Il linguaggio in codice dei fiori, nell’Ottocento

In epoca vittoriana erano usati come simboli di idee o emozioni che non si potevano esprimere apertamente: oggi c'è chi li paragona alle emoji

La "Venere Verticordia" del pittore inglese Dante Gabriel Rossetti (1866 circa)
La "Venere Verticordia" del pittore inglese Dante Gabriel Rossetti (1866 circa)
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Sappiamo che secondo la tradizione alcuni fiori sono più adatti di altri in certe occasioni, e spesso senza sapere esattamente il perché associamo un mazzo di rose rosse ad amore e passione o i crisantemi alla commemorazione dei defunti. I fiori sono sempre stati impiegati come simboli di affetto o gratitudine in moltissime culture: fu però in particolare nel Regno Unito dell’Ottocento che si trasformarono in una specie di codice per comunicare quello che non si poteva dire esplicitamente, a causa del rigore imposto dalle norme sociali del tempo. Per questo c’è chi ha paragonato il linguaggio dei fiori a quello delle emoji, i simboli con cui oggi esprimiamo amore e ammirazione ma anche rifiuto, disprezzo o disinteresse attraverso i social network.

Quando il nuovo re del Regno Unito Carlo III ha dovuto scegliere i fiori per il funerale della regina Elisabetta II ha chiesto di comporre una corona con fiori di mirto, un simbolo di amore e prosperità, rosmarino, in segno di ricordo e fedeltà, e fiori della farnia, o quercia inglese, che indicano forza. Queste scelte esprimono sentimenti ed emozioni precise che nella società di oggi sono difficili da cogliere e interpretare: due secoli fa, nella società della cosiddetta epoca vittoriana (dalla regina Vittoria che governava al tempo), sarebbero invece state molto più immediate, soprattutto tra le giovani donne dell’aristocrazia.

In un periodo in cui era scoraggiato esprimere in maniera troppo aperta le proprie emozioni o dire ciò che si pensava, la floriografia – cioè il linguaggio dei fiori – emerse come un «mezzo di comunicazione clandestino», ha spiegato a BBC Culture Jessica Roux, che nel 2020 ha dedicato un libro all’argomento.

Spesso le giovani donne dell’epoca vittoriana decoravano abiti e pettinature con i fiori per comunicare qualcosa, e quelli che regalavano funzionavano come messaggi in codice. Un mazzo di rose era generalmente interpretato come un gesto di amore (un po’ come un cuoricino rosso nelle app di messaggistica), ma restituirne uno di rose gialle indicava che c’era solo un interesse come amici. Un po’ come fanno le emoji oggi, inoltre, i fiori potevano servire per comunicare in maniera più o meno diretta quello che si voleva dire in base a come si usavano e in che contesto, a chi li usava e al modo in cui erano messi insieme, spiega Roux.

La zinnia, originaria dell’America settentrionale, era un simbolo di amicizia duratura, mentre la cicerchia odorosa, nota anche come pisello odoroso, indicava gratitudine. Garofani rosa, rossi o bianchi erano usati per esprimere ammirazione, amore e amicizia, mentre quelli gialli o striati rifiuto o disprezzo, e quelli viola potevano voler dire al proprio interlocutore che era troppo capriccioso. I gigli rappresentavano purezza, il geranio rosso salute e agio, i ranuncoli erano simboli di bellezza ma anche di puerilità.

Immaginando un dialogo fatto con i gesti al posto delle parole, consegnare un mazzo di fiori con la mano destra serviva a dire “sì”, mentre darlo con la sinistra sarebbe equivalso a un “no”. Secondo alcune tradizioni, aveva un significato importante anche la presentazione dei fiori: se per esempio erano avvolti da un nastro legato sul lato sinistro del mazzo, l’emozione che volevano esprimere riguardava chi li regalava, mentre se il nastro era sulla destra era rivolta a chi li riceveva.

Secondo una credenza di cui si ha notizia per la prima volta in un almanacco britannico del 1896, mettere insieme fiori bianchi e rossi era un segno di cattivo auspicio. Comprensibilmente un mazzo di fiori non molto freschi mandava un messaggio piuttosto inequivocabile.

 

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Un’illustrazione del calendario tratto dal libro di Roux sul significato del quadrifoglio, considerato in varie culture un simbolo di fortuna

Roux ha spiegato che i vari significati dei fiori derivano tra le altre cose dalla letteratura, dalla mitologia, dalla religione e dalle leggende medievali. Potevano indicare cose diverse a seconda delle culture (i fiori rosa per esempio indicano fiducia in Thailandia ma buona salute in Giappone) e in qualche caso quello che volevano dire era legato anche alle forme stesse delle piante (dal momento che il frutto della noce ricorda un cervello, i suoi fiori indicavano saggezza).

Si ritiene che la prima a osservare un sistema di linguaggio basato sui fiori fosse stata Lady Mary Wortley Montagu, poeta e moglie dell’ambasciatore inglese in Turchia, che in una serie di lettere tra il 1717 e 1718 descrisse il “codice” utilizzato da alcune donne negli harem turchi per comunicare fra loro senza farsi capire dalle guardie. Circa un secolo dopo invece venne pubblicato Il linguaggio dei fiori, scritto dalla nobile francese Charlotte de La Tour, il primo libro a descrivere il simbolismo dei fiori e a spiegare il significato che generalmente era loro attribuito.

Dopo la sua pubblicazione, sia in Francia che nel Regno Unito e negli Stati Uniti cominciarono a diffondersi almanacchi, libri e “dizionari floreali” che raccoglievano disegni e illustrazioni di fiori con poesie o informazioni legate al loro significato. Un articolo pubblicato sul sito Atlas Obscura racconta che tra il 1827 e il 1923 negli Stati Uniti ce n’erano in circolazione almeno 98 e che il codice di linguaggio dei fiori veniva discusso regolarmente nelle riviste dell’epoca.

Il dipinto del 1867 “Lady Lilith” di Dante Gabriel Rossetti (Metropolitan Museum of Art)

I fiori vennero usati come simbolo per comunicare sentimenti e dare un significato più profondo a certe situazioni anche nell’arte e nella letteratura, per esempio nelle opere dei pittori preraffaelliti o in quelle letterarie di Jane Austen, Emily Dickinson e Charlotte Brontë, il cui pubblico molto probabilmente sarebbe stato in grado di interpretarne il significato. Per fare un altro esempio, la donna protagonista del dipinto “Lady Lilith” di Dante Gabriel Rossetti può sembrare ritratta in una posa sensuale: la presenza di numerose rose bianche però indicherebbe un disinteresse per la passione carnale, mentre quella dei papaveri e della digitale purpurea sullo scrittoio starebbe a significare che sia assopita, noncurante e avrebbe intenzioni non sincere.

Il linguaggio in codice dei fiori continuò a essere molto utilizzato e conosciuto fino a inizio Novecento, e poi scomparve lentamente. Alcuni suoi significati sono rimasti piuttosto noti nella tradizione popolare, mentre altri hanno continuato a essere sfruttati nella letteratura, dove sono stati associati al carattere di certi personaggi o a certe situazioni.

Nel romanzo distopico di Margaret Atwood Il racconto dellancella (1985) si usa tra gli altri il simbolo del tulipano, che viene paragonato alle donne sottomesse e usate per la riproduzione nel regime estremista e misogino della Repubblica di Gilead: è un fiore che nella tradizione indica l’amore vero, ma qui rappresenta tra le altre cose le violenze nei confronti delle donne e il fatto che non siano destinate a sopravvivere a lungo.

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