

Una piantagione di tè in India (AP Photo/Anupam Nath)
Una piantagione di tè in India (AP Photo/Anupam Nath)
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Da qualche anno nel sistema di coltivazione e produzione di tè nel Darjeeling, l’area dell’India che dà il nome a una nota varietà di tè, si sono accavallati una serie di problemi che, come ha raccontato l’Economist, potrebbero metterne a rischio la sopravvivenza. La regione del Darjeeling subisce la concorrenza del vicino Nepal e ha una situazione politica interna piuttosto turbolenta. Inoltre, le conseguenze del cambiamento climatico stanno mettendo in pericolo le coltivazioni.

Il Darjeeling è noto per quello che comunemente chiamiamo “tè darjeeling”: è un tè profumato e aromatico e particolarmente pregiato e ricercato. Con le foglie raccolte nelle piantagioni del Darjeeling si possono produrre tè neri, verdi o bianchi: quelli neri sono i più comuni, quelli bianchi i più pregiati e costosi. Le piantagioni di tè nel Darjeeling esistono dall’800: furono create ai tempi dell’Impero britannico, e poi vendute al governo indiano quando il paese ottenne l’indipendenza.

Il Tea Board of India, l’agenzia governativa indiana che regolamenta la coltivazione, la produzione e il commercio di tè, prevede che per essere classificato come “darjeeling” un tè debba essere stato coltivato e raccolto in una delle 87 piantagioni del Darjeeling registrate all’agenzia, processato in uno stabilimento della stessa regione e caratterizzato dal particolare aroma per cui è noto, che varia a seconda del tipo di tè prodotto (nero, verde o bianco), ma che generalmente si può definire fruttato e vagamente speziato (la procedura viene verificata da alcuni assaggiatori esperti).

Delle 87 piantagioni di tè del Darjeeling, circa la metà rischia oggi la bancarotta, e le altre sono generalmente in perdita: per questo il Tea Board of India ha da poco chiesto al governo indiano un intervento di circa 100 milioni di euro da distribuire su un periodo di cinque anni per evitare l’abbandono delle piantagioni.

L’industria del tè darjeeling è in crisi da diversi anni, ma ultimamente la situazione si è aggravata principalmente per due motivi. Il primo riguarda la competizione del tè coltivato in Nepal, il secondo il cambiamento climatico.

Il tè del Nepal ha caratteristiche simili a quello del Darjeeling, anche grazie alle simili condizioni climatiche, ma è molto meno costoso (anche perché la sua produzione è soggetta a meno regole). Il tè del Nepal viene spesso venduto per tè del Darjeeling, pur non avendo i requisiti per esserlo: viene importato in India o esportato all’estero, con grosse perdite per le piantagioni e gli stabilimenti certificati.

Il problema della competizione con il Nepal si è creato soprattutto dopo il 2017, quando gran parte della produzione in Darjeeling fu sospesa a seguito delle proteste dei Gorkha, un gruppo etnico che da tempo chiede l’indipendenza. Molti degli acquirenti cercarono quindi delle alternative, trovandole nel tè venduto dal Nepal.

Per risolvere il problema del tè nepalese spacciato come tè del Darjeeling, il governo indiano sta valutando la possibilità di introdurre alcuni controlli di frontiera al confine, per garantire che le confezioni di tè etichettate come provenienti dal Darjeeling lo siano davvero. D’altra parte l’India non vuole nemmeno compromettere l’accordo di libero scambio attualmente in vigore col Nepal, vantaggioso sotto altri punti di vista, sia economici che politici.

Una volta venduto, il tè del Darjeeling è dotato di una specie di certificazione IGP (Indicazione geografica protetta): per cercare di proteggerne il marchio il governo indiano aveva anche tentato di introdurre un divieto per gli acquirenti che lo avrebbero rivenduto di miscelarlo con altri tipi di tè. Dopo l’introduzione di questa regola gli acquisti di tè del Darjeeling erano drasticamente diminuiti, con un conseguente crollo del prezzo. Lo scorso ottobre il Tea Board of India ha rimosso il divieto.

A tutto questo si sono aggiunti gli effetti del cambiamento climatico. Il tè del Darjeeling deve il suo caratteristico gusto a una combinazione di fattori climatici, favoriti anche dall’altitudine delle piantagioni e dalla qualità del suolo. L’innalzamento delle temperature e l’aumento della siccità hanno accorciato di circa un mese il periodo di raccolta, e hanno portato di conseguenza a diminuire anche le vendite. I raccolti sono resi ancora più imprevedibili dalla frequenza con cui possono verificarsi eventi meteorologici straordinari, come forti grandinate o monsoni, e l’aumento delle temperature può favorire anche la diffusione di infestazioni di insetti.

Secondo i dati citati dall’Economist dell’Indian Tea Association, un’associazione di categoria dei produttori di tè indiani, l’attuale resa media per ettaro delle piantagioni del Darjeeling è di 350 chili di tè: nel 2000 era di 542.