C’è una Lega di Salvini e una Lega di Bossi

Una piccola scissione del partito in Lombardia ha mostrato la distanza tra le sue due principali fazioni, che ormai sono apertamente in competizione

(Roberto Monaldo/LaPresse)
(Roberto Monaldo/LaPresse)
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Alla fine della scorsa settimana tre consiglieri regionali della Lega in Lombardia hanno lasciato il gruppo del partito nel consiglio regionale, quello che si chiama “Lega Lombarda Salvini”, per fondarne uno nuovo (ma sempre legato alla Lega) chiamato “Comitato Nord”, in aperta polemica con la direzione nazionale del partito e con il suo leader Matteo Salvini. I tre consiglieri – Federico Lena, Roberto Mura e Antonello Formenti – sono stati espulsi poco dopo dalla divisione lombarda del partito: è successo tutto il 9 dicembre, un giorno dopo che Salvini aveva pubblicamente definito «fantasie» la possibilità di una scissione nel consiglio regionale lombardo.

Nonostante si tratti tutto sommato di tre membri minori della Lega, questa piccola scissione ha creato un certo scompiglio nel partito a livello nazionale, facendo emergere più chiaramente una divisione interna di cui si parla ormai da settimane: quella che vede da una parte una Lega “salviniana”, fedele alla linea del segretario nazionale, e dall’altra una Lega “bossiana”, che vorrebbe un ritorno alle battaglie per il nord e per l’autonomia delle sue ricche regioni che caratterizzarono il partito delle origini, e che per questo si identifica con il suo fondatore, Umberto Bossi.

Questa divisione si era già formalizzata pochi giorni dopo il risultato deludente della Lega alle elezioni politiche del 25 settembre, quando Bossi e alcuni suoi fedelissimi avevano annunciato la creazione di un “Comitato Nord”: di fatto, una corrente interna al partito – cioè una fazione che esprime una linea politica autonoma rispetto a quella ufficiale – che si propone di riportare al centro degli interessi della Lega le istanze nordiste e autonomiste.

“Comitato Nord” è anche il nome del gruppo regionale fondato dai consiglieri lombardi fuoriusciti, che imputavano alla direzione del partito proprio «l’abbandono totale delle tematiche autonomiste nordiste»: Federico Lena, uno dei tre, assicura che il nome è stato scelto dopo aver concordato la piccola scissione con i coordinatori della corrente. Questi però sono sembrati piuttosto sorpresi dalla notizia e hanno mostrato una certa difficoltà nel commentarla: non solo non se ne sono assunti la responsabilità, ma hanno anzi ribadito la loro intenzione di non provocare una scissione nella Lega, né a livello nazionale né a livello locale.

Paolo Grimoldi, che attualmente è il principale esponente del Comitato Nord ed è considerato una sorta di vice di Bossi, che per le sue condizioni di salute non ottimali non partecipa attivamente alla vita politica, dopo l’annuncio dell’espulsione dal partito dei tre consiglieri ha pubblicato su Facebook un breve testo piuttosto strano, descritto come un «comunicato concordato con Umberto Bossi»: in sostanza richiamava tutto il partito all’unità e delegittimava la fuoriuscita dei tre consiglieri («non va bene!», aveva scritto). Poco dopo ha pubblicato un altro post con virgolettati attribuiti a Bossi, in cui quest’ultimo prometteva di chiedere a Salvini «l’annullamento del provvedimento disciplinare per i 3 consiglieri»: chiedeva di riammetterli nella Lega, insomma.

Il tentativo di dialogo – che non è chiaro se sia andato oltre il post su Facebook – non sembra aver avuto successo, e lunedì l’espulsione è stata comunque ufficializzata. Lena da parte sua dice che in ogni caso lui e gli altri due fuoriusciti non sarebbero stati disposti a ripensamenti. Sulla stessa storia il partito ha insomma assunto tre posizioni diverse, per molti aspetti inconciliabili e in contraddizione tra loro: così l’iniziativa – indipendente o meno – di tre esponenti sconosciuti alla politica nazionale ha rivelato l’attuale distanza tra le due principali fazioni interne alla Lega e la loro grossa carenza di comunicazione e coordinamento politico.

I malumori nella Lega da parte di chi la vorrebbe più attenta al nord e ai suoi temi più tradizionali però vanno avanti da tempo, anche da molto prima delle ultime elezioni. Finché la leadership di Salvini era sembrata l’unica in grado di raccogliere un gran numero di preferenze – dopo che aveva portato la Lega a essere il primo partito italiano per un certo periodo tra il 2018 e il 2019 – la sua trasformazione in un partito nazionale non poteva essere messa in discussione.

