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  • Lunedì 17 ottobre 2022

Nel mare dell’Alaska ci sono molti meno granchi

Secondo le autorità americane è colpa del cambiamento climatico, ma potrebbe entrarci anche l'eccesso di pesca

Grancevole artiche al porto di Kasumi, in Giappone, il 6 novembre 2020 (Buddhika Weerasinghe/Getty Images)
Grancevole artiche al porto di Kasumi, in Giappone, il 6 novembre 2020 (Buddhika Weerasinghe/Getty Images)
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Quest’anno i pescatori americani non potranno pescare granchi nello stretto di Bering perché negli ultimi anni il numero di questi animali è notevolmente diminuito: quasi del 90 per cento tra il 2018 e il 2021. Secondo gli scienziati del dipartimento della Pesca e della Caccia dell’Alaska e della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale americana che si occupa di meteorologia e clima, il fenomeno potrebbe essere dovuto all’aumento delle temperature del nord dell’oceano Pacifico, e dunque al cambiamento climatico. C’è però qualcuno che sospetta che anche un eccesso di pesca negli anni passati abbia contribuito al problema.

I granchi di cui si parla sono le grancevole artiche (Chionoecetes opilio), la principale specie di granchi commestibili del nord del Pacifico e del nord-ovest dell’Atlantico: il guscio dei maschi può raggiungere un diametro 15 centimetri, mentre quello delle femmine solitamente resta sotto i 7 centimetri di diametro. Vivono nei fondali sabbiosi e fangosi, a profondità comprese tra 13 e 2.200 metri circa. Solo nelle prime fasi della loro vita, quando sono ancora uova e poi nello stadio larvale, si trovano più vicini alla superficie: per i primi mesi di vita galleggiano e si nutrono della parte vegetale del plancton; una volta cresciuti vivono in profondità, dove generalmente la temperatura dell’acqua è inferiore ai 2 °C.

Fino a qualche anno fa, tra le specie di granchi pescati per il mercato alimentare, le grancevole artiche erano le più numerose nello stretto di Bering, che separa l’Alaska dalla Russia, ma ora non è più così: nel 2018 si stimava che ce ne fossero 8 miliardi, nel 2021 solo 1 miliardo. Sono sempre tanti, ma la diminuzione nel giro di tre anni è enorme.

Nel comunicato con cui il 10 ottobre il dipartimento della Pesca e della Caccia dell’Alaska ha annunciato che per la stagione 2022/2023 la pesca delle grancevole artiche sarà sospesa per cercare di aiutare la popolazione della specie a riprendersi, si dice che «sono in corso delle iniziative per migliorare le nostre conoscenze scientifiche e capire le dinamiche che riguardano la popolazione di granchi». C’è comunque una ipotesi di spiegazione sulla diminuzione degli animali e riguarda il riscaldamento globale.

Miranda Westphal, biologa che lavora per il dipartimento, ha spiegato al New York Times che le grancevole artiche sono abituate a vivere in acque molto fredde: se la temperatura aumenta, accelera il loro metabolismo, e quindi hanno bisogno di più cibo, che però scarseggia nei fondali. Tra il 2018 e il 2019 le temperature delle acque del mare di Bering sono significativamente aumentate e i granchi «sono probabilmente morti di fame». Come altre regioni molto settentrionali del pianeta, l’Alaska è uno dei territori in cui le temperature stanno aumentando più velocemente.

È peraltro possibile che le acque più calde abbiano esposto i granchi ai loro predatori, i merluzzi: negli ultimi anni i biologi marini hanno osservato che i merluzzi del nord del Pacifico si cibano molto di più di grancevole e si pensa che le più accoglienti temperature dei fondali permettano loro di raggiungerle più facilmente rispetto al passato. Può anche darsi che la popolazione dei granchi sia stata colpita da una malattia, ma «non lo possiamo sapere per certo e non lo sapremo mai perché ormai sono morti», ha detto Westphal.

C’è però chi pensa che il cambiamento climatico non sia l’unica causa della diminuzione del numero di grancevole artiche. Su Twitter il giornalista scientifico Spencer Roberts ha ipotizzato che c’entri anche un eccesso di pesca praticata negli ultimi anni.

A sostegno di tale ipotesi Roberts ha osservato che, stando ai dati di Global Fishing Watch, una ong che documenta quali aree marine sono frequentate dai pescherecci e con quale frequenza, la riduzione della superficie di mare ghiacciata nello stretto di Bering dovuta all’innalzamento delle temperature ha portato a un’estensione dei territori di pesca. Rispetto al 2013, nel 2020 i pescherecci hanno potuto lavorare in una porzione di oceano molto più ampia. Molte navi che praticano la pesca a strascico, quella con le reti da traino, sono state attive nelle zone dove fino a qualche anno fa, sotto agli strati di ghiaccio, le grancevole artiche si riproducevano.

Peraltro dati della stessa NOAA indicano che negli ultimi anni molti più granchi sono morti perché pescati non intenzionalmente da pescherecci che si occupano di altre specie marine – tutti animali la cui morte è stata inutile dato che queste navi sono obbligate a rigettarli in mare.

La NOAA dice che le catture accidentali contribuiscono poco all’aumento di mortalità delle grancevole, ma Roberts sospetta che non sia così anche perché l’anno scorso, grazie alla testimonianza di un ex dipendente dell’agenzia, è stato rivelato che per decenni la NOAA ha nascosto le cause di una grossa riduzione della popolazione di un’altra specie, i granchi reali rossi (Paralithodes camtschaticus), dovuta proprio all’eccesso di pesca. Negli anni Ottanta ce n’erano centinaia di milioni nello stretto di Bering, oggi meno di 10 milioni, e per molto tempo la NOAA ha imputato questa diminuzione a una misteriosa causa naturale.

Quale che ne sia la causa, la diminuzione delle grancevole artiche nello stretto di Bering è un problema rilevante non solo per questa specie e per l’equilibrio degli ecosistemi marini in cui vive, ma anche per i pescatori dell’Alaska che le pescano. Ogni anno circa 65 pescherecci la praticano. Jamie Goen, direttore esecutivo dell’Alaska Bering Sea Crabbers, associazione di categoria del settore, ha previsto che alcune aziende a conduzione familiare falliranno con la sospensione della pesca di quest’anno.