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  • Mercoledì 23 novembre 2022

Per i detenuti lo sciopero della fame è l’unica protesta non violenta possibile

Alfredo Cospito, anarchico insurrezionalista in regime di 41-bis, lo sta facendo ormai da quasi un mese

Alfredo Cospito
(ANSA/LUCA ZENNARO)
Alfredo Cospito (ANSA/LUCA ZENNARO)

Il 20 ottobre Alfredo Cospito, anarchico insurrezionalista detenuto in regime di 41-bis, ha iniziato lo sciopero della fame nel carcere di Bancali, a Sassari. Da quel giorno, come spiega il suo avvocato Flavio Rossi Albertini, ha perso 22 chili: «È molto provato e stanco, non riesce più ad andare all’ora d’aria, anche se è assurdo chiamarla così per i detenuti al 41-bis, viste le restrizioni a cui sono sottoposti. Ma è anche determinato ad andare avanti, me lo ha confermato in una lettera che ho ricevuto oggi».

Cospito aveva già scontato sei anni in regime di “alta sicurezza”. L’inasprimento delle misure con il passaggio al 41-bis è dovuto al fatto che la Corte di Cassazione, nel luglio scorso, aveva chiesto di rideterminare la pena a cui era stato condannato, e cioè 20 anni di carcere per strage. Cospito era stato riconosciuto colpevole, in primo e secondo grado, di aver posizionato nella notte tra 2 e 3 giugno 2006 due pacchi bomba davanti alla scuola allievi ufficiali di Fossano, in provincia di Cuneo, la cui esplosione non causò né morti né feriti. Il reato attribuito a Cospito fu quello citato nell’articolo 422 del codice penale che fa riferimento alla strage, ovvero a chi “compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità” con lo scopo “di uccidere” (non esiste il reato di tentata strage, cambia solo la pena nel caso in cui ci siano morti).

La Corte di Cassazione ha invece modificato l’imputazione in “strage contro la personalità interna dello stato”, prevista dall’articolo 285 del codice penale e che prevede la condanna all’ergastolo. Da questo cambio di imputazione deriva la decisione di mettere Cospito al regime previsto dall’articolo 41-bis, introdotto nell’ordinamento penitenziario dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992, principalmente per impedire ai boss mafiosi di comunicare con i membri della loro cosca all’esterno del carcere. 

Il 41-bis prevede l’isolamento nei confronti degli altri detenuti, limiti all’ora d’aria, limitazioni dei colloqui con i familiari, controlli della posta in entrata e in uscita. Con il 41-bis l’amministrazione penitenziaria può anche vietare la ricezione da parte dei detenuti di libri e riviste. 

In seguito al cambio di imputazione, Cospito può essere condannato all’ergastolo ostativo, la pena senza fine prevista nell’ordinamento penitenziario italiano che “osta” appunto a qualsiasi sua modificazione e che non può essere né abbreviata né convertita in pene alternative, a meno che la persona detenuta decida di collaborare con la giustizia. Dice Flavio Rossi Albertini: «Cospito ritiene insopportabile questa situazione: la prospettiva è quella di restare in un carcere, con l’ergastolo ostativo, fino alla morte. Ha intrapreso questo sciopero della fame perché è il solo strumento di protesta che ha a disposizione e perché ritiene che non valga la pena vivere in queste condizioni». Il 1° dicembre al tribunale di Roma verrà discusso il reclamo contro il regime di 41-bis presentato da Cospito mentre il 5 dicembre, a Torino, la Corte d’appello si riunirà per decidere della richiesta della Corte di Cassazione di rideterminare la pena.

Le ultime persone ad aver visto Cospito sono state il presidente del Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma e la componente del collegio del Garante Daniela de Robert. L’Ufficio del Garante ha poi diffuso una nota in cui è scritto: «Non spetta al Garante nazionale alcuna valutazione di una scelta individuale, peraltro oggetto di una vera e libera discussione con la persona interessata, spetta però invece rendere atto dei verificati controlli quotidiani, dell’attenzione rivolta da tutti i soggetti istituzionali all’evolversi delle sue condizioni, dell’effettività della somministrazione a partire da questa giornata degli “integratori” da lui richiesti lo scorso 12 ottobre».

