Che cosa sono i wormhole, ammesso che esistano

Un nuovo esperimento ha riportato di attualità una cosa complicata e affascinante per trovare scorciatoie nell'Universo

di Emanuele Menietti – @emenietti

Rappresentazione grafica di un wormhole imitato da un computer quantistico (inqnet/A. Mueller | Caltech)
Rappresentazione grafica di un wormhole imitato da un computer quantistico (inqnet/A. Mueller | Caltech)
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Qualche giorno fa un gruppo di ricerca negli Stati Uniti ha annunciato di essere riuscito a imitare il comportamento di un wormhole grazie a un computer quantistico, un importante progresso verso la verifica sperimentale di alcune teorie della fisica discusse da tempo. La notizia è stata ripresa con toni piuttosto enfatici, complice un certo entusiasmo da parte degli autori dell’esperimento, e con prospettive legate al teletrasporto alquanto fantascientifiche e per ora molto lontane dal realizzabile. Alla base di tutto, c’è la storia di un pezzo importante di funzionamento dell’Universo che non siamo ancora riusciti a comprendere completamente.

Immaginate che esistano due città ai lati opposti della base di una montagna, con i loro abitanti che devono aggirarla per spostarsi da una città all’altra. Un giorno, dopo infinite discussioni sulla fattibilità del progetto, gli abitanti si mettono d’accordo e scavano una galleria sotto la montagna, rendendo molto più veloci gli spostamenti da una parte all’altra. Un wormhole (letteralmente “buco di un verme”, ma più poeticamente un cunicolo spaziotemporale) è più o meno la stessa cosa: una scorciatoia per muoversi molto velocemente tra due punti lontanissimi nell’Universo, o tra universi. È un’idea che funziona abbastanza nella teoria, ma molto più complicata da realizzare nella pratica rispetto alla costruzione di una galleria sotto una montagna.

Spaziotempo e gravità
Per capire come si possa scavare un tunnel nello spaziotempo, occorre fare un po’ di ginnastica mentale e coinvolgere una vecchia conoscenza della fisica. All’inizio del Novecento, Albert Einstein aveva pubblicato la Teoria della relatività generale, che tra le altre cose diceva che un campo gravitazionale è il frutto di una deformazione dello spaziotempo causata dalla presenza di un oggetto con una massa.

Facendola molto semplice, possiamo immaginare un tappeto elastico sul quale mettiamo una palla da bowling: il telo cede e si deforma formando una sorta di imbuto intorno alla palla. In questa analogia, il tappeto elastico è lo spaziotempo, mentre la palla è un oggetto molto massiccio, in modo che gli effetti siano evidenti. Sempre Einstein teorizzò che la velocità della luce sia una costante limite: oltre non si può andare, è un limite di velocità insormontabile.

Rappresentazione semplificata della deformazione dello spaziotempo

Le teorie di Einstein e dei fisici che lavorarono sui suoi primi studi cambiarono il modo in cui concepiamo il palcoscenico su cui succedono tutte le cose. Il vecchio palco, quello di buona parte della fisica galileiana e poi newtoniana, aveva rigide assi di legno e non era turbato da chi lo calcava. Il palcoscenico di Einstein è invece elastico, come un tappeto elastico appunto, e si piega e deforma a seconda di cosa vi avviene sopra. Ne deriva che le possibilità per un teatro con un palco di questo tipo sono incredibilmente più numerose e varie, ma anche più complicate.

Scorciatoia
Sono talmente complicate da essere molto difficili da visualizzare, soprattutto quando parliamo di deformazioni di qualcosa di impalpabile e lontano dalle nostre esperienze quotidiane dirette come lo spaziotempo. Per farci un’idea, per quanto molto approssimativa, di quanto sia deformabile, possiamo immaginarcelo come un semplice foglio di carta. Prendiamo una matita e disegniamo due punti molto distanti tra loro e colleghiamoli da una linea retta, cioè il percorso più rapido per spostarsi da un punto all’altro. Ma è veramente il più rapido?

Abbiamo detto che lo spaziotempo può essere deformato, quindi possiamo prendere il foglio e piegarlo, in modo da sovrapporre i due punti. Poi buchiamo il foglio con la matita facendola passare da un punto all’altro e abbiamo ottenuto un percorso molto più veloce per spostarci da un punto all’altro, rispetto alla retta che avevamo tracciato prima. Un po’ come avevano fatto gli abitanti delle due città separate dalla montagna.

Il passaggio tra i due punti sul nostro foglio, che rappresenta lo spaziotempo, è un wormhole: una scorciatoia per raggiungere molto più velocemente due punti lontanissimi nell’Universo.

