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  • Lunedì 14 novembre 2022

Il più grande disastro ambientale nella storia della Spagna, vent’anni fa

Si verificò al largo della Galizia dopo l'affondamento della petroliera Prestige, che trasportava 77mila tonnellate di combustibile

(AP Photo/ Carmelo Alen, File)
(AP Photo/ Carmelo Alen, File)
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A metà novembre del 2002, vent’anni fa, si verificò il peggior disastro ambientale nella storia della Spagna: fu causato dall’affondamento della petroliera Prestige al largo delle coste della Galizia, nel nord-ovest del paese, e provocò la formazione di una grande “marea nera” nell’oceano Atlantico. Gran parte delle 77mila tonnellate di combustibile che trasportava la petroliera si riversò in mare e poi si depositò lungo oltre 3mila chilometri di coste spagnole, francesi e portoghesi, danneggiando gli ecosistemi marini, uccidendo decine di migliaia di animali e compromettendo gravemente l’industria della pesca.

Subito dopo l’incidente, decine di migliaia di volontari provenienti da tutta Europa parteciparono alle operazioni per ripulire le spiagge e le scogliere della Galizia. Fu invece assai criticata la gestione dell’emergenza da parte del governo del primo ministro José María Aznar, conservatore, che minimizzò a lungo il disastro e le sue conseguenze.

La petroliera Prestige era stata costruita in Giappone nel 1976, batteva bandiera delle Bahamas ed era di proprietà di una società liberiana, la Mare Shipping; aveva come armatore una società greca, la Universe Maritime, e un’assicurazione britannica. Nel pomeriggio del 13 novembre del 2002 fu gravemente danneggiata durante una tempesta mentre navigava verso lo stretto di Gibilterra, quando si trovava a una cinquantina di chilometri dalla cosiddetta “costa della morte”, a nord-ovest di Santiago di Compostela. Un forte colpo aprì una falla nello scafo: il comandante, Apostolos Mangouras, lanciò la prima richiesta di soccorso e l’equipaggio abbandonò la petroliera.

La chiamata provocò una discussione tra l’armatore e le squadre di soccorso spagnole su quale fosse la cosa migliore da fare: le due opzioni più praticabili erano quella di trascinare la nave al porto più vicino per riparare la falla e provare a svuotarne il serbatoio, oppure tenerla il più lontano possibile dalla costa.

In una telefonata che emerse più avanti l’allora direttore delle operazioni di soccorso, Jesús Uribe, disse al capo del Centro nazionale del coordinamento per le operazioni Pedro Sánchez (un omonimo dell’attuale primo ministro spagnolo): «O mandi a farsi fottere La Coruña [città della Galizia, ndr], o tutta la costa»: un riferimento alle possibili conseguenze di una o dell’altra decisione. Alla fine le autorità spagnole scelsero la seconda opzione, sperando forse che il combustibile non arrivasse sulla terraferma, e ordinarono al comandante di allontanare dalla costa la nave, che prima dell’inizio delle operazioni fu spinta a circa 9 chilometri dalla cittadina di Muxía.

Il 14 novembre alcuni rimorchiatori cominciarono a trainare la Prestige verso il largo. La mattina del 19 novembre, sei giorni dopo il primo allarme, la nave tuttavia si spezzò in due a circa 240 chilometri dal capo dove si trova Finisterre, nella parte occidentale della Galizia: il relitto si depositò a 4mila metri di profondità e nel frattempo riversò in mare circa 63mila tonnellate di combustibile, che in poco tempo raggiunsero le scogliere e le spiagge della Galizia, ma anche molte altre aree nel nord del Portogallo, nel nord della Spagna e nella Francia occidentale.

Il combustibile si depositò lungo le coste galiziane sotto forma di una distesa di liquido scuro e appiccicoso conosciuto come “chapapote”, che oltre a sommergere scogli, sassi e spiagge a detta di alcuni testimoni galiziani portò anche un odore insopportabile. È stato stimato che al di là dei danni sugli ecosistemi marini e costieri uccise tra i 115mila e i 230mila uccelli marini, assieme a numerosi cetacei, crostacei e tartarughe.

