Il dibattito sulla parola “grassa” nell’ultimo video di Taylor Swift

Compariva su una bilancia in una scena poi eliminata, che secondo molte critiche era offensiva e discriminatoria

Uno screenshot del video "Anti-Hero"
Uno screenshot del video "Anti-Hero"
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Il 21 ottobre è uscito su YouTube il video di “Anti-Hero”, il primo singolo del nuovo disco di Taylor Swift, una delle cantanti pop più famose e seguite al mondo. Pochi giorni dopo il video è stato modificato: nello specifico, è stata tolta una breve scena che mostrava Swift su una bilancia senza numeri e con solo la scritta “FAT”, grassa. Il motivo è che la scena aveva suscitato un animato dibattito online tra i fan di Swift e persone che si occupano di grassofobia, cioè discriminazione nei confronti delle persone grasse, o che semplicemente sono sensibili all’argomento.

Nonostante sia un tema che esiste da decenni e che per certi versi è andato di pari passo con le battaglie femministe – e nonostante la cosiddetta “body positivity” vada molto di moda nelle pubblicità e sui social network – il tema della grassofobia è meno discusso e considerato rispetto ad altri, negli Stati Uniti e ancora di più in Italia.

Il video di “Anti-Hero” è stato scritto e diretto da Taylor Swift. Racconta alcune delle ossessioni che la cantante aveva quando soffriva di disturbi alimentari: un argomento a cui aveva già accennato nel documentario sulla sua vita, Miss Americana, uscito nel 2020. Nella scena poi cancellata Swift – che ha un corpo magro e molto affine agli standard tipici della moda e dello spettacolo – sale sulla bilancia, guarda in basso e vede l’ago puntare sulla scritta “grassa”, tutto sotto lo sguardo giudicante della versione vincente di se stessa (che nel video la accompagna con un costume da supereroina). Un verso della canzone dice: «A volte mi sento come se tutti fossero delle bambole sexy e io un mostro sulla collina».

L’ossessione per il peso e la convinzione di non essere mai abbastanza magre è una costante dell’esperienza delle persone che soffrono o hanno sofferto di anoressia. Il racconto di Swift quindi non è problematico di per sé, ma a essere stato criticato è il modo in cui è stata presentata la paura della cantante di diventare grassa. In sostanza, secondo questa critica la connotazione negativa attribuita alla parola “grassa” era assoluta, e non invece messa in relazione al passato di disturbi alimentari di Swift.

Swift è stata quindi accusata di non aver tenuto sufficientemente conto della sensibilità delle persone che grasse lo sono per davvero: un errore di valutazione che peraltro è sembrato strano a molti, considerando che Swift è una cantante solitamente molto attenta a questo tipo di messaggi, come del resto tutti i musicisti con un pubblico molto giovane e quindi tendenzialmente attento e progressista rispetto a questi temi.

Secondo interpretazioni più assolutorie, la scena del video non mostrerebbe però un pregiudizio di Swift, ma anzi il suo modo di criticare quella cultura dominante che convince le donne che essere grasse è la cosa peggiore che possa loro succedere. Swift aveva raccontato che il momento in cui aveva cominciato a essere ossessionata dal cibo era stato quando a 18 anni alcuni giornali avevano ipotizzato che potesse essere incinta perché la sua pancia in una foto non appariva totalmente piatta.

La commentatrice americana Olivia Truffaut-Wong ha scritto su The Cut: «capisco perché questa interpretazione piaccia, e potrebbe essere stata la sua intenzione [di Swift, ndr], ma oltre che per questa breve scena il video non include nessun ulteriore approfondimento su come Swift percepisca la parola “grassa”. Nel contesto del video la parola “grassa” rimane negativa».

In un post sull’Huffington Post, Juliet James ha provato a suggerire una lista di altre parole che avrebbero potuto comparire sulla bilancia del video al posto di “grassa”: «Non all’altezza. Non amabile. Odiata. Terribile. Cattiva». Questa terminologia, dice, avrebbe dato anche una rappresentazione più accurata di quello che realmente si nasconde dietro ai disturbi alimentari e all’ossessione per il cibo: e cioè l’insicurezza, la paura di perdere il controllo, la paura di non piacere e di non valere abbastanza.

