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  • Martedì 18 ottobre 2022

Le incerte elezioni americane di metà mandato

Tradizionalmente penalizzano il partito del presidente in carica, ma quest'anno potrebbe andare diversamente per via dell'acceso dibattito sull'aborto

Un uomo vota in anticipo alle elezioni di metà mandato in Virginia, 26 settembre 2022 (AP Photo/Andrew Harnik)
Un uomo vota in anticipo alle elezioni di metà mandato in Virginia, 26 settembre 2022 (AP Photo/Andrew Harnik)

L’8 novembre si terranno negli Stati Uniti le cosiddette elezioni di metà mandato (in inglese: midterm), in cui a due anni di distanza dall’inizio del mandato del presidente si rinnovano tutti i seggi della Camera e un terzo di quelli del Senato. Nello stesso giorno si terranno anche migliaia di elezioni locali: si voterà per eleggere il governatore o la governatrice in 36 stati, e verranno rinnovati quasi tutti i parlamenti statali.

Le elezioni più seguite saranno comunque quelle che riguardano Camera e Senato. Il loro esito condizionerà pesantemente gli ultimi due anni di mandato del presidente in carica Joe Biden, eletto nel 2020 coi Democratici. Al momento i sondaggisti spiegano che i Democratici dovrebbero mantenere la maggioranza in Senato ma perdere quella alla Camera, cosa che limiterebbe molto il raggio d’azione di Biden nella seconda parte del suo mandato. Ma al voto manca ancora un mese, e diversi osservatori concordano sul fatto che l’esito finale non sia affatto scontato.

Storicamente le elezioni di metà mandato tendono a premiare il partito all’opposizione del presidente in carica, per dare un metaforico «schiaffo al presidente», spiega Laura Smith, ricercatrice dell’università di Oxford che si occupa di presidenti statunitensi. Al momento Biden è piuttosto impopolare per un presidente arrivato a metà del mandato – il suo tasso di popolarità è di poco superiore al 40 per cento – ma i Democratici sperano comunque di ottenere un buon risultato facendo leva sulla recente decisione della Corte Suprema di abolire il diritto federale all’aborto, promossa soprattutto da giudici conservatori, e sull’estremismo e lo scarso spessore dei candidati scelti dai Repubblicani in diversi importanti collegi.

«Sono le elezioni di metà mandato più strane che abbia mai visto», ha detto di recente al New York Times Guy Cecil, importante stratega Democratico: «Ci sono due tendenze in conflitto: da un lato hai quello che ti dice la storia, dall’altro un sacco di dati secondo cui saranno elezioni in bilico». Secondo un modello statistico sviluppato dal sito FiveThirtyEight sulla base dei sondaggi disponibili, i Repubblicani hanno il 34 per cento di possibilità di ottenere la maggioranza sia alla Camera sia al Senato, cioè quella che sarebbe considerata una nettissima vittoria. La possibilità che succeda ai Democratici, paradossalmente, è di poco inferiore: viene stimata al 28 per cento.

I Democratici partono comunque da una posizione di svantaggio. In varie parti degli Stati Uniti i Repubblicani hanno approfittato della recente necessità di ridisegnare i collegi della Camera, cosa che va fatta ogni dieci anni, per ritagliarli a proprio favore con la pratica nota come gerrymandering. In un recente sondaggio inoltre l’85 per cento degli elettori ha spiegato che l’andamento dell’economia sarà uno dei fattori più importanti o sarà molto importante per condizionare il proprio voto: non un dato incoraggiante in un periodo di crisi economica globale, in cui il costo della vita negli Stati Uniti sta raggiungendo il punto più alto degli ultimi quarant’anni.

Allo stesso tempo però i Democratici possono approfittare del fatto che nello stesso sondaggio, realizzato a metà settembre dal Washington Post e da ABC News, l’interruzione di gravidanza è considerata importantissima o molto importante dal 62 per cento degli intervistati. «In sostanza i Democratici e le donne che votano per loro in particolare si sentono coinvolte dall’idea che hanno avuto per cinquant’anni un diritto che dopo la decisione della Corte Suprema viene determinato da leggi statali», ha spiegato al Financial Times Lara Brown, presidente di un think tank indipendente con sede a Washington. «E molte donne vivono in stati dove oggi non hanno più quel diritto».

Una manifestazione per il diritto all’interruzione di gravidanza a Lansing, in Michigan (AP Photo/Paul Sancya, File)

In altre parole, molti elettori indecisi se andare a votare e poco convinti dai Democratici potrebbero votare per loro per punire i Repubblicani per avere causato indirettamente la decisione della Corte Suprema sull’aborto.

I Democratici hanno anche un altro vantaggio: dei 35 seggi del Senato che bisognerà rinnovare, ben 21 sono controllati dai Repubblicani, di cui diversi in stati considerati in bilico: su tutti, Wisconsin, Pennsylvania e North Carolina. I Democratici ne controllano 14, di cui a rischio soprattutto Georgia ed Arizona (in cui però al momento secondo i sondaggi sarebbero in lievissimo vantaggio i Democratici). Anche la minima variazione potrebbe avere grosse conseguenze: oggi i Repubblicani e i Democratici controllano 50 seggi del Senato ciascuno, ma i Democratici hanno la maggioranza perché in caso di pareggio può votare anche la vicepresidente Kamala Harris.

In alcuni stati le possibilità dei Repubblicani si sono sostanzialmente ridotte a causa di candidati non esattamente efficacissimi. Anche l’influentissimo senatore Repubblicano Mitch McConnell, capogruppo del suo partito in Senato, ad agosto ha parlato di un generale problema di «qualità dei candidati». In Georgia per esempio, dove nel 2020 Biden ottenne appena 16mila voti in più di Donald Trump, i Repubblicani hanno candidato un ex giocatore di football dalle posizioni molto conservatrici. In campagna elettorale però si è scoperto che chiese alla sua ex compagna per due volte nel corso della loro relazione di abortire per interrompere una gravidanza inattesa.

In Pennsylvania invece il candidato Repubblicano è Mehmet Oz, popolarissimo medico televisivo di origine turca vicino a Trump ma poco amato dalla base del partito, in uno stato in cui nel 2020 Biden aveva staccato Trump di appena 81mila voti. In generale, poi, a queste elezioni il partito ha scelto molti candidati radicali, che potrebbero non funzionare bene in un periodo in cui si parla soprattutto di temi concreti come l’economia e l’interruzione di gravidanza: il Washington Post ha calcolato per esempio che 291 candidati Repubblicani a livello statale o federale non hanno riconosciuto come legittimo il risultato delle elezioni presidenziali del 2020, e appoggiano la teoria complottista secondo cui Donald Trump avrebbe perso a causa dei brogli.

Mehmet Oz durante un recente comizio (David Dermer/Associated Press)

Il risultato più probabile al momento rimane una vittoria a metà per entrambi i partiti. Secondo FiveThirtyEight i Democratici hanno il 65 per cento di possibilità di conservare la maggioranza in Senato, mentre i Repubblicani il 71 per cento di possibilità di ottenere il controllo della Camera. Se finisse così, per Biden sarebbe comunque un grosso problema approvare riforme ambiziose negli ultimi due anni di mandato.