Perché i Verdi non sono mai andati forte in Italia

A parte un breve momento negli anni Novanta sono sempre stati marginali, a differenza di quanto successo in diversi paesi nordeuropei

di Mario Macchioni

Il portavoce dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, nel 2002 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Il portavoce dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, nel 2002 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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All’inizio della campagna elettorale per le elezioni del 25 settembre c’è stato un momento in cui la lista Sinistra Italiana-Verdi è stata al centro delle cronache politiche. Era il periodo in cui si stava trattando per formare le coalizioni, e non era chiaro se i leader dei due partiti, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, avrebbero accettato di presentarsi in un’alleanza insieme al Partito Democratico. Passati quei giorni, in cui la lista fu attaccata duramente da Carlo Calenda, che sarebbe poi uscito dalla coalizione, le cronache sono passate a concentrarsi su altre questioni.

Il declino nei consensi dei partiti di sinistra è stato spesso analizzato e studiato, e ha tra le altre alcune spiegazioni evidenti, a partire dalla presenza ingombrante di un grande partito di centrosinistra come il PD. Inquadrare le ragioni delle storiche difficoltà dei Verdi italiani a diventare un partito più grande e importante non è altrettanto immediato: oggi le istanze ambientaliste sono diventate molto più presenti nel dibattito pubblico rispetto al passato, quindi ci si aspetterebbe che siano aumentate contestualmente anche rilevanze e consensi di un partito che fa dell’ecologismo il suo valore principale.

Angelo Bonelli, a sinistra, e Nicola Fratoianni lo scorso 2 agosto (ANSA/ANGELO CARCONI)

Eppure i Verdi italiani non sono mai riusciti a sfruttare l’aumentata sensibilità dell’opinione pubblica sui temi ambientali. Nel 2008 non riuscirono a eleggere nessun parlamentare alle elezioni nazionali e da allora non si sono più ripresi, rimanendo ai margini del panorama politico.

Non si tratta di un fenomeno solamente italiano, ma riguarda tutti i grandi paesi mediterranei: già questo fa intuire che ci siano dietro delle ragioni culturali che si sommano ai contesti politici dei singoli paesi. Nel gruppo dei Verdi al Parlamento Europeo ci sono 72 deputate e deputati, la maggior parte dei quali sono francesi e tedeschi. Un solo deputato è portoghese, quattro spagnoli e non c’è nessun deputato greco. I deputati italiani sono quattro, ma nessuno di loro era stato eletto con i Verdi, vengono tutti dal Movimento 5 Stelle.

In passato, almeno in Italia, i Verdi avevano attraversato momenti anche più fortunati, specialmente tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, cavalcando l’ondata di rigetto nei confronti dell’energia nucleare seguita all’incidente di Chernobyl del 1986. I movimenti ambientalisti europei erano nati più o meno tutti in quel periodo, originandosi dalle prime teorie ambientaliste degli anni Settanta. Nel 1992 i Verdi italiani ottennero il loro massimo storico di seggi alla Camera (16) con oltre un milione di voti.

Tra il 1995 e i primi anni Duemila riuscirono a entrare in alcuni governi di centrosinistra, esprimendo ministri e sottosegretari. Tuttavia da quel periodo in poi il loro consenso andò diminuendo, rendendo i Verdi sempre più marginali. Non riuscì a invertire la tendenza neanche Alfonso Pecoraro Scanio, presidente del partito fino al 2008 e ministro dell’Ambiente nel secondo governo Prodi, di centrosinistra. Tutto questo avveniva mentre parallelamente, in Germania, i Verdi tedeschi (Grüne) prendevano stabilmente percentuali vicine al 10 per cento, entrando per due volte nella coalizione di governo con i Socialdemocratici tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila.

È successo di nuovo dopo le ultime elezioni del 2021: nell’attuale governo guidato dal Socialdemocratico Olaf Scholz, i Verdi esprimono cinque ministri di cui due tra i più importanti, Economia ed Esteri.

Da sinistra: la ministra degli Esteri Annalena Baerbock e il ministro dell’Economia Robert Habeck – entrambi dei Verdi – e il cancelliere tedesco Olaf Scholz (Carsten Koall/Getty Images)

Le ultime elezioni italiane, invece, per i Verdi furono un disastro. Era il 2018, si presentarono in una lista insieme ad altre due piccole formazioni, il Partito Socialista e Area Civica, che complessivamente prese a malapena lo 0,6 per cento non superando la soglia di sbarramento del 3 per cento. Andò meglio alle elezioni locali dello stesso anno nelle province autonome in Trentino-Alto Adige, regione di origine di Alexander Langer, tra i fondatori dei Verdi italiani, a lungo europarlamentare e leader del movimento ambientalista europeo. Langer fu anche giornalista e attivista, morì suicida nel 1995 e ancora oggi viene ricordato tra le altre cose per aver tentato di superare le differenze e i conflitti culturali, in particolare quello tra italiani e tedeschi nei territori di confine: lui era cresciuto in Alto Adige da padre austriaco e madre altoatesina, ed era perfettamente bilingue.

