La scomoda situazione di Adidas con Kanye West

Il rapper le ha fatto guadagnare miliardi, ma le sue proverbiali uscite controverse stanno diventando troppo impresentabili

di Jaclyn Peiser e Jacob Bogage - The Washington Post

Kanye West arriva alla sfilata di Balenciaga durante la settimana della moda parigina il 2 ottobre scorso (Jacopo M. Raule/Getty Images For Balenciaga )
Kanye West arriva alla sfilata di Balenciaga durante la settimana della moda parigina il 2 ottobre scorso (Jacopo M. Raule/Getty Images For Balenciaga )
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Per anni i dirigenti di Adidas sono rimasti in silenzio mentre il loro celebre partner Ye, il musicista e stilista già noto come Kanye West, faceva notizia con le sue polemiche: sono rimasti in silenzio perfino quando l’artista aveva pubblicamente denigrato il CEO del loro brand sportivo. Ma l’azienda tedesca ha interrotto il silenzio la scorsa settimana, pochi giorni dopo che l’artista aveva suscitato l’indignazione generale indossando una maglietta con lo slogan WHITE LIVES MATTER, che viene usato dalla destra americana in contrapposizione a quello del movimento per i diritti civili Black Lives Matter, alla sua sfilata della settimana della moda di Parigi. Giovedì Adidas ha annunciato di stare rivalutando l’accordo commerciale con Ye e il suo marchio multimiliardario Yeezy.

Nei giorni successivi all’annuncio la pressione su Adidas non ha fatto che aumentare, in seguito a ulteriori comportamenti stravaganti di Ye tra cui la pubblicazione di tweet antisemiti e di un video in cui l’artista si definiva il «re della cultura» mentre mostrava un film pornografico ai dirigenti di Adidas. Ora i capi dell’azienda devono decidere se valga la pena portare avanti la partnership anche a costo di pubbliche relazioni da incubo.

Secondo l’analista di Morningstar David Swartz, Yeezy genera circa 2 miliardi di dollari l’anno, quasi il 10 per cento del fatturato annuale dell’azienda. «La partnership Adidas/Yeezy è una delle collaborazioni di maggior successo nella storia del nostro settore» ha dichiarato Adidas. «Allo stesso tempo riteniamo che tutte le partnership di successo siano radicate nel rispetto reciproco e nei valori condivisi».

I rappresentanti di Ye e Adidas non hanno risposto alle richieste di commento per questo articolo. Ma rimanere in silenzio ha i suoi pericoli, hanno detto alcuni esperti. «Il problema è che, se ti cacci in quel ginepraio facendoti andare tutto bene e chiudendo un occhio, allora, in un certo senso, stai implicitamente avallando un comportamento» ha detto Americus Reed, professore di marketing presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania.

I comportamenti bizzarri di Ye fanno parte del suo marchio, secondo alcuni esperti, e sono spesso scusati perché secondo i fan sono ciò che lo rende un genio. «Se hai per le mani una potenza generazionale come Kanye West, cerchi di fare tutto il possibile per salvare l’accordo e renderlo felice, magari ignorando alcuni suoi commenti e continuando a spingere il prodotto, cosa che hanno fatto» ha detto Jared Goldstein, avvocato e coautore di Sneaker Law, un testo legale sull’industria delle scarpe da ginnastica. «Ma penso che ci sia un limite a ciò che Adidas può sopportare… Adidas esiste da molto, molto prima di Kanye West, e immagino che sia preoccupata per la sua immagine pubblica».

Ye, vincitore di 24 premi Grammy e di numerosi dischi di platino con album acclamati dalla critica, ha avuto negli ultimi due decenni un notevole impatto sull’industria musicale come rapper e produttore. Il suo esordio nella moda risale al 2009, quando collaborò con Nike per lanciare le Nike Air Yeezy 1. Col tempo, però, iniziò a mostrare insofferenza verso l’accordo. «Era una specie di free agent nel mondo delle sneaker» ha detto Goldstein.

La partnership fra Adidas e l’artista era iniziata nel 2013. Poi l’azienda annunciò un’importante espansione nel 2015, trasferendo centinaia di dipendenti dalla sua sede tedesca a quella statunitense vicino a Portland. Nel 2016, racconta Goldstein, Ye e Adidas hanno firmato un accordo sulle royalty e su un aumento dell’inventario per rendere il prodotto più accessibile. La partnership ha reso Ye miliardario e ha aperto le porte di Adidas a una nuova base di clientela.

Da allora Adidas ha incrementato distribuzione e vendite, e ha guadagnato quote di mercato in Nord America, ha spiegato Swartz di Morningstar. L’azienda è entrata anche nella rivendita di seconda mano, un settore dominato dalla linea di scarpe di Nike e Michael Jordan, e ha ampliato il suo mercato nell’abbigliamento sportivo. «Nella mente dei consumatori il valore del marchio è sensibilmente aumentato» ha detto Goldstein. «Si sono concretizzati altri accordi con celebrità, atleti e designer, e Adidas ha fatto faville per via dell’“effetto Kanye”».

Ma come nel caso di passate collaborazioni, Ye ha espresso le sue rimostranze verso Adidas pubblicamente. A giugno ha accusato la società di avergli rubato i modelli, facendo il nome dell’amministratore delegato di Adidas Kasper Rorsted in un tweet. Quasi sicuramente le rivendicazioni sono infondate, ha detto Goldstein. Sebbene il contratto tra Adidas e Ye non sia mai stato reso pubblico, in base agli standard del settore è Adidas a possedere la proprietà intellettuale di tutti i modelli creati durante la partnership.

