Il grosso dibattito in Spagna sulla nuova legge sullo stupro
È stata voluta dal governo di sinistra e considerata molto avanzata, ma sta consentendo diversi sconti di pena assai controversi
In Spagna una delle leggi considerate più importanti per il governo di centrosinistra guidato dal primo ministro Pedro Sánchez si è trasformata in un grosso problema politico e soprattutto sociale di cui si parla da giorni. È la Legge per la Garanzia Integrale della Libertà Sessuale, conosciuta anche come la legge del “solo sì è sì”: è in vigore dallo scorso 7 ottobre e ha già portato a delle conseguenze secondarie impreviste e sottovalutate da chi l’ha promossa. Decine e decine di condannati per reati contro la libertà sessuale hanno infatti potuto presentare un’istanza di revisione della pena, ottenendo in alcuni casi una sua riduzione che, per determinate circostanze, la nuova legge prevede.
Il governo ha dapprima sostenuto la “bontà” della propria legge, ma c’è qualcuno al suo interno che ha manifestato ora l’intenzione di rivederla.
La legge del “solo sì è sì” era stata proposta dopo le discussioni provocate dal caso dello stupro di gruppo noto come “La Manada”, dal nome del gruppo WhatsApp creato da cinque uomini accusati di avere stuprato una donna di 18 anni a Pamplona nel 2016, uno dei casi giudiziari più discussi degli ultimi anni in Spagna. Inizialmente il tribunale ritenne che non ci fossero state violenza o intimidazione perché le riprese video mostravano la ragazza immobile e con gli occhi chiusi durante lo stupro. La sentenza che stabiliva per gli accusati una pena di nove anni fu accolta con grosse proteste in tutta la Spagna, perché fu considerata troppo lieve; poi il Tribunale supremo aumentò la pena e diede agli imputati 15 anni.
La legge nata da quella prima sentenza si basa su uno dei modelli della giurisprudenza più avanzati, quello consensuale puro che dà rilevanza massima al consenso e che è alla base di altre riforme simili in Europa e nel mondo: significa che c’è un reato quando in qualsiasi tipo di relazione sessuale manca il consenso valido della persona offesa. La nuova legge spagnola aveva dunque qualificato come stupro qualsiasi atto sessuale compiuto senza il consenso, eliminando la distinzione tra abuso sessuale e aggressione sessuale (stupro): fino a quel momento, in Spagna, erano considerati stupri solo i rapporti in cui fossero dimostrabili minacce, violenze o costrizioni.
La legge del “solo sì è sì” fa convergere tutti i delitti contro la libertà sessuale in un unico reato. Optando per un’unica penalizzazione per condotte anche tra loro molto diverse, ha poi stabilito una scala progressiva di sanzioni molto ampia. Tuttavia, questa riformulazione ha portato a modificare le sanzioni massime e minime e, in alcuni casi, ad abbassare le pene minime previste per alcuni tipi di reato.
«Come sempre accade quando si abbassano le pene per un reato, una volta approvata la norma, si apre nei tribunali un processo di revisione della pena, poiché i condannati hanno diritto all’adeguamento della pena alla nuova legge se risulta essere più favorevole», ha spiegato El País. Uno dei principi del diritto penale spagnolo, come di quello italiano e di molti altri è il favor rei, e cioè l’applicazione della norma più favorevole al condannato. Tale applicazione vale anche retroattivamente. Il grosso errore del governo, si dice oggi, è stato quello di non aver previsto per la nuova legge una norma transitoria: una norma che impedisse o limitasse, nel passaggio da un codice penale all’altro, la possibilità di abbassamento delle pene in base alla retroattività.
Mancando questa norma, di fatto è accaduto che dopo l’entrata in vigore della nuova legge almeno una quindicina di condannati in base alla vecchia normativa hanno ottenuto la riduzione della pena. Qualcuno di loro è stato anche rilasciato.
I casi che sono finiti al centro della discussione sono molto complessi e sui quotidiani spagnoli si trovano spiegazioni molto dettagliate. C’è il caso di un uomo che ha abusato sessualmente della figlia tredicenne della compagna e che si è visto ora ridurre la pena di due anni da un tribunale di Madrid. I giudici, nel 2021, lo condannarono a otto anni di carcere, il minimo della pena, e dopo una revisione hanno ora stabilito che debba essere applicato al suo caso la nuova pena minima stabilita dalla legge, pari a sei anni. Lo stesso giorno in cui la nuova legge è entrata in vigore è stato scarcerato un insegnante condannato a sei anni e nove mesi per abusi sessuali sui suoi studenti. E, in base alla nuova legge, sarà presentata una richiesta di riduzione della pena anche per uno degli stupratori della Manada, il caso da cui proprio quella legge era nata.