Le ultime elezioni hanno dato ai membri del partito più critici nei confronti di Salvini l’opportunità che aspettavano: non solo la Lega non è andata oltre l’8 per cento a livello nazionale (meno della metà rispetto al 17 delle elezioni precedenti), ma la sua strategia ha causato anche la perdita del primato nelle regioni del nord. L’alleato di coalizione Fratelli d’Italia in Veneto e Lombardia ha ottenuto circa il doppio delle preferenze della Lega, e circa il triplo in Piemonte e Liguria.

I malumori hanno così preso rapidamente una forma più concreta dopo le elezioni del 25 settembre, e i critici si sono strutturati in una corrente: il fatto che ne venga fondata una all’interno di un partito come la Lega, abituato storicamente a una grande coesione interna, è un fatto inedito e piuttosto notevole, che certifica la prima vera crisi interna del partito nei nove anni in cui Salvini è stato segretario.

Lo scorso 3 dicembre è stato organizzato il primo evento pubblico del Comitato Nord al castello di Giovenzano, in provincia di Pavia, in quella che è stata di fatto una presentazione ufficiale della fazione davanti ad alcune centinaia di sostenitori e militanti. La scelta di Pavia non è stata casuale: attualmente è l’unica provincia lombarda governata dalla Lega e quella dove il partito è più forte, e il sindaco Mario Fracassi, che era tra il pubblico, sostiene il Comitato Nord e il ritorno alla Lega di Bossi.

I coordinatori del comitato scelti da Bossi sono due importanti esponenti della Lega lombarda considerati a lui molto vicini: Paolo Grimoldi, segretario del partito in Lombardia dal 2015 al 2021 e a lungo deputato, che non è stato ricandidato per un posto in parlamento alle ultime elezioni, e Angelo Ciocca, europarlamentare dal 2016 che ha un grosso seguito e una certa influenza proprio nella zona di Pavia, la sua città d’origine.

Bossi era presente all’evento e ha tenuto un breve discorso, in cui ha detto cose più critiche nei confronti della direzione nazionale, come «tutti noi sapevamo come sarebbe andata a finire: se cancelli l’identità muori», e altre più concilianti come: «Abbiamo dato vita al Comitato Nord per rinnovare la Lega, non per distruggerla».

Ancora non è del tutto chiaro quanto sia grosso il seguito del Comitato Nord, anche se Grimoldi all’evento di Giovenzano ha detto di avere raccolto «1.200 adesioni» in un mese e mezzo. Diversi membri del Comitato Nord sostengono di avere seguaci anche tra importanti esponenti della Lega a livello nazionale, che però per ora hanno preferito non esporsi. Ne fanno parte soprattutto esponenti della Lega storica vicini a Umberto Bossi che non sono mai stati del tutto coinvolti nella Lega salviniana: come Roberto Castelli, ex ministro della Giustizia in due governi guidati da Silvio Berlusconi all’inizio degli anni Duemila.

Castelli era a Giovenzano e ha parlato in modo molto critico di Salvini: «Il nord sta soffrendo, sentiamo parlare molto del ponte sullo Stretto ma ci piacerebbe che le strade e le ferrovie venissero fatte anche al nord», riferendosi ai discorsi di Salvini da ministro delle Infrastrutture, che ha proposto tra le altre cose la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina. Alla domanda se ci siano “due Leghe”, Castelli ha risposto in modo piuttosto netto: «La Lega è qua, la Lega Nord è qua», ammettendo di fatto una distinzione tra la Lega al nord e la Lega nazionale.

Una delle maggiori accuse che sono state mosse contro Salvini negli ultimi mesi è stata quella di aver scelto solo suoi fedelissimi per i posti di maggiore rilievo politico: non solo a livello nazionale, dove l’attuale sistema elettorale ha favorito l’imposizione dall’alto dei candidati da parte dei leader di partito, ma anche a livello locale. La Lega infatti elegge tradizionalmente tutti i suoi segretari provinciali e regionali in quelli che vengono chiamati “congressi”, ma nell’ultimo periodo alcuni sono stati imposti da Salvini senza passare da votazioni: ufficialmente a causa della pandemia, ma la cosa non è piaciuta affatto agli esponenti “nordisti” del partito, che hanno insistito affinché si tornasse alle vecchie abitudini.

Salvini aveva quindi promesso che dopo le elezioni politiche si sarebbero tornati a svolgere i congressi provinciali della Lega, e nell’ultimo mese ce ne sono stati diversi importanti proprio in Lombardia: questi però sono diventati di fatto dei congressi su Salvini, in cui la maggior parte delle volte i due candidati erano un “salviniano” e un “bossiano”. Nei fatti, nelle ultime settimane si sono svolte una serie di elezioni interne alla Lega che hanno mostrato di continuo questo dualismo, enfatizzandolo.

I candidati vicini al Comitato Nord hanno vinto due congressi molto importanti a Bergamo e a Brescia, mentre quelli vicini a Salvini hanno vinto a Como, Pavia e Varese (e Lodi, dove però non c’erano altri candidati). Il risultato più inatteso è stato quello di Bergamo, dove ha vinto il sindaco di Telgate Fabrizio Sala, che ha subito indetto nella provincia elezioni primarie per stabilire i candidati alle elezioni regionali, con l’obiettivo piuttosto manifesto di evitare imposizioni proprio dalla Lega nazionale.

