La fine del secondo intercalare

Dopo anni di discussioni, un voto ha stabilito che per un secolo potremo fare a meno di aggiungerlo per riallineare il tempo della Terra con quello degli orologi atomici

(Thierry Chesnot/Getty Images)
(Thierry Chesnot/Getty Images)

In una riunione organizzata nella propria sede vicino a Parigi alla fine della scorsa settimana, la Conferenza generale dei pesi e delle misure (CGPM) ha stabilito che dal 2035 il tempo universale astronomico (UT1) basato sui movimenti della Terra potrà differire di oltre un secondo dal tempo coordinato universale (UTC), basato invece sulla più regolare scansione del tempo offerta dagli orologi atomici.

Per evitare che ci fosse questo disallineamento, da cinquant’anni veniva aggiunto quando necessario un cosiddetto “secondo intercalare” per fare in modo che i due tempi tornassero a coincidere. La pratica negli ultimi anni era diventata però sempre più discussa, a causa delle numerose conseguenze pratiche e dei rischi legati all’aggiunta di un secondo tra sistemi sempre più connessi, e che dipendono gli uni dagli altri proprio in base all’ora che segnano. Dal 1972, erano via via emersi problemi pratici legati all’impossibilità di prevedere con precisione quando fosse necessario ricorrere al secondo intercalare.

Il moto di rotazione della Terra non è regolare – a causa dell’influenza della Luna e di altri fattori – e ciò comporta che con il passare del tempo il nostro pianeta accumuli un certo ritardo, rispetto agli orologi atomici con i quali calcoliamo con maggiore precisione il trascorrere del tempo. Quando questi ritardi accumulati arrivavano a 0,9 secondi, la CGPM e altre organizzazioni internazionali che si occupano della gestione degli standard stabilivano un giorno in cui aggiungere un secondo, in modo da colmare la differenza tra i due modi di calcolare il trascorrere del tempo.

Le cose si erano ulteriormente complicate negli ultimi anni, quando era diventato evidente che in alcune fasi la Terra in realtà accelera lievemente nel proprio moto di rotazione. Per la prima volta si era quindi posta l’eventualità di dover sottrarre un secondo intercalare, una pratica che avrebbe potuto portare a ulteriori confusioni, soprattutto nella gestione delle reti informatiche e di tutti i dispositivi che le utilizzano.

Il tempo è infatti un riferimento essenziale per moltissime applicazioni e può essere sufficiente lo scarto di qualche frazione di secondo per portare a malfunzionamenti o errori imprevisti. Per questo tra i sostenitori della rinuncia al secondo intercalare in questi anni c’erano grandi società tecnologiche, come Meta (la holding che controlla Facebook) e Alphabet (che invece controlla Google). Rinunciando al secondo intercalare si dovrebbero ridurre i disallineamenti di alcune frazioni di secondo tra diverse organizzazioni, che procedevano agli aggiustamenti in momenti diversi.

Il confronto all’interno della CGPM era durato a lungo, con contrasti e mancanza di posizioni comuni per risolvere il problema del secondo intercalare. Tra i paesi contrari, e che hanno mantenuto la propria posizione anche al momento del voto finale, c’era la Russia che chiedeva di rinviare la sospensione almeno al 2040, per avere tempo di risolvere alcuni problemi di compatibilità con GLONASS, il proprio sistema di navigazione satellitare.

Più in generale, l’idea dietro la nuova decisione è di non creare più ricorrenti interruzioni nel flusso della scansione dello UTC. Questo potrà proseguire senza pause e senza discussioni su quando e come aggiungere un secondo.

La decisione del 18 novembre scorso è arrivata con qualche stupore dagli stessi addetti ai lavori, che fino a pochi giorni prima ritenevano improbabile un accordo. La CGPM ha deciso che non sia aggiunto più un secondo intercalare almeno per un secolo, consentendo quindi a UT1 e UTC di arrivare a una differenza di circa un minuto. La scelta dovrà però essere discussa con altre organizzazioni internazionali che si occupano degli standard entro il 2026, valutando inoltre se mantenere come riferimento un minuto di differenza o se abbassare la soglia.

L’Unione internazionale delle telecomunicazioni (UTI), che ha il compito di trasmettere il tempo universale, dovrà inoltre confermare la decisione. Nel 2015 l’UTI ha formalmente ceduto le prerogative sulle decisioni legate al secondo intercalare alla CGPM, ma potrebbe comunque sollevare qualche obiezione sui tempi di adozione del nuovo sistema previsti per il 2035. Il confronto è già stato avviato e secondo Felicitas Arias, ex responsabile dell’Ufficio internazionale dei pesi e delle misure, altra importante organizzazione per gli standard, non ci saranno obiezioni all’abbandono del secondo intercalare.