Secondo Eleonora Evi, parlamentare europea eletta con il Movimento 5 Stelle e passata ai Verdi nel 2020, lo scarso successo dei Verdi italiani si spiega in parte proprio per certi tratti culturali dei paesi mediterranei. Senza voler generalizzare, Evi ritiene per esempio che la storia recente del paese, fatta di abusi edilizi e cementificazione di vaste aree costiere, dimostri la tendenza italiana a non considerare l’ambiente come un patrimonio da preservare. Le cose stanno cambiando, ma «purtroppo in Italia siamo abituati ad avere a che fare con sversamenti di rifiuti illeciti o costruzioni abusive» dice Evi. «In altri paesi invece questi fenomeni sono meno assidui».

Un altro aspetto che potrebbe aver avuto un ruolo sono le condizioni sociali. Nei paesi nordeuropei c’è meno povertà e disoccupazione rispetto ai paesi mediterranei, dove secondo Evi alcune fasce sociali pensano che interessarsi ai temi ambientali sia «un lusso» e che ci siano «ben altri problemi» a cui pensare, come appunto il lavoro o le difficoltà economiche.

È un punto di vista condiviso anche da Narciso Michavila, presidente dell’istituto di rilevazione statistica spagnolo GAD3. Sentito dal quotidiano online El Diario, Michavila ha detto che «il “voto verde” di solito proviene da persone che hanno già soddisfatto i loro bisogni vitali primari, e ora possono fare un passo avanti […]. Ti preoccupi di una dieta più equilibrata quando hai più tempo libero o più soldi e meno oneri familiari».

Sempre parlando col Diario, il deputato dei Verdi spagnoli Juan López de Uralde aggiunge un altro elemento che penalizzerebbe i partiti ecologisti mediterranei: la cultura politica dominante. «Storicamente le formazioni politiche nuove hanno sempre avuto difficoltà in Spagna, a meno che non fossero sostenute da grossi finanziamenti, e noi non lo eravamo». Inoltre, secondo López de Uralde, «il contesto in cui devono muoversi gli ecologisti di Grecia, Italia e Spagna è molto diverso» da quello dei paesi del nord, dove alcuni punti cardine dell’ambientalismo sono entrati nella cultura condivisa. Nei paesi mediterranei invece c’è più polarizzazione e alcuni partiti, specialmente quelli di destra, tendenzialmente negano le evidenze del cambiamento climatico, o comunque evitano di prenderle in considerazione.

Il caso tedesco si differenzia da quello italiano anche per quanto riguarda la leadership. Sotto la presidenza di Annalena Baerbock, iniziata nel 2018, i Verdi tedeschi hanno ottenuto i risultati migliori della loro storia, avvicinandosi al 15% ed entrando nel governo – Baerbock è ministra degli Esteri – grazie a un approccio pragmatico e a una comunicazione carismatica. In Italia, i Verdi non hanno mai avuto rappresentanti così capaci di costruire entusiasmo e allargare i consensi.

Anche tra chi si riconosce nell’ambientalismo, poi, alcune posizioni dei Verdi italiani negli anni hanno attirato critiche e accuse. In particolare, su certi argomenti hanno dimostrato un certo oltranzismo andando contro le evidenze scientifiche: è il caso della campagna contro gli OGM promossa da Pecoraro Scanio, che da ministro dell’Agricoltura li vietò in Italia e interruppe le sperimentazioni in questo campo nonostante l’opposizione della comunità scientifica (ancora oggi in Italia è vietato coltivarli). I Verdi tedeschi hanno invece posizioni ben più aperte sugli OGM, pur sostenendo la necessità di regolarli strettamente.

Un esempio più recente di queste posizioni controverse tenute dai Verdi è stata poi la comunicazione sulla questione della Xylella fastidiosa, il batterio che ha causato enormi danni alle coltivazioni di olivi in Puglia. Bonelli si accodò a chi contestava l’eradicazione degli olivi per arrestare l’espansione della malattia, andando contro le raccomandazioni dei ricercatori incaricati di studiare il problema (la necessità delle eradicazioni e il ritardo nella gestione del contenimento della Xylella furono successivamente confermate da un rapporto della Commissione europea). Ancora nel 2019, i Verdi parlarono di “truffa Xylella”.