La riduzione delle pene conseguente alla nuova legge non vale in generale e in modo automatico per tutti i condannati per reati contro la libertà sessuale, ma solo per alcuni di loro. Per ora, i tribunali stanno dunque prendendo in considerazione i singoli casi che via via si stanno presentando e che comunque sono già parecchi in tutto il paese: solo 40 a Madrid, per esempio.
La ministra spagnola dell’Uguaglianza, Irene Montero, che era stata la principale promotrice della nuova legge sul consenso, ha detto che il vero problema non è la legge così com’è stata pensata e scritta, ma un sistema giudiziario tradizionalmente «sessista» e «machista». Il problema starebbe dunque nell’applicazione e nell’interpretazione della legge da parte dei giudici, privi di una specifica formazione sulle questioni di genere.
A sua volta, la delegata del governo contro la violenza di genere, Victoria Rosell, ha detto che «nemmeno la migliore legge può evitare l’interpretazione volontaria di un tribunale». E richiamandosi alla CEDAW, la convenzione internazionale adottata nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, ha ricordato come gli stereotipi di genere possano «indurre i giudici a interpretare male le leggi o ad applicarle in modo difettoso», compromettendo l’equità e l’integrità del sistema giudiziario e mantenendo viva una cultura dell’impunità.
Giudicando inefficaci queste reazioni, il País ha fatto notare che «la debole prospettiva di genere di molti magistrati non è certo una novità»: proprio per questo, oltre «al lento e imprescindibile compito di formare gli operatori della giustizia, qualsiasi legge, ma soprattutto una legge così innovativa come questa, avrebbe dovuto prevedere ogni scappatoia, ogni crepa, qualsiasi interpretazione che avrebbe finito per causare degli effetti indesiderati».
Da parte sua, il Consiglio generale della magistratura, che in fase di discussione della legge aveva avvertito il governo di quello che poi è effettivamente accaduto, ha replicato molto duramente alla ministra Montero definendo le sue parole degli «intollerabili attacchi» e chiedendone, insieme ai partiti di opposizione, le dimissioni.
Nel frattempo, la soluzione non è chiara. Il primo ministro Sánchez, intervenendo sulla questione al termine del G20 di Bali, si è detto fiducioso che la giurisprudenza indicherà la corretta interpretazione della legge: «La volontà del potere esecutivo e di quello legislativo è stata chiaramente quella di proteggere e offrire più garanzia alle donne. Ora è compito dei tribunali e delle procure unificare la dottrina e fare giurisprudenza».
Sánchez pensa dunque che sia necessario attendere che giudici e pubblici ministeri stabiliscano la giurisprudenza e unifichino la dottrina per colmare il vuoto normativo e evitare che ciascun tribunale segua i propri criteri interpretativi.
Isabel Rodríguez, portavoce del governo, ha detto che i casi di riduzione della pena si sono sì già verificati e che quindi «è comprensibile la preoccupazione dell’opinione pubblica»: «Ma consentitemi di invitare alla prudenza: è necessario studiare le sentenze e confidare nell’azione della giustizia e della procura nell’unificare la dottrina».
Il procuratore generale della Spagna, Álvaro García Ortiz, ha promesso a sua volta che saranno evitati gli automatismi nelle revisioni delle sentenze, che nel riesame sarà data «priorità alla tutela delle vittime» e ha chiesto anche alle procure locali di trasmettere le ordinanze e le memorie relative ai ricalcoli basati sulla legge del “solo sì è sì” emesse nei loro territori per poterle monitorare.
Parte del governo e diversi esponenti di maggioranza non hanno però escluso la possibilità di rivedere la legge. Secondo alcuni, riformarla non servirebbe però a nulla perché la retroattività non si applica se la disposizione più recente sarà sfavorevole al condannato. «Quello che dobbiamo fare ora» suggerisce il País «è assumere l’errore e trovare un modo per porvi rimedio, per impedire che venga meno la fiducia dei cittadini nella capacità della giustizia di proteggere le vittime di violenza. Il consenso sociale sulla necessità di regolamentare la libertà e il consenso sessuale è un capitale troppo prezioso per metterlo a rischio».