Secondo l’avvocato penalista Davide Steccanella, legale dell’ex terrorista Cesare Battisti, che nel 2021 intraprese uno sciopero della fame contro il regime di isolamento a cui era sottoposto, questa forma di protesta è «l’unica non violenta che i detenuti hanno a disposizione». Lo definisce «estremo», ma derivante da una «scelta libera»: e secondo Steccanella un detenuto dovrebbe potere protestare in questo modo «senza che gli venga imposta l’alimentazione forzata» per evitare che le sue condizioni di salute possano aggravarsi troppo, o perfino che possa morire. «Dall’altra parte, l’amministrazione penitenziaria sostiene invece che il detenuto è affidato alla sua tutela, che ne ha quindi la responsabilità e per questo è tenuta a intervenire per salvaguardarne lo stato fisico». 

La questione ruota attorno a una domanda piuttosto precisa: lo stato di persona “in vinculis”, e cioè detenuta, impone allo Stato di riconoscergli un livello di integrità fisica superiore a quella di tutti gli altri individui? In sostanza, se un uomo libero può fare uno sciopero della fame fino a morirne, perché un detenuto non può? 

Secondo alcune interpretazioni, il digiuno prolungato farebbe cadere la persona detenuta in uno stato di incoscienza simile allo stato di infermità mentale, quindi non sarebbe in grado di decidere liberamente se sottoporsi alle cure, se cioè essere alimentato o meno. Dall’altra parte invece molti sostengono che quello di autodeterminazione terapeutica è un diritto fondamentale dell’individuo in quanto tale. Di fronte alla libera decisione di rifiutare il cibo, il personale sanitario dovrebbe quindi astenersi da qualsiasi trattamento coercitivo. E non sarebbe quindi responsabile delle conseguenze sulla salute della persona detenuta.

«Il detenuto che protesta con lo sciopero della fame rivendica un diritto che secondo lui gli viene negato. Per questo lo Stato, la Giustizia, dovrebbero parlare con quel detenuto, arrivare a una mediazione. Per esempio, perché a un detenuto vengono negati i libri che arrivano dall’esterno? In base a quale principio di sicurezza?», dice ancora Steccanella.

Concretamente lo sciopero della fame consiste in un rifiuto totale dell’assunzione di cibo, che duri più di tre giorni. Solo in alcuni e rari casi avviene contemporaneamente anche il rifiuto dell’acqua, astinenza che rende le prospettive di sopravvivenza assai più brevi. Lo sciopero della fame viene però attuato dai detenuti come forma di protesta, di rivendicazione dei diritti: l’obiettivo non è certo la morte, quindi l’interesse è quello di prolungare lo sciopero più possibile, per avere risultati concreti.

Quello che accade al fisico durante lo sciopero della fame varia a seconda dell’età e dello stato di salute. Nei primi tre, quattro giorni ci sono crampi allo stomaco e una forte sensazione di fame, dopodiché lo stomaco si chiude. Subentrano torpore fisico e indifferenza verso il cibo, la pressione arteriosa cala e così anche la temperatura corporea, a causa del mancato apporto energetico. Il corpo perde, oltre al grasso, anche massa muscolare. Dal ventesimo giorno in poi si iniziano a intaccare le proteine muscolari, dal trentesimo la denutrizione colpisce tutti il corpo e la stanchezza può diventare così forte da impedire di parlare. Dal quarantesimo giorno in poi si può arrivare a perdere conoscenza per mancanza di energia. La maggior parte delle morti per sciopero della fame avvengono attorno al sessantesimo giorno di digiuno.

Durante tutto il periodo di digiuno, il detenuto deve essere controllato e visitato dai medici penitenziari che, come detto, possono richiedere il trasferimento in ospedale. Come nel caso di Cospito, il detenuto a volte richiede integratori che lo aiutino a prolungare lo sciopero il più possibile e che comunque devono essere autorizzati dalla direzione del carcere.

In Italia lo sciopero della fame è usato spesso dai detenuti come forma di protesta e di rivendicazione. Ci sono stati casi di proteste portate fino alle estreme conseguenze e in cui l’alimentazione forzata, decisa dal giudice di sorveglianza, è arrivata quando ormai il fisico del detenuto era troppo debilitato. 

