Cosa ha detto Eugenia Roccella sull’aborto

Ha ribadito, come Meloni, di non avere alcuna volontà di modificare la legge 194, facendo leva su una precisa strategia

Eugenia Roccella al Quirinale, Roma, 22 ottobre 2022 (ANSA / ANGELO CARCONI)
Eugenia Roccella al Quirinale, Roma, 22 ottobre 2022 (ANSA / ANGELO CARCONI)

Eugenia Roccella, la nuova ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità nel governo di Giorgia Meloni, è intervenuta su La Stampa di oggi per ribadire, come aveva già fatto Giorgia Meloni, che non cambierà la legge che in Italia consente l’aborto, la 194:

«Giorgia Meloni ha ripetuto fino alla nausea che non vuole cambiare la legge sull’aborto, e io non solo non ho nessuna volontà di farlo, ma non ne avrei nemmeno il potere, visto che dell’applicazione della legge 194 si occupa il ministero della Salute insieme alle Regioni».

È vero che Meloni, durante la campagna elettorale, ha detto di non voler né abolire né modificare la legge 194: ha anzi detto di volerla applicare pienamente e rafforzarla nelle parti in cui la legge parla di «tutela sociale della maternità». “Applicare pienamente” la 194 è però la strategia portata avanti esplicitamente dai movimenti antiabortisti, cioè contro l’aborto: l’intento è quello di svuotare la legge attraverso la legge stessa, cosa che paradossalmente può essere reso possibile dal testo della 194.

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La legge che in Italia consente di interrompere una gravidanza, la 194, venne approvata nel 1978 grazie alle lotte dei movimenti femministi e dopo un passaggio parlamentare durato circa due anni durante il quale, trasversalmente, molte forze politiche presenti in parlamento provarono, con più o meno forza, a opporsi alla proposta. Alla fine la legge passò, ma fu il risultato di un compromesso.

A più di quarant’anni dall’approvazione della 194, la legge ha mostrato non solo i moltissimi problemi legati alla sua mancata applicazione (per cui l’Italia è stata più volte richiamata dalle istituzioni europee) ma anche i limiti che dipendono direttamente da come è formulata.

Da subito i movimenti femministi segnalarono che il testo conteneva gli strumenti che l’avrebbero svuotato: anzitutto quello dell’obiezione di coscienza, che pur rimanendo il più grosso ostacolo al diritto all’aborto non è l’unico.

Oltre all’obiezione di coscienza, la legge contiene altre parti che possono rendere difficoltoso l’accesso all’aborto. In particolar modo, nella 194 non si parla mai di interruzione volontaria di gravidanza rispetto alla libera scelta della persona, ma si parte dal presupposto che la maternità non venga portata avanti solo per un’impossibilità: per la presenza di alcune circostanze sfavorevoli che la legge stessa chiede, innanzitutto, di superare.

A causa di questa determinata impostazione della legge, dunque, i gruppi antiabortisti hanno cominciato a lavorare non più per abrogare la 194, ma per la sua “piena applicazione”. La 194 infatti consente e promuove la loro entrata negli ospedali o nei consultori pubblici. E il loro ingresso, proprio come è accaduto nelle regioni governate dalla destra, come il Piemonte, è stato favorito, sostenuto e finanziato.

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