Wormhole
La Teoria della relatività generale contempla la possibilità che i wormhole esistano, ma a oggi non ne abbiamo mai trovato uno: sappiamo che matematicamente può esistere, ma non sempre la matematica descrive la realtà. Negli anni molti fisici teorici hanno provato a descrivere i wormhole, di conseguenza ci sono varie teorie che ne spiegano le caratteristiche.

Tra le prime descrizioni di un wormhole c’è la teorizzazione di una caratteristica dello spaziotempo che viene chiamata “ponte Einstein-Rosen” (dal cognome di Einstein e del fisico Nathan Rosen). La teoria dice che i buchi neri funzionano come una specie di portale verso un Universo parallelo, infinito come quello che già conosciamo. Ma torniamo per un momento sul tappeto elastico – la nostra prima analogia dello spaziotempo – e immaginiamo di comprimere sempre di più la nostra palla da bowling, mantenendo le stesse dimensioni ma rendendola densissima. Il tappeto elastico si deforma sempre di più fino a quando si squarcia. Lo spaziotempo fa qualcosa di simile: in presenza di un oggetto supermassiccio collassa e si forma un buco nero (qui lo abbiamo spiegato più estesamente).

La prima immagine del buco nero al centro della nostra galassia, Sagittarius A* (ESO)

Per quanto ne sappiamo, una volta che si finisce in un buco nero non c’è modo di poterne uscire, almeno dalla stessa parte dalla quale si è entrati. Un’ipotesi è che si rimanga per sempre intrappolati al suo interno, ma c’è anche l’ipotesi che in realtà ci sia qualcosa dall’altra parte, una sorta di versione riflessa dell’universo in cui ci troviamo nel quale il tempo scorre al contrario. Se qualcosa nel nostro universo cade in un buco nero potrebbe poi uscire dall’altra parte da un buco bianco. Secondo la relatività generale, nei buchi neri si può solo entrare e nei buchi bianchi si può solo uscire.

La scorciatoia tra queste due entità è il ponte Einstein-Rosen, che ha però un problema: non può essere attraversato. È infatti necessaria una quantità infinita di tempo per spostarsi verso l’altro universo e inoltre il ponte ha la brutta abitudine di restringersi al centro, chiudendo il passaggio. E torniamo quindi al punto di partenza: se finisci nel buco nero ci rimani per sempre. Forse già da qualche paragrafo state pensando al film Interstellar di Christopher Nolan e ai viaggi attraverso i buchi neri di altri film di fantascienza, che su questi aspetti si sono presi grandissime licenze per rendere comprensibilmente più avvincenti le loro storie.

Rappresentazione semplificata di un wormhole (Wikimedia)

Dopo Einstein e Rosen molti altri fisici si sono interrogati sulle implicazioni dei buchi neri e delle scorciatoie nello spaziotempo, elaborando altre teorie molto complesse per esplorare la possibilità di muoversi pressoché istantaneamente nel medesimo universo e non solo. Queste, sempre in teoria, dovrebbero consentire di superare i limiti che abbiamo appena visto e di avere wormhole attraversabili.

Distanze
Nei primissimi istanti di esistenza dell’Universo si sarebbero potuti creare numerosi wormhole, che aspettano di essere scoperti. Alcuni astrofisici ipotizzano che i buchi neri supermassicci che si trovano al centro delle galassie (compresa la nostra, la Via Lattea) siano in realtà dei wormhole.

Nel nostro caso il centro galattico è a 26mila anni luce da noi (246 milioni di miliardi di chilometri) e con le attuali tecnologie non può essere raggiunto in tempi umanamente ragionevoli: se mai riuscissimo a viaggiare a una velocità prossima a quella della luce impiegheremmo circa 26 millenni. Per questo alcuni gruppi di ricerca provano a simulare i wormhole con distanze più umane, in modo da trovare conferme o smentite alle teorie sviluppate in circa un secolo e alle loro dimostrazioni matematiche.

Wormhole fai-da-te
Nello scenario migliore, un wormhole realizzato sperimentalmente dovrebbe avere la caratteristica di poter essere attraversato, di mettere in comunicazione punti diversi e distanti dello spaziotempo, di non avere alcune caratteristiche dei buchi neri che come abbiamo visto possono ostruire il passaggio e di rimanere aperti il tempo necessario per attraversarli. Quest’ultimo punto è il più difficile di tutti, perché dai modelli teorici sappiamo che la gravita cerca di chiudere i wormhole, facendoli diventare punti ciechi (dove troviamo i buchi neri).