In generale, ai Verdi italiani è stata spesso contestata una mancata evoluzione nelle proprie proposte politiche e un approccio all’ambientalismo sotto certi punti di vista superato, in quanto rimasto in molti casi legato a modelli e piattaforme ideologiche ormai abbandonate in altri paesi europei, dove più che sulla tutela dell’ambiente in senso stretto ci si concentra maggiormente sulla crisi climatica e sulla sua mitigazione. Un processo che in diversi paesi ha comportato la revisione di certe posizioni precedenti, che fossero legate alla tutela di uno specifico territorio – come nel caso delle infrastrutture per la transizione energetica, spesso sgradite a chi vive nei paraggi ma considerate sempre più necessarie e utili – o a diffidenze e timori non giustificati dalle evidenze scientifiche, come nel caso degli OGM.

Monica Frassoni, attualmente a capo del consiglio comunale di Ixelles, città belga nella regione di Bruxelles governata dai Verdi, ha una lunga esperienza politica in campo europeo: è stata europarlamentare dal 1999 al 2009 e presidente dei Verdi Europei dal 2009 al 2019, insieme al tedesco Reinhard Bütikofer.

Secondo Frassoni ci sono almeno tre elementi che aiutano a spiegare l’insuccesso dei Verdi in Italia. Uno è proprio l’atteggiamento di una parte della politica e dei media italiani, che etichetta le istanze ambientaliste come il “partito dei no” contribuendo a rallentare i processi di transizione ecologica. «Siamo al limite del negazionismo, non si crede che il problema ambientale sia serio davvero» dice Frassoni. «Negli altri paesi europei, anche quelli dove i Verdi non sono particolarmente forti, questa questione è ormai entrata nella testa delle persone. In Italia invece non si è sviluppata una vera coscienza».

Gli attacchi di Lega e Forza Italia contro l’attivista per il clima Greta Thunberg, per esempio, sono una cosa che secondo Frassoni non si vede in nessun altro paese, solo in Italia. «Ci si oppone all’ambientalismo in maniera irrazionale, quasi ideologica».

Frassoni nel 2018 a Berlino, durante un incontro dei Verdi Europei (EPA/FILIP SINGER)

Un altro aspetto riguarda invece il sistema politico italiano nel suo insieme, che negli anni si è dimostrato instabile e ha cambiato regole più volte. Negli ultimi anni le soglie di sbarramento istituite anche a livello europeo (al 4 per cento) hanno penalizzato i partiti più piccoli, e i cambiamenti continui del sistema elettorale hanno richiesto una capacità di adattamento non alla portata dei Verdi, che soffrono tra le altre cose anche di mancanza di fondi.

Un fattore importante nella mancata espansione dei Verdi italiani negli ultimi dieci anni, poi, è molto probabilmente il successo del Movimento 5 Stelle, che ha raccolto assieme a molte altre le istanze ambientaliste. Secondo Frassoni, da una parte ha attirato su di sé il cosiddetto “voto verde”, dall’altra ha alimentato un sentimento di ostilità nei confronti di chi fa politica che ha colpito trasversalmente i vecchi partiti, Verdi compresi.

Frassoni fa l’esempio di Fridays for Future, il movimento ambientalista internazionale guidato da Thunberg. In Belgio la stragrande maggioranza dei militanti vota Verdi, mentre da noi no, ma non perché Fridays for Future non abbia avuto riscontro in Italia, anzi: nel 2018 e nel 2019 le proteste per il clima nelle città italiane furono molto partecipate, in certi casi più di altri paesi europei. Solamente che quella partecipazione poi non è confluita in nessun attivismo politico e non si è tradotta in nessun voto per i Verdi.

«Sta accadendo anche in questa campagna elettorale, le associazioni ambientaliste sono rimaste fuori perché hanno un rifiuto nei confronti della politica» dice Frassoni. «Invece di impegnarsi in politica, perché poi è lì che si cambiano le cose, preferiscono rimanere nella “società civile” e non intervenire, per una diffidenza che penalizza tutti ma in particolare i partiti politici che cercano di portare avanti le istanze ambientaliste». Frassoni comunque specifica che si tratta di una vecchia tendenza italiana, riscontrata anche prima dei Fridays for Future e del M5S.

Infine, aggiunge Frassoni, un terzo elemento riguarda l’organizzazione che i Verdi si sono dati, troppo chiusa intorno a «una serie di personalità» e poco inclusiva. Secondo Frassoni la dirigenza «non ha messo al centro il tema dell’unità di tutti gli ecologisti, che quindi sono tutti sparsi». Negli anni l’organizzazione è rimasta perlopiù la stessa, anche quando la Federazione dei Verdi (il nome ufficiale del partito fino al 2021) è diventata Europa Verde, e nel frattempo gli ecologisti fuori dal partito non sono riusciti a creare un’alternativa reale e credibile, almeno fin qui.