L’affondamento della petroliera Prestige, il 19 novembre del 2002 (Douanes Francaises/ Getty Images)

I primi a intervenire per ripulire la costa non furono gli operatori inviati dalle autorità spagnole, ma le persone del posto, che lavorarono per settimane con tute bianche, stivali e mascherine, e furono poi affiancati da circa 65mila volontari provenienti sia da tutta la Spagna che da altre parti d’Europa.

Queiruga Santamaría, un pescatore della zona, ha detto a BBC Mundo che secondo lui in Spagna non si ricordava «niente di simile». La gente ebbe «una reazione mai vista», ha detto Manoel Santos, coordinatore di Greenpeace in Galizia: secondo Santos, «fu probabilmente il più importante gesto di amore collettivo per la difesa della natura». A causa del disastro peraltro circa 30mila pescatori non poterono lavorare per molti mesi, perdendo tra le altre cose i guadagni del periodo natalizio, quello più redditizio dell’anno, che fu compensato solo in parte dagli indennizzi riconosciuti dal governo.

Un granchio sommerso sull’isola di Ons, a ovest di Pontevedra, al largo della Galizia (AP Photo/ Carmelo Alen)

Il governo di centrodestra del primo ministro Aznar fu molto criticato sia per la gestione dell’emergenza, sia per il fatto di averne a lungo minimizzato le conseguenze.

Come ha osservato Santos, uno dei principali errori della catastrofe fu appunto quello di aver allontanato la nave dalle coste: se fosse stata più vicina, il combustibile fuoriuscito avrebbe contaminato solo un’area di poche centinaia di chilometri: invece si depositò lungo quasi 2mila chilometri di coste e su oltre 1.600 spiagge. Inoltre, il governo cercò in varie occasioni di negare l’evidenza, sostenendo che le chiazze di combustibile fossero «molto localizzate» e che non esistesse alcuna “marea nera”.

Nessuno tra le autorità spagnole coinvolte nelle decisioni che portarono al disastro e i membri del governo di Aznar parlò mai di “marea nera”, e anzi fu proibito usare questa espressione, ha osservato lo scrittore galiziano Manuel Rivas: il problema è che «la gente la stava vedendo, la marea nera».

La “marea nera” fotografata nel nord della Galizia il 22 novembre del 2002 (Marco Di Lauro/ Getty Images)

La vicenda fece nascere un movimento di protesta chiamato Nunca Máis (“mai più”, in galiziano), composto da migliaia di persone e oltre 350 associazioni di varia natura.

Il primo dicembre del 2002 a Santiago di Compostela, il capoluogo della regione, fu organizzata una grande manifestazione dove circa 200mila persone protestarono contro il governo, accusandolo di aver gestito in maniera inadeguata l’emergenza. Ne seguirono delle altre. Il gruppo è attivo ancora oggi.

Un manifestante durante una protesta contro il disastro ambientale a Santiago di Compostela, il primo dicembre del 2002 (X.REY/ ANSA/ DEB)

Il processo per il disastro cominciò nel 2003 e si concluse dieci anni dopo. Circa 1.500 persone si costituirono come parte civile e tra gli imputati c’erano sia Mangouras, arrestato e accusato di attentato contro l’ambiente, danni e disobbedienza, sia il capo macchinista della Prestige e il responsabile della Marina mercantile spagnola dell’epoca, accusato di imprudenza grave per la rotta seguita dalla petroliera durante i sei giorni prima del naufragio. Durante il processo, sia Mangouras che l’armatore della nave avevano accusato il governo spagnolo di aver provocato la catastrofe ordinando alla petroliera in difficoltà di allontanarsi dalla costa.

Nel 2013 gli imputati furono tutti assolti tranne Mangouras, che fu condannato a nove mesi di carcere solo per il reato di disobbedienza, per essersi inizialmente rifiutato di acconsentire al traino della nave dopo aver lanciato il messaggio di allarme. Tre anni dopo la Corte suprema spagnola tuttavia ribaltò la sentenza e condannò Mangouras (che comunque non era andato in carcere perché aveva 78 anni) ad altri due anni di carcere per reati contro l’ambiente. Secondo la sentenza, la «responsabilità civile diretta» del disastro fu di Mangouras: la Corte ritenne che avesse comandato la nave in condizioni meteorologiche avverse nonostante sapesse che non era abbastanza solida.

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