Non è facile essere musicisti in Groenlandia

È uno dei posti più isolati del mondo e senza concerti rischia di esserlo ancora di più, ma secondo un recente rapporto le cose possono cambiare

Una foto del gruppo musicale Nanook tratta dal loro profilo Instagram
Una foto del gruppo musicale Nanook tratta dal loro profilo Instagram
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La Groenlandia è convenzionalmente l’isola più grande del mondo. Si trova tra l’oceano Artico e quello Atlantico, appartiene alla Danimarca e ha un’estensione pari a sei volte quella della Germania. Le sue terre sono in larga parte coperte dal ghiaccio e sono abitate da circa 56mila persone (più o meno come gli abitanti di Benevento), per la maggior parte di origini Inuit. Come ha raccontato Bloomberg in un recente articolo, per tutte queste ragioni la Groenlandia è un posto piuttosto complicato per i musicisti: mancano i posti dove suonare, in generale non ci sono strade che colleghino le città principali e raggiungerle è spesso un’impresa. Secondo un recente rapporto però c’è la possibilità che la scena musicale migliori anche lì.

Il rapporto si chiama “Defining Resilience in Remote Music Ecosystems” (“Illustrare la resilienza in ecosistemi musicali remoti”) ed è stato messo a punto dal Center for Music Ecosystems, un’organizzazione non profit estone che si occupa di analizzare il modo in cui la musica può fare bene alle comunità. È stato finanziato dal Consiglio Nordico, un forum di cooperazione interparlamentare attivo tra Svezia, Danimarca, Norvegia, Islanda e Finlandia, e si basa sulle considerazioni di musicisti, politici e funzionari pubblici di tre città molto isolate: il suo obiettivo è capire come vanno adesso le cose, fare ipotesi su cosa potrebbe essere cambiato e con quali strategie e accortezze.

Una delle città prese in considerazione nel rapporto è proprio Nuuk, la capitale della Groenlandia, che con poco meno di 18mila abitanti è anche la città più popolosa del territorio. Le altre due sono Tórshavn, il capoluogo delle isole Fær Øer – un arcipelago nel nord dell’oceano Atlantico, che a sua volta fa parte della Danimarca – e Juneau, che è invece la capitale dell’Alaska, nel nord-ovest degli Stati Uniti. La prima ha circa 20mila abitanti mentre la seconda circa 30mila, la metà di quelli di Viareggio.

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Anche se in tutte queste città vivono artisti e musicisti di vari generi, uno dei problemi principali di suonare in posti così remoti e inospitali è che si fa fatica a spostarsi. Molti posti si possono raggiungere solo via nave o per via aerea e in molti casi ci si mette di mezzo anche il meteo, che rischia di bloccare i musicisti per giorni. Jonas Lundsgaard Nilsson, batterista della band rock alternativo groenlandese Small Time Giants, ha detto a Bloomberg che in Groenlandia «è piuttosto comune andare a un concerto in nave o in elicottero». L’anno scorso la band più popolare del posto, i Nanook, ha fatto un tour spostandosi di città in città proprio in barca, portandosi dietro tutta la loro attrezzatura, con qualche difficoltà.

I Nanook sono di Nuuk, sono attivi dal 2008 e suonano pop-rock cantando in groenlandese, una lingua che comprendono solo poche decine di migliaia di persone al mondo. Hanno 3.300 ascoltatori mensili su Spotify e 23mila follower su Facebook, quasi la metà della popolazione della Groenlandia. Gli Small Time Giants invece si sono formati nel 2011 a Qaqortoq, nel sud dell’isola, e cantano in inglese, motivo per cui hanno una certa popolarità anche in Danimarca, dove è una lingua molto conosciuta.

I loro sono problemi simili a quelli che si possono osservare in altre città continentali che però sono isolate dalle aree metropolitane più popolate. Tra quelli più grossi c’è anche il fatto che il pubblico locale sia comunque troppo ristretto da permettere loro di mantenersi solo con la musica: il bassista dei Nanook Andreas Otte, per esempio, insegna cultura groenlandese a scuola in Danimarca, mentre Jonas Nilsson, il batterista degli Small Time Giants, è anche il capo del Nuuk Nordic Culture festival, un evento internazionale di musica, cultura, arti e letteratura che si svolge ogni due anni.

Quella di organizzare un festival era stata proprio una delle prime idee che il Center for Music Ecosystems aveva suggerito alle comunità rurali o isolate per ravvivare la loro vita culturale, ha spiegato a Bloomberg Shain Shapiro, co-autore del rapporto. Secondo Shapiro comunque trovare modi per arricchire la vita culturale è importante, perché nei posti in cui le opportunità sono limitate permette di aggregare le comunità, ma può anche motivare le persone giovani a restare, anziché trasferirsi altrove (spesso, nel caso delle città groenlandesi o di Tórshavn, in Danimarca).

Basandosi sull’idea che investire nella scena musicale porti «benefici a tutta la comunità», il rapporto indica 29 raccomandazioni e iniziative a corto, medio e lungo termine per sostenere la musica nelle piccole comunità. Tra le altre cose, suggerisce che le città e i leader delle comunità istituiscano programmi educativi specializzati per formare nuovi musicisti e addetti del settore, e che siano previsti spazi destinati alla musica più variegati e diversi, come quelli in cui non si serve alcol, dove anche le persone più giovani possano sentirsi incoraggiate a sperimentare.

Adesso l’iniziativa del Centro proseguirà con l’attivazione di un progetto per mettere in pratica alcuni di questi suggerimenti: comprenderà laboratori di formazione ed estenderà le proprie attività di ricerca ad altre 15 comunità remote. L’idea è che sostenere la musica locale possa servire anche a cambiare l’immagine e la percezione di posti particolarmente remoti, un po’ come è successo all’Islanda grazie al successo internazionale di artisti come Björk e i Sigur Rós.

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