Per contrastare la gravità è stato ipotizzato di utilizzare la “materia esotica”, che come suggerisce il nome ha caratteristiche diverse dalla normale materia. La materia esotica ha una massa negativa, modifica quindi lo spaziotempo in modo da respingere le cose. Pensate al tappeto elastico di prima e immaginate che appoggiandoci la palla da bowling (questa volta fatta di materia esotica) si sollevi formando un rigonfiamento sotto la palla.

Avendo questa caratteristica, la materia esotica può essere utilizzata per tenere aperto un wormhole, almeno nella teoria. Negli ultimi decenni ne abbiamo studiato le strane particelle e antiparticelle che ne fanno parte, molto difficili da identificare, e si è scoperto il modo per manipolarle ottenendo particolari effetti. In futuro potrebbero quindi essere impiegate per rendere più stabile un wormhole, rendendo accessibile un sistema per coprire in pochissimo tempo enormi distanze, che non potremmo altrimenti mai superare nelle nostre vite o nel corso di poche generazioni.

Il wormhole di “Interstellar”

Un wormhole avrebbe però implicazioni non indifferenti perché introdurrebbe novità non trascurabili su come funziona l’Universo. Senza addentrarci troppo negli aspetti fantascientifici, si potrebbero creare paradossi spaziotemporali, alcuni dei quali talmente articolati da non essere prevedibili. Per questo motivo vari ricercatori ritengono che sia impossibile creare un wormhole e che questi varchi non esistano nemmeno nello Spazio là fuori.

Imitazione
Simulare o imitare un wormhole può comunque essere utile per capire qualcosa in più su queste strane entità. E questo ci riporta infine alla notizia degli ultimi giorni di una simulazione effettuata con un computer quantistico, descritta sulla rivista scientifica Nature. Maria Spiropulu, una fisica delle particelle del California Institute of Technology (Stati Uniti), e i suoi colleghi hanno realizzato una versione virtuale di un Universo e hanno poi provato ad aprire un wormhole, in modo da far passare istantaneamente un’informazione tra le sue estremità.

La loro simulazione non ha molto a che fare con il ponte Einstein-Rosen e le successive derivazioni, anche se è un primo tentativo sperimentale di mettere insieme quella teoria con alcuni sistemi della meccanica quantistica. Secondo alcuni fisici teorici, infatti, i wormhole sono l’equivalente dell’entanglement quantistico, il fenomeno per cui in un sistema con due particelle – che si trovano in questa condizione – ciò che accade a una particella determina ciò che accade all’altra, anche se queste due sono molto distanti per influire direttamente l’una sull’altra (lo avevamo spiegato più estesamente qui).

Cinque anni fa, un gruppo di ricerca aveva suggerito come il modo in cui i wormhole sono teorizzati e descritti dal punto di vista gravitazionale (cioè il modo in cui li abbiamo descritti prima) sia equivalente alla trasmissione dell’informazione quantistica.

Ora nel loro studio Spiropulu e colleghi dicono di essere riusciti a simulare il passaggio di un’informazione da una parte all’altra del loro wormhole virtuale. È bene chiarire che non è stata creata una frattura nello spaziotempo per ottenere questo risultato, ma che è stato utilizzato un computer che funziona diversamente da quello su cui state leggendo questo articolo (o dal vostro smartphone) e che sfrutta vari principi della meccanica quantistica per simulare il fenomeno.

Il gruppo di ricerca ha spiegato che questa sorta di teletrasporto dell’informazione quantistica è avvenuta sia nel modo in cui ci si attendeva dal punto di vista della fisica quantistica, sia dal punto di vista delle teorie gravitazionali su come un oggetto attraverserebbe un wormhole. La notizia è stata accolta con grandi cautele nella comunità scientifica e con qualche titolo più entusiasta del dovuto dai giornali.

Come ha spiegato Daniel Harlow, fisico al Massachusetts Institute of Technology, l’esperimento è stato effettuato sulla base di un modello molto semplice e irrealistico, che si sarebbe potuto fare anche con carta e penna: «Direi quindi che non ci insegna molto sulla gravità quantistica che già non sapessimo. D’altro canto, penso che sia entusiasmante come progresso tecnico, perché se non potessimo fare nemmeno questo (e finora non potevamo), allora simulare più interessanti teorie legate alla gravità quantistica sarebbe stato certamente fuori discussione».

L’esperimento è stato effettuato utilizzando il computer quantistico sviluppato da Google, che negli ultimi anni ha investito grandi risorse nel settore. Se mai davvero realizzabili su larga scala, i computer quantistici potrebbero offrire capacità di calcolo enormemente superiori a quelle dei sistemi attuali, avanzando le nostre possibilità in ambito informatico e aprendo molte prospettive per l’informatica, e forse un giorno qualche wormhole.