• Mondo
  • Venerdì 25 novembre 2022

L’Algeria ha condannato a morte 49 persone per un linciaggio risalente al 2021

Djamel Ben Ismail fu bruciato vivo in una piazza della regione del Kabyle: è una storia che ha anche diverse implicazioni politiche

(AP Photo/Toufik Doudou)
(AP Photo/Toufik Doudou)

Una corte algerina ha appena emesso la sentenza sull’omicidio dell’artista Djamel Ben Ismail, linciato e ucciso nel 2021 da un gruppo di persone nel paesino di Larbaa Nath Irathen, nella regione della Cabilia, nel nord-est del paese.

Djamel era stato ingiustamente accusato di aver appiccato gli incendi che stavano devastando la zona e avevano ucciso 90 persone; in realtà lui era arrivato a Larbaa Nath Irathen con l’intento di aiutare la popolazione locale con l’emergenza, ma poi le cose erano andate diversamente. Avevano iniziato a circolare voci che fosse un piromane, e una folla di persone lo aveva cercato e trovato, trascinato lungo una piazza e dato alle fiamme mentre altri astanti si scattavano selfie.

Un centinaio di persone erano state indagate per l’omicidio: ora, la corte ha condannato a morte 49 persone, mentre ad altre 38 sono state date pene tra i 2 e i 12 anni di carcere. È comunque improbabile che le condanne a morte vengano effettivamente applicate, dato che in Algeria vige una moratoria sull’esecuzione di questo tipo di condanne dal 1993.

Secondo il Guardian, il processo ha avuto anche sfumature politiche, dato che nel 2021 la regione era l’ultimo baluardo del movimento di protesta pro-democrazia “hirak”, che aveva contribuito a far cadere il presidente Abdelaziz Bouteflika nel 2019.

Cinque persone sono state condannate in contumacia sia per coinvolgimento nell’omicidio sia perché appartenenti o sostenitrici del movimento separatista per l’autodeterminazione della Cabilia (MAK): tra loro c’è anche il leader del movimento, Ferhat M’henni, residente in Francia. Secondo le autorità algerine, il movimento separatista sarebbe stato il mandante degli incendi: gli avvocati della difesa hanno definito il processo una pagliacciata politica volta a stigmatizzare il popolo cabile.

Il MAK esiste dal 2001, e ha come obiettivo l’indipendenza della Cabilia, dove la maggior parte della popolazione appartiene a un gruppo etnico berbero – i cabili, appunto – che sono storicamente stati vittima di repressione culturale da parte del governo centrale. Negli ultimi vent’anni il movimento è stato represso a più riprese dal governo algerino, che ha anche accusato i separatisti di essere finanziati dal Marocco. Il fondatore del movimento M’henni è stato indagato per vari reati, con un’insistenza che secondo i critici si può interpretare come persecuzione politica: l’ultima indagine, nel 2021, verteva riciclaggio organizzato di denaro in relazione alle scommesse sportive.