Il 16 luglio 2009 Sami Mbarka Ben Gargi, detenuto nel carcere di Pavia per reati di droga e violenza sessuale, cominciò lo sciopero della fame. Il 31 agosto venne trasferito in ospedale per un trattamento sanitario obbligatorio che fu però considerato non necessario, perché Ben Gargi venne ritenuto lucido. Il 2 settembre venne riportato in ospedale, e le sue funzioni vitali furono sostenute attraverso la flebo. Il giorno dopo però Sami Mbarka Ben Gargi, che aveva perso 21 chili, morì.

Nel 2012 un detenuto di origine bulgara, Cristian Pop, accusato di reati contro il patrimonio e la persona e condannato a 18 anni di carcere, iniziò uno sciopero della fame dichiarandosi innocente. Fu ricoverato quando era già in condizioni critiche e morì qualche giorno dopo.  

Nel 2018 morì a Cosenza Gabriele Milito, 75 anni, dopo un lungo sciopero della fame. Nel 2020 è morto, dopo 60 giorni di sciopero della fame, Carmelo Caminiti, detenuto a Messina. Era in attesa di giudizio e aveva ottenuto gli arresti domiciliari per varie patologie, tra cui il diabete. Quando i domiciliari gli erano stati revocati in seguito a una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere, aveva iniziato la sua protesta.

Anche all’estero lo sciopero della fame è stato adottato come forma di protesta da molti detenuti, soprattutto politici. A settembre, centinaia di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane hanno attuato uno sciopero della fame contro la cosiddetta detenzione amministrativa, che consente di imprigionare persone senza comunicare, per sei mesi, i capi d’accusa. Nell’agosto del 2020, in Turchia, l’avvocata Ebru Timtik, appartenente a un partito marxista considerato terrorista dal regime di Erdoğan, morì dopo lunghe settimane di sciopero della fame. In Egitto sta conducendo uno sciopero della fame Alaa Abd El Fattah, giornalista, incarcerato per le sue iniziative contro il regime. 

– Leggi anche: L’attivista simbolo delle migliaia di prigionieri politici in Egitto

Ci sono stati anche casi di detenuti morti in seguito all’alimentazione forzata. Holger Meins, fotografo e cineoperatore, militante del gruppo terrorista di sinistra della Rote Armee Fraktion, morì il 9 novembre del 1974 dopo molte settimane di sciopero della fame e quando era arrivato a pesare 45 chili. La morte fu provocata, in un fisico fortemente debilitato, dalle lesioni interne causate dalla cannula per l’alimentazione forzata. 

Gli scioperi della fame più celebri, e più drammatici, furono quelli dei prigionieri irlandesi appartenenti all’Ira, l’Irish Republican Army. Il 7 giugno 1974 Dolours Price, detenuta in Inghilterra, iniziò uno sciopero della fame chiedendo il trasferimento in un carcere sul suolo irlandese. Raggiunse l’obiettivo il 18 marzo 1975, dopo 206 giorni di sciopero durante i quali, per 167 giorni, fu alimentata forzatamente.

Il 1° marzo 1981 iniziò, nel carcere nordirlandese di Maze, a Long Kesh, il più celebre sciopero della fame mai intrapreso da detenuti. Rivendicavano il diritto di non indossare le divise carcerarie, di non svolgere il lavoro carcerario, di potere ricevere pacchi e posta dall’esterno e di poter usufruire di attività ricreative. Il primo a iniziare lo sciopero fu Bobby Sands, comandante dell’Ira. L’allora prima ministra britannica Margaret Thatcher si oppose a qualsiasi concessione. Sands morì il 5 maggio 1981 dopo 66 giorni di digiuno. Il 9 aprile era stato eletto al parlamento britannico.

Dopo Sands morirono Francis Hughes, Raymond McCreesh, Patsy O’Hara, Joe McDonnell, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kieran Doherty, Thomas McElwee e Mickey Devine. Lo sciopero fu dichiarato finito il 3 ottobre 1981. Poco dopo il governo britannico annunciò una revisione del sistema carcerario e accolse molte delle richieste dei detenuti di Long Kesh.