Alle elezioni regionali, che si terranno il 12 e il 13 febbraio del 2023, la Lega prenderà con ogni probabilità molti meno voti dell’ultima volta, e quindi eleggerà molti meno consiglieri: il Comitato Nord punterà a eleggerne qualcuno, per continuare ad avere una rilevanza nel partito in regione.

In generale, per la Lega è fondamentale riconfermare Attilio Fontana, un suo esponente, pur con molti voti che arriveranno da Fratelli d’Italia: manterrebbe così, oltre a quella del Veneto con Luca Zaia, la presidenza di una regione in cui storicamente ha costruito gran parte delle sue fortune, la Lombardia, ma dove oggi quasi tutti i sindaci dei capoluoghi di provincia sono espressi dal centrosinistra. Per il momento Fontana è ampiamente favorito, anche perché è sostenuto da tutta la coalizione di destra, e per questo una sconfitta avrebbe enormi conseguenze sul partito a livello nazionale.

Dopo le ultime elezioni regionali la Lega ottenne 32 seggi in consiglio regionale su 49 della maggioranza e su 78 totali (oggi sono 28, perché oltre ai tre già citati è fuoriuscito anche il consigliere Gianmarco Senna, passato a Italia Viva).

In tutta questa situazione, Salvini sta cercando di minimizzare le critiche e di evitare qualsiasi discorso sulle fazioni, anche perché sa di avere bisogno dei voti della Lega “bossiana” per limitare le perdite alle regionali, che comunque ci saranno. Quando è stato costretto a dire qualcosa, ha sottolineato il fatto che i cinque ministri della Lega nel governo guidato da Giorgia Meloni siano tutti provenienti dalla Lombardia, nel tentativo di dimostrare l’importanza data alla regione e al nord in generale.

In altre occasioni ha sostenuto che, per la prima volta nella storia della Lega, con l’attuale governo si potrà realizzare l’autonomia. L’attuale ministro per gli Affari regionali e le Autonomie è infatti Roberto Calderoli, storico esponente della Lega: di recente Salvini ha detto che «in questi 43 giorni ha fatto di più rispetto ad altri in anni di chiacchiere e convegni», con una dichiarazione che è sembrata riferirsi polemicamente proprio ai leghisti più vicini a Umberto Bossi.

È più o meno la promessa che fece all’elettorato storico del nord dopo essere diventato segretario: cioè che solo un partito più forte e radicato in tutta Italia avrebbe potuto promuovere con efficacia gli interessi delle regioni settentrionali e dei loro imprenditori. In questi anni non c’è mai andato nemmeno vicino, ma se non altro nelle ultime settimane se n’è tornato a parlare, e questa potrebbe già essere considerata una piccola vittoria del Comitato Nord appena formato.

Nonostante la piccola scissione avvenuta in Lombardia abbia mostrato anche all’esterno del partito la mancanza di comunicazione tra le “due Leghe”, le ricostruzioni giornalistiche degli ultimi giorni hanno parlato di un Salvini piuttosto sollevato dal modo un po’ maldestro in cui questa scissione è avvenuta: il Comitato Nord ha infatti mostrato di non avere le idee molto chiare, non prendendo posizione né nettamente a favore né nettamente contro i tre consiglieri fuoriusciti.

Questi sostengono di aver concordato la loro operazione con il Comitato Nord, che invece ha negato ogni coinvolgimento, senza però spiegare perché sia stato usato il suo nome: secondo Federico Lena, uno dei tre consiglieri fuoriusciti, la Lega “salviniana” ha usato l’espulsione dal partito per disincentivare altri in consiglio regionale dal seguirli, e a quel punto il Comitato potrebbe aver fatto un passo indietro. Nel documento con cui i tre annunciavano di uscire dal gruppo “Lega Lombarda Salvini” per formare il “Comitato Nord” – circolato tra i giornalisti – c’è anche il nome di un quarto consigliere leghista che avrebbe inizialmente partecipato all’operazione, Massimiliano Bastoni, che all’ultimo momento è stato poi cancellato a penna.

Dopo settimane di critiche verso la linea del segretario, la piccola scissione in Lombardia ha insomma costretto il Comitato Nord a ricompattarsi con il resto della Lega e a ribadire di non volere alcuna scissione, e almeno per il momento ha rafforzato la posizione di Salvini. Anche se sembra aver raccolto un certo seguito nella vecchia guardia del partito, il Comitato Nord infatti non ha espresso alcuna leadership in grado di impensierire quella di Salvini a livello nazionale: è il motivo per cui viene usata ancora come sponsor dell’operazione quella di Bossi, che per lungo tempo era stato lontano dalle vicende del partito.