Ye ha continuato con simili invettive rivolte a Gap, che nel 2020 aveva firmato un accordo per vendere abiti che l’artista aveva disegnato con la casa di moda francese Balenciaga e aprire negozi «Yeezy» indipendenti: ha interrotto la partnership il mese scorso e il suo avvocato ha detto a BBC che Ye avrebbe aperto dei negozi suoi.

Durante la partnership con Adidas Ye ha fatto notizia per i suoi commenti. Nel 2018 disse al sito TMZ che la schiavitù era una scelta; nel 2020, durante un comizio elettorale a North Charlotte, nel South Carolina, per la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, criticò l’abolizionista Harriet Tubman e annunciò che lui e la sua allora moglie Kim Kardashian stavano valutando di interrompere la loro prima gravidanza. Continuò poi a vaneggiare sui social rivelando dettagli del suo rapporto teso con i propri familiari. Kardashian, diva dei reality televisivi e dirigente d’azienda a pieno titolo, pubblicò una dichiarazione chiedendo «comprensione ed empatia» perché Ye stava facendo i conti con problemi di salute mentale. Negli anni successivi Ye ha parlato male di Kardashian, e del suo allora fidanzato, il comico Pete Davidson, e della propria famiglia.

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Secondo gli esperti gli eventi degli ultimi giorni hanno ulteriormente minacciato di offuscare la reputazione e l’identità di Adidas come marchio. Domenica Twitter e Meta hanno bloccato gli account di Ye per violazione delle politiche aziendali e hanno rimosso post ritenuti antisemiti.

Lunedì pomeriggio Ye ha pubblicato su YouTube un video di 30 minuti con una scena in cui sembra mostrare materiale pornografico a due dirigenti Adidas. Nel filmato, presumibilmente registrato in segreto, Ye li accusa di aver «fatto un torto all’azienda, all’industria e alla partnership».

Il giorno dopo il sito Motherboard ha pubblicato un video inedito dell’intervista con il conduttore di Fox News Tucker Carlson in cui Ye usa un linguaggio con allusioni antisemite, affermando che preferirebbe che a scuola i suoi figli fossero messi a conoscenza della festa ebraica di Hanukkah anziché di quella afroamericana di Kwanzaa, perché «almeno imparerebbero un po’ di ingegneria finanziaria». Come se non bastasse, un produttore di The Shop, un talk show di HBO presentato dal giocatore di basket LeBron James, ha detto che il programma aveva cancellato il suo episodio con Ye a causa del continuo «incitamento all’odio e all’uso di stereotipi estremamente pericolosi» da parte del rapper.

Il delirio pubblico antisemita di Ye rappresenta una questione particolarmente delicata per Adidas, data la storia dell’azienda. Per decenni Adidas ha preso le distanze da alcuni aspetti della vita dei suoi fondatori, i fratelli Adolf e Rudolf Dassler, già membri del Partito nazista. Quando si chiamava Gebrüder Dassler Schuhfabrik (Fabbrica di scarpe dei fratelli Dassler), l’azienda riforniva membri della Gioventù hitleriana, come racconta l’esperto di calzature sportive Jason Coles nel libro Golden Kicks: The Shoes That Changed Sport pubblicato nel 2016. Dopo la guerra i fratelli si erano separati: Rudolf aveva convertito la sua metà dell’impresa nella società Puma, mentre Adolf (Adi) aveva ribattezzato l’originaria Dassler «Adidas». «C’è un capitolo oscuro nella storia dell’azienda, di cui l’azienda chiaramente non vuole che si parli» ha detto Swartz. «E questa situazione potrebbe riportarlo alla luce».

Se Adidas revocasse il suo accordo con Ye, l’impatto sull’attività dell’azienda non sarebbe immediato, sostengono gli esperti. La società tedesca continuerebbe a detenere la proprietà intellettuale su tutti i modelli Yeezy realizzati da quando Ye ha firmato il contratto, ha detto Swartz, e probabilmente c’è già un inventario pronto per il lancio sul mercato. «Non si può chiudere di punto in bianco, ci vorrà del tempo. Smettere di venderli costerebbe una fortuna».

Se Ye firmasse un accordo più convenzionale, anche in questo caso Adidas avrebbe il diritto di replicare scarpe già sul mercato e produrre modelli inediti, ha affermato Goldstein. Adidas dovrebbe evitare di usare l’immagine e lo stile di Ye, ed eliminare il marchio Yeezy, ma non si noterebbe dal momento che il maggiore spazio del marchio si trova sulla soletta della scarpa, dove la gente non lo vede.

Queste ultime uscite di Ye si inseriscono nel contesto di altri problemi che Adidas si trova ad affrontare. Il valore delle azioni della società negli Stati Uniti è calato di oltre il 60 per cento nell’ultimo anno, da quando cioè Adidas ha visto gli affari nel suo mercato più redditizio, la Cina, ridursi di una percentuale a due cifre negli ultimi cinque trimestri a causa della chiusura di negozi e fabbriche durante la pandemia. Adidas sta inoltre affrontando un cambio di dirigenza. Kasper Rorsted, l’amministratore delegato, abbandonerà l’anno prossimo. «Questa polemica con Kanye arriva nel momento peggiore» spiega Swartz. «Mette davvero l’azienda in una posizione ancora più difficile. Vorrebbero evitare di introdurre ora grandi cambiamenti alla strategia, per poi doverla ricambiare con l’arrivo di un nuovo CEO».

© 2022, The Washington Post
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(traduzione di Sara Reggiani)