La stessa cosa l’ha fatta notare anche Catherine Mhloyi su Teen Vogue: «perché non salire sulla bilancia e scegliere di leggere invece “non abbastanza” o “immeritevole”? La ragione è che per molte persone queste parole vogliono dire la stessa cosa di “grassa”». Mhloyi definisce la scena scritta e girata da Swift «pigra» e sottolinea come abbia fatto «la scelta esplicita di dare un nome al proprio demone, la paura di essere chiamata “grassa”, che è grassofobia nel suo senso più letterale».

La grassofobia ha effetti anche molto concreti sulla vita delle persone, che per esempio fanno fatica a trovare vestiti adatti ai loro corpi, devono fare i conti con posti in aereo troppo piccoli, non possono usare bagni troppo stretti e altri servizi che evidentemente non tengono conto delle loro esigenze. Per non parlare della difficoltà – documentata – nel trovare lavoro a causa dell’idea comune secondo cui le persone grasse sarebbero anche pigre, sciatte e poco ambiziose.

I movimenti per i diritti delle persone grasse negli Stati Uniti esistono dagli anni Settanta. La prima manifestazione di questo tipo, soprannominata “fat-in” (un gioco di parole tra “fat” e “sit-in”), si svolse a New York nel 1967: qualche centinaio di persone si ritrovò a Central Park per mangiare dolci, bruciare i libri sulle diete e protestare contro le discriminazioni nei propri confronti. Qualche anno dopo nacque la National Association to Advance Fat Acceptance (NAAFA), che esiste ancora oggi, e dopo ancora un gruppo di femministe si staccò e fondò un collettivo più radicale che chiamò “The Fat Underground”.

Nel 1973 pubblicò il Fat Liberation Manifesto, un documento che definiva le persone grasse come una minoranza oppressa dallo stesso sistema sessista, razzista e capitalista che opprimeva anche gli altri gruppi marginalizzati. Reclamava rispetto, riconoscimento e diritti per tutti i corpi allo stesso modo e citava come principale nemico l’industria della riduzione, ovvero tutte quelle aziende e quei sistemi che si arricchivano accrescendo lo stigma delle persone grasse, già considerate pigre, inette, trascurate, goffe e ridicole. In Italia, dove pure i movimenti femministi furono molto attivi a partire dagli anni Sessanta, i movimenti contro la discriminazione delle persone grasse non sono mai davvero arrivati e ancora oggi faticano a farsi strada sia a livello sociale che accademico.

Saggi sulla grassofobia come Fat shame. Lo stigma del corpo grasso di Amy Erdman Farrell hanno teorizzato che negli Stati Uniti e in Europa i pregiudizi nei confronti dei corpi grassi abbiano uno stretto legame col razzismo nei confronti delle persone nere, che è a sua volta un problema sistemico e molto difficile da estirpare. A tutto questo si aggiunge il doppio standard con cui uomini e donne vengono giudicati per il loro aspetto: una donna grassa, e quindi non aderente agli standard di bellezza della cultura occidentale, è spesso più discriminata di un uomo della stessa taglia.

Negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, c’è stata una generale apertura verso le differenze che si è manifestata in molti campi della cultura, dal cinema alla moda: si è affermato il concetto di “body positivity” e si è diffusa l’idea che anche i corpi tradizionalmente considerati non conformi potessero essere mostrati ed esaltati esattamente come gli altri.

Molti esperti e opinionisti però hanno espresso la preoccupazione che questo approccio possa diventare dannoso per persone la cui grassezza è causa di problemi di salute gravi e che dovrebbero quindi preoccuparsene. Negli Stati Uniti questo tema è particolarmente centrale perché l’obesità (fattore di rischio per numerose malattie cardiovascolari e altro) riguarda milioni di persone e il governo è da decenni impegnato in campagne di sensibilizzazione per contrastarla. Una cosa su cui esperti e attivisti insistono però è che demonizzare la grassezza non ha mai avuto effetti positivi (per esempio nel contenimento dell’obesità) e che anzi la grassofobia è all’origine a sua volta di gravi problemi sanitari, come i disturbi del comportamento alimentare e il peggioramento della salute mentale delle persone grasse.